Secondo Jorge Luis Borges, il Labirinto è il cordone ombelicale di Minotauro. Il Labirinto non è più un labirinto, ma una casa; Minotauro rientra negli argini del suo nome genetliaco, Asterione, che significa ‘stellato’. Corona di stelle intorno al cranio di Minotauro; il cosmo, d’altronde, voragine di stelle, è un labirinto. La casa di Asterione – così il titolo del racconto che Borges incardina tra i meandri de L’Aleph – non è sigillata: le porte sono aperte e Minotauro (cioè Asterione) le ha varcate più di una volta. Asterione è l’“unico” e la sua casa – su cui medita – “è grande come il mondo”.
Chi conosce Borges riconosce nella casa di Asterione l’emblema del libro infinito: ogni corridoio è una pagina, ogni svolta un paragrafo, ogni cortile un capitolo. Nel suo ultimo libro, ricco di torsioni e di intuizioni, bellissimo, La solitudine del Minotauro (Aragno, 2023), Franco Rella immagina Minotauro “mentre legge per consolarsi il Qohelet”. All’immagine segue la vasta magione dell’immaginario: Rella convoca, intorno al suo Minotauro lettore, lo Zibaldone di Leopardi, Il castello di Kafka, Cuore di tenebra di Joseph Conrad – per vincere le labirintiche sinuosità del Congo, dell’Africa imbestiata, ci vuole una lingua imbastita di sogni, imbastardita di nebbie – e La guerra invernale nel Tibet di Friedrich Dürrenmatt. A me basta quell’immagine: scardinare la serratura di Qohelet significa liberare il mostro che strappa tutti i paramenti sacri dal Testo. Sion è un labirinto, i delegati all’esegesi del Testo sono tanti Minosse, tanti Dedalo, che relegano la potenza tra labirintiche interpretazioni. Qohelet è il libro-Minotauro.
Pablo Picasso, Minotaure blessé, VI, 1933
A differenza della Sfinge, il mostro che sfida l’uomo tramite l’enigma, Minotauro è mostro ingabbiato entro un enigma umano, il Labirinto. “Come archetipo, come fenomeno primordiale, il Labirinto non può prefigurare altro che il logos, la ragione. Che cos’altro, se non il logos, è un prodotto dell’uomo, in cui l’uomo si perde, va in rovina?”, scrive Giorgio Colli in La nascita della filosofia. Labirinto è ragione che si prende gioco di sé; Arianna, seguace di Dioniso, rivela la levità dell’enigma umano – un misero filo vince le ciclopiche mura di Labirinto – mentre su Teseo, anti-Edipo, grava cupa condanna: un mostro non si uccide con la spada.
Mirabile genio del mito: il Labirinto, serpente pietrificato, è l’opposto di Pitone, il rettile che si aggroviglia intorno all’oracolo di Delfi. Pioniere della sofistica, Labirinto non distingue il bene dal male, il sangue dall’acqua: non ha cuore, ma retorica che soffoca. Labirinto, guinzaglio del Minotauro – liberare Minotauro, che si sprigiona, per destino, soltanto morendo.
Picasso, Minotauro dell’arte – il solo, fabbricante di labirinti. L’arte uccide: il modesto stratega muore di stenti tra i vicoli del labirinto.
Minotauro, creato a mo’ di monito: ai primi del Novecento, forse, sarebbe stato un freak, uno di quelli che si esibivano nei circhi erranti. Oggi, per mobilitazione pubblica, vivrebbe in una riserva naturale, naturalmente domestico. Arruolarlo in qualche guerra come mercenario sarebbe inutile vista la feroce facilità con cui si è offerto a Teseo. Sacrificio infelice, Minotauro, meno che una colomba, scarto d’agnello – chi è più solo dell’unico, è mai esistita più fonda solitudine? Stando alle osservanze, Minotauro non è sacrificio per un dio, per impetrare gli dèi, ma per preparare la legge, la costituzione. Minotauro sacrificato per la dea Democrazia.
Il libro di Rella sul Minotauro è pieno di topi. La ragione superficiale è questa: il libro è stato scritto intorno alla pandemia. Alla solitudine del Minotauro fa specchio l’uomo-ratto, il topo-peste (Albert Camus, La peste: “La mattina del 16 aprile il dottor Bernard Rieux, uscendo dal suo studio, inciampò in un topo morto, in mezzo al pianerottolo”), le metropoli nido di topi. Eppure. Il topo, in qualche modo, è l’opposto del Minotauro, il suo omologo contrario, Asterione fatto a pezzi. I topi si insinuano in ogni labirinto, abitano il labirinto; i topi sono moltitudine.
