14 Maggio 2018

I testi di Milena, l’amato coltello di Kafka. Un estratto

Proprio nei giorni in cui. In questi giorni sto rileggendo le Lettere a Milena di Franz Kafka. Un Oscar Mondadori del 1988. La traduzione è di Ervinio Pocar, a cui dobbiamo così tanto. Anni fa, riproponendo insieme all’editore Guaraldi la sua traduzione di un libro di Lion Feuchtwanger – un romanzo storico dedicato a Giuseppe Flavio – conobbi il figlio di Ervinio. Barba guizzante, viso scaturito dal legno, un incrocio tra un alchimista e un hobbit. L’edizione delle Lettere a Milena che possiedo non è importante in sé – sgraziata, segnata, vecchia. Eppure, è uno dei regali più importanti che abbia ricevuto – anzi, è il dono più bello. La ragione del dono e il legame e la bellezza, ovviamente, non sono cose da dire in pubblico. Proprio nei giorni in cui rileggevo le altre lettere. Non quelle di Kafka, di proverbiale profondità – con quella frase iconica, “amore è il fatto che tu sei per me il coltello col quale frugo dentro me stesso”. Quelle di Milena. Milena che scrive a Max Brod un florilegio di lettere che sono l’esatta lente per capire la verità di Kafka: “Certo è che tutti noi siamo apparentemente capaci di vivere perché una volta ci siamo rifugiati nella menzogna, nella cecità, nell’entusiasmo, nell’ottimismo, in una convinzione, nel pessimismo o in qualcos’altro. Ma lui non si è mai rifugiato in un asilo che potesse proteggerlo”. Proprio in quei giorni. Mi scrive Davide Nota. Dandomi una notizia che non posso che urlare. “Caro Davide, dopo sei mesi di interruzione sono riprese le attività editoriali della casa editrice Giometti&Antonello”. La notizia, certo, è importante per i bibliomani: Giometti&Antonello in poco tempo si è attestata, per raffinatezza editoriale e coerenza delle scelte, uno dei grandi, piccoli editori d’Italia (tra i libri pubblicati ricordo il Finnegans Wake secondo Rodolfo Wilcock, Gilles di Dreu La Rochelle, le poesie di Arsenij Tarkovskij e i Quaderni di Voronez di Osip Mandel’stam). Soprattutto, la notizia è una resurrezione. Dopo la morte di Danni Antonello, tardo ottobre del 2017, le attività editoriali, ovviamente, si sono fermate, in una specie di pudore e di bianca vedovanza. Ora si riparte. Ed è il ritorno del respiro. “Almeno per un anno, un anno e mezzo, porteremo avanti e a compimento materiali e progetti concordati con Danni. La casa editrice non cambierà nome e Danni sarà sempre in questo nido”, mi scrive Nota, con tenerezza. Il libro che prosegue il getto di meraviglia della Giometti&Antonello s’intitola Qui non può trovarmi nessuno (pp.252, euro 24,00), ed è una raccolta di testi giornalistici di Milena Jesenská (1896-1944), traduttrice di Kafka, con cui il geniale scrittore intrattenne il vertiginoso epistolario – tra il 1920 e il 1923 – e quell’amore dispari, per questo impareggiabile. I testi sono stati scelti da Dorothea Rein, la traduzione è di Donatella Frediani, la cura è come sempre impeccabile. Al colmo della felicità, ho chiesto il permesso di estrarre dal volume un testo di Milena. Quello in cui il 6 agosto 1924, questa donna flâneur e pasionaria, avida di vita e gravida d’intelligenza, scrive di Kafka, “un uomo che sapeva molte cose, spaventato dalla vita”. (d.b.)

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milena libroFranz Kafka, scrittore di lingua tedesca vissuto a Praga, è morto avantieri nel sanatorio di Kierling, presso Klosterneuburg, nei dintorni di Vienna. Qui egli non era molto conosciuto perché era un individuo solitario, un uomo che sapeva molte cose, spaventato dalla vita; per anni ha sofferto di una malattia polmonare e, sebbene la curasse, l’ha anche alimentata coscientemente e favorita idealmente. «Quando l’anima e il cuore non tollerano più il peso, i polmoni se ne addossano la metà, in modo che il peso sia perlomeno equamente distribuito», così ha scritto una volta in una lettera, e proprio sotto questa luce va vista la sua malattia. Essa gli conferiva una finezza addirittura stupefacente e una sottigliezza d’ingegno spaventosamente aliena da compromessi; ma quale uomo scaricava sulle spalle della malattia tutto il terrore intellettuale che gli incuteva la vita. Egli era timido, scrupoloso, tranquillo e buono, eppure ha scritto libri spietati e dolorosi. Il suo mondo era popolato di demoni invisibili che annientano e dilaniano l’uomo privo di difese. Egli era troppo perspicace, troppo saggio per poter vivere, troppo debole per poter combattere con la debolezza degli uomini nobili e belli che non rifiutano la lotta per timore di incomprensioni, malvagità e menzogna intellettuale, sebbene sappiano in partenza di essere impotenti, e alla fine si arrendono in modo da svergognare il vincitore. Conosceva gli uomini come solo possono conoscerli gli esseri dotati di una grande sensibilità nervosa, i solitari, coloro che sono capaci di scrutare l’anima di un uomo e quasi di predirne il futuro solo intravedendo il suo volto. Lui, che aveva una conoscenza del mondo tanto insolita e profonda, era di per sé un mondo insolito e profondo. Ha scritto libri che sono da annoverare fra i più significativi della giovane letteratura tedesca; in essi si manifesta la lotta dell’attuale generazione, ma senza tendenziosità. Sono così veri, sinceri e dolorosi che persino là dove si esprimono per simboli appaiono naturalistici. Sono pervasi dall’ironia asciutta e dal sensibile stupore di un uomo che ha visto il mondo con tanta chiarezza da non poterlo sopportare e ha dovuto morire non volendo ritrarsi e cercare salvezza, come altri, in un qualche inconscio errore intellettuale, per quanto nobile possa essere… Tutti i suoi libri descrivono l’orrore di nascosti equivoci e di colpe involontarie fra gli uomini. Egli era un uomo e un artista dotato di una coscienza tanto vigile che avvertiva qualcosa anche là dove gli altri, meno sensibili di lui, si sentivano al sicuro.

Milena Jesenská

Gruppo MAGOG