Intorno a Mirabai la leggenda prende il profilo del plenilunio. Nata a Merta, nel Rajasthan, intorno al 1498, in una famiglia di nobile lignaggio, affina, fin da ragazza, la sua fede in Krishna. È lui, nella forma del rapace, dell’artista con il pugnale, a conquistare il suo cuore, a stringere in cruna di bellezza il suo segreto. La fede di Mirabai sconfina nella mania d’amore, che al giogo delle passioni sostituisce la dedizione verso l’invisibile. Data in sposa a un principe, possibile erede al governo del regno, Mirabai rifiuta di recitare la parte della moglie, recide ogni ipocrisia familiare: resta pur sempre la prediletta del dio. La morte, in battaglia, del marito, sancirebbe, secondo canone, la morte di Mirabai. La donna rifiuta di condividere la pira funebre del marito, dacché è il pasto del dio; la suocera la fa vivere da reclusa, sotto minaccia. Mirabai, tuttavia, segue la via di Krishna: prima affiliandosi ad alcuni maestri, in cauto vagabondaggio, poi costruendo una propria ‘scuola’.
In particolare, il genio di Mirabai si rivela negli inni devozionali, che testimoniano la pulsione prepotentemente erotica della fede, sulla scia del Gītagovinda di Jayadeva (XII secolo), di cui la donna è accorta esegeta. Tuttavia, Mirabai non si relega nei ranghi del mito, non opta per il ritmo epico: i suoi testi narrano, spesso, i singolari fervori di ogni giorno, la vita di palazzo, gli squarci del cielo, il cargo di dolore quotidiano. La poesia di Mirabai è concreta, piantuma bocche sui corrimani dell’ode – non è mai verbo da odalisca, ma canto di amante appassionata, laminata dalla gelosia. Il dio è un dio della predazione e dell’assalto, che pretende la lotta a unghie spianate; è il dio la cui sapienza si trasmette nell’inseguimento della devota, nel gorgo erotico. Chi ha confidenza con i testi sacri, riconosce in Mirabai i canoni formali del Cantico dei Cantici – il dio è l’Amato, la fede una tratta che consacra fuga e caccia, talamo, tana, cappio e scappatoia – e i toni del profeta biblico Osea: il dio attira ed è furioso, desidera e destina. Al posto del deserto, va da sé, in Mirabai furoreggia la foresta; l’orazione è ornata da urla.
L’opera di Mirabai è conosciuta in Italia tramite pubblicazioni disorganiche – La Padāvali uscì per la Libreria Editrice Cafoscarina nel 2002; Maria Luisa Sangalli ha scritto un profilo biografico della santa per Red, nel 2009 –; nel mondo anglofono l’opera lirica di Mirabai è stata tradotta, tra l’altro, come Ecstatic Poems (a cura di Robert Bly e Jane Hirshfield, 2004 – e For Love of the Dark One (a cura di Andrew Schelling, 2015): da lì abbiamo tratto i testi in questa pagina.
Ritenuta santa, Mirabai si è convertita in simbolo popolare: la donna che per amore del divino rompe con le convenzioni sociali dell’epoca. La sua storia, in India, è trasmutata in diversi film per la televisione. Secondo tradizione, stranita dal mondo, stremata dagli affari mondani che legano, comunque, anche gli opifici religiosi, Mirabai sarebbe scomparsa intorno al 1546, dopo un lungo ritiro nel tempio di Krishna. Il suo sposo l’ha voluta a sé, facendone volatilizzare il corpo. Il corpo dei poeti, sempre, per esaltazione o depravazione, giustifica il verbo, ne è il caustico sigillo.
***
Nuvole
Ho fissato le nuvole
che si sbriciolano, pallide:
si spezzano rovesciando pioggia
da due ore.
Ovunque acqua, piante e pioggia
cornucopia di verde sulla terra.
Il mio amante è partito
verso un paese straniero:
la soglia della mia casa lacrima.
Mira dice: nulla può ferirmi.
