11 Luglio 2023

Storia scandalosa di Michael Field: due donne, l’amore saffico e la passione per la poesia

Era stato Robert Browning, il sommo poeta vittoriano, a svelare l’autentica identità di Michael Field. Dietro la maschera dell’autore di drammi in versi tanto elogiati dalla critica, si nascondevano due donne, Katharine Harris Bradley ed Edith Emma Cooper, imparentate, legate da saffico sentimento. Ne nacque uno scandalo, assai english. Le donne, ben inserite nella società letteraria dell’epoca – frequentavano Oscar Wilde e George Meredith; Rudyard Kipling le andava a trovare nel cottage di famiglia, nei dintorni di Bristol: il cane della coppia divorò il coniglio che accompagnava l’estroso ‘Ruddy’ – non si lasciarono irretire dall’ipocrisia dei critici, che improvvisamente voltarono loro le spalle. Scrissero ancora molto, libere da vincoli – la cospicua eredità aiutava –, secondo l’estro dell’estetismo.

Ma andiamo con ordine. La mente della coppia era Katharine: nel 1875, con lo pseudonimo maschile di Arran Leigh, aveva pubblicato la prima raccolta di versi, The New Minnesinger, nata da una delusione d’amore (a Parigi, tra veli e pudori, si confessò al fratello di un’amica, più anziano di venticinque anni, prematuramente morto), sotto la stella di Elizabeth Barrett Browining. Katharine era figlia di un importante produttore di tabacco, morto che lei aveva due anni; la famiglia aveva fisime apocalittiche: finanziava profeti e millenaristi – tra cui la visionaria Joanna Southcott – con la mania della fine del mondo. Probabilmente, sapere che tutto è effimero dava a quegli imprenditori di successo un certo conforto, una giustificazione. Edith era la nipote di Katharine, figlia della sorella maggiore, Emma. La zia, di sedici anni più grande, diventò la tutrice della nipote, vista la difficoltà della sorella, resa invalida dal secondo parto.

Katharine, dal temperamento indocile, giocava a fare l’atea, si dava a riti paganeggianti, orientò Edith a studiare l’ellenismo e i poeti della Grecia antica. “Abbiamo molte cose da fare e da dire che il mondo non tollererà dalle labbra di una donna”, scrisse, di getto, all’amico Robert Browining. Non è un caso se la prima grande opera delle due, celate dal nome di Michael Field, Long Ago, stampata nel 1889 da George Bell & Sons con grafica ellenizzante, è una traduzione-reinvenzione del canzoniere di Saffo. Il libro – tra gli efficaci esempi della ‘colonizzazione’ culturale inglese dell’antico, dalla Persia all’India alla Grecia classica – fu piantumato di lodi, a tratti clamorose. In effetti, il tono dei versi è posato, icastico, esatto: scolpito nel latteo.

La morte è un male: se fosse benedetta
Immediatamente
Morirebbero gli Immortali!
Ma i beati non smettono
la gioia del respiro:
Sospira Afrodite –
“Ah, Adone!” – s’imbroncia primavera
Sempre giovane: l’amante dall’amante mortale
Si separa – separazione è l’aspro astro della morte.

Eppure, argenteo Espero
La più bella stella
Espero caro semina
Il mattino e non so se sia meglio
Perdere il prezioso della vita
Per spartirlo nella felicità, insieme;
Chi si incontra per separarsi
Deve scegliere l’ora della sera
Che ogni beatitudine rinnova.