Franz Kafka ha costellato la sua opera di topi; ne sono intrise anche le sue lettere, pura topaia. “La prima grande magagna di Zürau: una notte di topi, una storia terribile… Questa volta è stata una sedizione. Che popolo questo, muto, rumoroso e terribile!”, scrive a Felix Weltsh nel novembre del 1917. Sempre nel 1917, Kafka scrive di topi a Oscar Baum (“Topi spaventosi si sono fatti vedere, ed è impossibile che tu non l’abbia saputo; li ho un poco cacciati col gatto…”) e a Max Brod (“Quello che provo nei riguardi dei topi è pura e semplice paura… Un elemento importante di questa paura soprattutto il fatto che sono piccoli. L’idea che ci sia un animale che somigli assolutamente a un porco, il quale per sé è un animale divertente, ma che, piccolo come un topo, esca da un buco del pavimento, l’idea stessa di questo è spaventosa”; per un approfondimento: Franz Kafka, Storie di animali, Sellerio, 2005). Rella, per lo più, si sofferma su La tana, il racconto labirintico di Kafka. Forse Josephine, che canta al “popolo dei topi”, è una specie di Minotauro.
Secondo Levitico, il topo, come “ogni sorta di sauro”, la lucertola, il geco, il ramarro, il camaleonte, è “impuro”, registrato tra “le bestie che strisciano a terra”. Il topo (akbar) appare di rado nel Testo: secondo Isaia “topi e pipistrelli” (caverne e sotterranei: parto gemellare del labirinto) divoreranno “gli idoli d’oro e d’argento” che “l’orgoglio degli uomini” si è fabbricato, ignaro del “terrore che desta il Signore”. Nel primo libro di Samuele si racconta il flagello che colpisce i Filistei rei di aver rubato l’arca di Dio (arown Yahweh): a rimedio dell’oltraggio, devono forgiare “cinque bubboni d’oro e cinque topi d’oro”. A sancire il legame tra il topo e la peste, la maledizione. Il male va contratto in oro, per ribaltare la putrefazione in prezioso.
Eppure, da Esopo a Disney, il topo è la più umanizzata tra le creature. It was all started by a mouse, sussurra, sorridendo, Walt Disney: i caratteri di Mickey Mouse, Topolino, sono, negli anni, l’onestà, il coraggio, l’intelligenza. Nato come spensierato alter ego di Charlot, Topolino si rivela una specie di eroe senza macchia. Così, un ratto cresciuto tra i rifiuti si fa reietto ai suoi e in Ratatouille (2007) sogna di diventare chef; mentre Fievel, ribaltando l’orrido cliché – gli ebrei come ratti, icona divulgata dalla pubblicistica nazista, popolo di ratti che rodono, rosicano, corrodono – racconta la storia dei topolini che subiscono, in Russia, il pogrom, per emigrare negli Stati Uniti. Allo stesso modo, Maus, il romanzo a fumetti di Art Spiegelman, narra l’Olocausto degli ebrei-topi con allucinata potenza. In ogni topo si cela un Minotauro.
Zoologia morale. La bassezza morale di Svidrigajlov, contro-protagonista di Delitto e castigo, è sigillata dai topi (“ovunque c’era un odore di topi e di cuoio… qualcosa di sgradevole gli strisciò di nuovo lungo la gamba… un topo saltò sul lenzuolo”); i topi canonizzano la santità di Francesco. Secondo la leggenda, Francesco scrive il Cantico delle creature in San Damiano, quasi cieco – “stava sempre nell’oscurità in casa e nella cella” – e assediato dai topi: “la sua cella era talmente infestata di topi che saltellavano intorno e sopra di lui, e gli riusciva impossibile dormire; le bestie lo disturbavano anche quando pregava”. Le stimmate, la serratura del labirinto al cui centro giace Dio, dormiente.
Secondo Franco Rella, Minotauro “è solo – solo, assolutamente solo come soltanto i bambini sanno essere soli”. Bambino, sacrificio. Minotauro, Agnus Dei. Da una parte, macelleria umana che si risolve in riscatto, in mondo nuovo, Croce in vece di Labirinto, enigma dispiegato; dall’altra, nuda morte dell’unico. Senza Minotauro, Labirinto è gioco, escrescenza mentale, roba sopraffatta dall’edera.