Questa passione
deve essere annientata.
*
Oscuro amico
Oscuro amico, cosa posso dirti?
L’amore che porto
è antico di molte vite:
non denigrarlo.
Il tuo corpo leggiadro
mi rapisce.
Visita il nostro chiostro, ascolta
le donne che intonano vecchie canzoni.
Ho decorato il pavimento
con un benvenuto ricamato
in lacrime – da tempo mi sono arresa:
corpo e mente si rifugiano
nell’impronta dei tuoi passi.
Mira fugge di vita in vita
la sua verginità.
*
L’Oscuro Rapace
Amico, non posso vivere
senza il Rapace chiamato Oscuro.
La suocera urla contro di me
sua figlia ringhia
il principe è preda dell’ira.
Hanno sprangato la mia porta
e messo a guardia un soldato.
Ma chi può ammutinare un amore
che dura da innumerevoli vite?
L’Oscuro è il padrone di Mirabai:
nessun’altro può placare
i suoi desideri.
*
Il pugnale
Oggi l’Oscuro mi ha gettato uno sguardo simile a un pugnale.
Da allora, sono folle; non riconosco il mio corpo.
Il dolore squarcia gambe e braccia, non so più dov’è la mente.
Ho almeno tre amici che sono diventati pazzi.
Conosco bene il prestigiatore con i pugnali: ama vagare nei boschi.
La pernice predilige la luna; la lampada attira la falena.
Come si sa, per il pesce l’acqua è preziosa: senza di essa, muore.
Se sceglie di andarsene, come potrò vivere?
Corri a fermare l’uomo con il pugnale, digli che Mira gli appartiene.
*
La vita nascosta
Nessuno conosce la mia vita nascosta.
Dolore
e follia per Rama.
Il nostro letto nuziale
è la forca.
Incontrarlo?
Quando arriva l’oscuro droghiere
negozieremo il danno.
Amo l’uomo che accudisce
le mucche. Il pastore.
Pastore esperto di danze.
I miei occhi sono ebbri,
disfatti perché a lungo
l’ho amato. Siamo uno.
Ma ora sono la sua lebbra:
la gente mi punta il dito contro.
Scrutano i deliri del mio desiderio
vedono che cammino selvaggia.
Sono schiantata, svanisco.
Eppure, nessuno sa che vivo con il mio principe
il vaccaro, ogni giorno.
Il palazzo non mi contiene
me lo lascio alle spalle.
Non mi importa dei pettegolezzi
e della cattiva nomea:
abiterò con lui
nei suoi vasti giardini.
*
L’Amato ritorna
L’unico che desidero è tornato a casa:
il fuoco della separazione, fiamma che ringhia, è sedato.
Con Lui gioisco, ora, e canto, lieta.
I pavoni ruggiscono alle nubi
danzano la loro sconfinata gioia.
Alla vita dell’Amato
l’estasi mi rapisce.
Annego nel Suo amore:
la miseria del mio vagabondaggio
per il mondo è finita.
Il giglio esplode
quando c’è la luna piena:
lo ammiro e il mio cuore sboccia.
La pace raffina questo corpo:
il Suo arrivo riempie la casa di felicità.
Il Padrone ora è mio: redime
sempre i Suoi devoti.
Il cuore di Mira, incenerito
dal fuoco della separazione, ora è nuovo:
il dolore della dualità svanisce.
*
Stregoneria
Questa notte una stregoneria
si è abbattuta nella regione di Braj.
La lattaia che girava
con il secchio in testa
ha visto il viso dell’Oscuro.
Si è messa balbettare
“Viene a prendermi l’Oscuro
l’Oscuro mi rapisce…”.
Nei vicoli invasi dalle liane
della foresta di Vrindavan
colui che incanta e incatena
i cuori ha messo gli occhi
su quella ragazza – poi
se ne è andato.
Il signore di Mira è furioso e attraente:
è un rapace –
la sua stregoneria
non è rara.
Mirabai