L’amicizia con Bernard Berenson, il grande storico dell’arte americano, permise alla coppia un particolare Grand Tour nei musei più importanti d’Europa. Dalla visita scaturì il libro più complesso di Micheal Field, Sight and Song, stampato da Elkin Mathews, a Londra, nel 1892. Il testo raccoglie 31 descrizioni in versi di altrettante opere d’arte, da Venere, Mercurio e Cupido di Correggio alla Nascita di Venere di Botticelli, dal San Girolamo di Cosmè Tura alla Pietà di Carlo Crivelli e la Morte di Procri di Piero di Cosimo. Già dalla scelta dei soggetti – non banale – s’intuisce l’intenzione del lavoro: antiromantico, al di là dei Preraffaelliti, oltre l’estetismo (di cui, comunque, si rinnovano i metodi poetici). Specie di profezia di ciò che accadrà nel Novecento, quando il legame tra poesia e arte (esempi rapidi: Rilke/Cézanne; Valéry/Leonardo; Char/De Staël; Saint-John Perse/Braque; Malraux/Picasso; Montale/De Pisis; Testori/Gaudenzio Ferrari) assume propria norma.

“Scopo di questo piccolo libro è, per quanto possibile, tradurre in versi ciò che di per sé cantano le linee e i colori dei quadri scelti; per esprimere non tanto ciò che queste opere rappresentino per il poeta, ma la poesia che incarnano oggettivamente”.

Nella prefazione al libro – di cui, in appendice, per la cura di Elisabetta Acerbi, si propone una antologia spiccia – Katherine ed Edith, cioè Michael Field, giustificano il progetto: “vedere il cuore delle cose, il loro centro” – to see things from their own centre – piuttosto che optare per “l’abitudinaria ‘centralizzazione’ del visibile in noi stessi”, così da ottenere una poesia “più chiara, meno passiva, intima”. Il libro apriva un tema – il rapporto tra le parole e i segni, tra i verbi e i colori, tra poesia e immagine; o meglio: la ‘poesia disegnata’ – importante, anteponendo la ragione al sentimento, l’osservazione alla statuaria del sentire: non ci fu modo di analizzarlo con coerenza. I letterati, galvanizzati dallo scandalo – le lesbiche poetanti – abbordarono il libro con bordate critiche. Anche William Butler Yeats, che pure era stato un fan dei plays di Micheal Field, non si sottrasse al gioco al massacro: su “Bookman” (July, 1892) scrisse che Sight and Song era un libro “interessante, suggestivo, eppure insoddisfacente”, augurandosi che “l’immaginazione poetica” di Micheal Field fosse spesa “per scrivere una gradevole guida sulle maggiori gallerie d’arte d’Europa, piuttosto che costringerci a un libro affollato di disordinate fantasie”. Ormai certo della propria posizione, Yeats rifiutò l’ennesimo dramma di Michael Field, Deirdre, proposto nel 1903 per il nascente Abbey Theatre.

L’estrema vita di Katherine e di Edith fu all’insegna dell’inseguimento religioso. Le due, come sempre in coppia, si convertirono al cattolicesimo, nel 1907: le ultime poesie – Poems of Adoration, 1912 e Mystic Trees, 1913 – sono, di fatto, un sacro canzoniere del dolore, tradiscono il confronto costante con il crisma della Passione. Si strinsero nel voto di castità; ruppero con le antiche amicizie. Alcuni malignarono che la religione era la nuova moda del decadentismo. Edith morì di cancro al seno nel 1913, due settimane prima di Natale; Katherine, afflitta dallo stesso male, morì nove mesi dopo – partorì la morte, per così dire. Furono sepolte insieme, a Mortlake, in una chiesa intitolata a Maria Maddalena: la lapide che sigilla le loro mortali spoglie fu distrutta – e mai più ricostruita.

Per un po’, Michael Field fu il paladino di un certo, raffinato femminismo: nel 1998 Emma Donoghue ha pubblicato lo studio biografico We Are Micheal Field. Nel 2022 la Princeton University Press ha pubblicato, per la cura di Carolyn Dever, parte del monumentale diario delle due donne come Chains of Love and Beauty.

Arduo penetrare nei meandri di una intimità tanto sconcertante.

***

da: Sight and Song – Michael Field (Katherine Bradley, Edith Cooper)

L’INDIFFÉRENT

WATTEAU

Louvre

Danza su una punta
leggiadro come Mercurio:
Dolce araldo, consegna il tuo messaggio! No,
egli continua a danzare; è suo il mondo,
la luce del giorno e il cappello alato.
Gli occhi sono rotondi
al di sotto della falda:
danzare ovunque si trovi
è il suo solo destino,
è per questo che è nato.

Danza in un mantello
di vermiglio e blu:
Fanciullo spensierato sotto alla quercia,
vieni, ridi, ama! Invano ci corteggiamo;
è una farfalla fatta uomo:
nessun’anima né bacio,
nessuno sguardo né gioia.
Sebbene grande abbastanza per i piaceri virili,
è un ragazzo,
lui che danza e deve morire.

*

LA NASCITA DI VENERE

SANDRO BOTTICELLI

Galleria degli Uffizi

Crespe di onde straripano avvolgendo
una conchiglia che diviene barca;
rose come uccelli volano, fluttuano
nell’aria pungente; le vesti si agitano:
soffia la brezza, con le ciocche
preda del vento
e i capelli sciolti come spire,
su una donna che cerca di coprire 
la neonata bellezza con una treccia
dorata sulle nudità.

Il suo corpo freddo e diafano dolcemente
accoglie il manto mosso dal vento, di rose
e di margherite trapunto, che Flora protende
verso di lei prima che posi i piedi
sulla riva verde del mondo:
Flora, vestita di fiordalisi,
il collo cinto da una corona di rami
sfioriti, sul petto rose canine,
alla sua dea si affretta a porgere
l’ampia tunica della primavera.

Mentre dall’oceano, con respiro affannoso,
sospinti verso la baia,
dalla veste color oliva e le grigie ali,
e costellati di steli di rosa recisi
sopraggiungono Zefiro e Borea,
uniti nell’ammirazione, in un unico desiderio:
l’avanzare delle fredde acque nella luce dell’aurora
solleva ancor più il piede di Borea,
mentre con il soffio sospinge la conchiglia
là dove le canne invadono la sabbia.

Lei, posata sulla conchiglia cullata dalle onde:
un’ombra di tristezza è nei suoi occhi
che si atteggiano con ritrosia;
una pausa sulle labbra, un sortilegio,
un candore troppo solitario per parlare;
nessun sapere sulla fronte.
Vergine forestiera, venuta a cercare
riparo nei possenti rami d’arancio
mossi appena dalla brezza di mare;
lei, l’Amore che non ha conosciuto.

*

METTIUS CURTIUS

IGNOTO

National Gallery

Giunge da quel castello sulla cima erta,
non è romano, ma un affascinante cavaliere cristiano
dalla veste celeste e il mantello di un rosso lucente,
i capelli d’oro mossi dal vento e un viso giovane acceso
dalla gloria nel trionfo della falcata.
Sebbene il mite cavallo color ambra si impenni alla vista
delle fiamme rosse e, pronta a colpire, la mano
destra sia stretta al pugnale, il viso mantiene
appropriata delicatezza, la stessa di San Michele che resiste al demonio.
Dolce è lasciare la propria vita
nel vivido orgoglio ed essenza del respiro.
Sorride pensando alla breccia che presto si chiuderà su di lui:
scorge al di sopra una nuvola colma di sole che proietta
il suo candido fulgore, mentre incontro alla morte si dirige.

*

LA MADDALENA

TIMOTEO VITI

Pinacoteca di Bologna *

Fanciulla, tenera silfide,
è lei Maddalena, figura solitaria:
il portamento accompagna
il suo stesso respiro,
la preghiera del suo animo non trova voce.
Massi, di erba adorni,
si dispiegano ad arco su di lei come una grotta
che un antico terremoto ha separato
e riempito di tenebre stagnanti;
eppure una donna ha la forza di farne la sua dimora.

Ai lunghi capelli biondi è concesso
perdersi in una folta naturalezza;
ciocche aggraziate si raccolgono
ineguali, ma vicine abbastanza
per intesserle sul collo e petto
un soggolo di tessuto dorato.
Nonostante la cruda roccia alle spalle,
una dolcezza solitaria
è sul suo viso, quel delicato
riserbo che tanto abbiamo amato nei fiori selvatici.

Il manto è di un rosso scarlatto,
le pieghe severe nel loro splendore;
i capelli al di sotto si distendono
fino a terra, dalle ciocche
sporgono i piedi in un’elegante nudità.
Un vento discreto muove
le vesti scarlatte, i capelli.
Le mani minute, unione placida,
sono giunte; il libro
e il vaso dell’unguento ne ornano appena l’angolo.

Si compiace tutto il giorno
sebbene i pensieri siano spesso al passato;
dai suoi peccati è stata sollevata,
non possono darle alcuna pena.
È candida, di un’infinita purezza;
freme il suo cuore nella gioia.
Ancor più gioia è nei cieli,
i suoi peccati sono assolti;
fino all’imbrunire rivolge il pensiero
alla grazia, alla singolarità, alla meraviglia di tutto questo.

È esclusa da ogni compagnia;
quanto ha amato confondersi tra gli amici!
Donarsi, occhi e labbra;
per il solo bene altrui ha vissuto:
non una ciocca dei suoi capelli, non il colorito
delle sue gote fu per sé:
ha amato prestarsi
a chiunque cercasse il suo aiuto.
Fu dolce ogni suo servigio:
ora è tutto il giorno in trepida attesa della Sua chiamata.

Tra erbe inviolate
e muschi, gioisce della sua lontananza;
sa che quando Dio cercherà
sollievo dal mondo dei peccati,
la troverà tra le api selvatiche,
le colombe e le foglie di piantaggine,
in attesa e in assoluta pace
per la certa ascesa del Suo regno,
in attesa e con un bagliore più intenso
di pazienza ogni giorno, perché Lui a lungo tarda.

Al suo fianco il vaso di nardo
intatto… Dio è distante;
lei Lo ama: è difficile
ora non poter nemmeno spargere
le essenze della sepoltura, dedicarsi con cura
alla tomba dove Lui giace morto
come fosse il suo rifugio di rocce;
ripiegare il drappo di lino e lavare
il panno che un tempo cinse
il Suo capo; non vi è luogo per la sua arte pura.

Questo è ciò per cui soffre,
tutto il resto non le infligge alcun dolore:
non indossa la veste di cammello,
non ricorre al flagello né alla verga;
bagna il suo corpo candido nella fonte,
per Dio lo mantiene puro.
Quella bellezza, che Lui ha reso
tanto splendente, la custodisce nell’ombra;
come una veste d’angelo,
preserva immacolata la sua ritrovata grazia.

Giorno dopo giorno, settimana dopo settimana,
vive e medita e non emette suono;
manca delle parole per pronunciare
la gioia che il deserto le procura:
nel suo cuore risuona un canto,
ma non c’è canto a cui può dar voce.
Da quando la parola Rabbunì seguì
il richiamo del suo nome
e il Maestro la ammonì,
non sembra avere scelta: le sue labbra non si sono più mosse.

Si allontanò con la fioca
luce che palpitava nel giardino
mentre altri raccontavano la novella:
Cristo era risorto; vagò per ampie,
e spaventose terre desolate,
e per molte sponde di fiumi,
fino a trovare la grotta a lei destinata,
a sud, in Francia, un luogo di boschi
dove essere contenta
e pensare a quei giorni grandiosi prima dei quali visse infelice.

* Segnalo che l’attuale ubicazione del dipinto Santa Maria Maddalena (Timoteo Viti), oggetto del componimento La Maddalena, non corrisponde a quella riportata nel testo inglese. Da quanto ho ricostruito, l’opera era custodita nella cattedrale di Urbino prima del terremoto del 1789 ed è stata poi acquisita nel 1861 dalla Galleria Nazionale delle Marche, presso il Palazzo Ducale di Urbino, dove si trova tuttora. L’unico riferimento certo a Bologna che ho rintracciato riguarda la stampa di riproduzione a opera di Luigi Martelli (ca. 1849), al momento conservata nella Pinacoteca Nazionale, ma escludo si tratti dell’opera a cui le due autrici si riferiscono.

*La scelta e la traduzione delle poesie sono di Elisabetta Acerbi

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