La voce assoluta della musica italiana: in memoria di Giuni Russo
Cultura generale
Padre davvero di Mia Martini: l’artista non può che essere l’assassino dei genitori
Padre davvero
(Antonello De Sanctis, Piero Pintucci)
Ora che sono mezza inguaiata
e che ho deluso le tue speranze,
vieni di corsa, mi hanno avvisata
per dirmi in faccia le tue sentenze.
Padre, davvero lo vuoi sapere
se tu non vieni mi fai un piacere!
Mi avevi dato per cominciare
tanti consigli per il mio bene;
quella è la porta, è ora di andare
con la tua santa benedizione.
Padre, davvero sarebbe bello
vedere il tuo pianto di coccodrillo!
E certo tuo padre ti diede di meno,
solo due calci dietro la schiena
e con mia madre dormivi nel fieno
anche in aprile e di me era piena!
Padre, davvero sarebbe grande
sentire il parere della tua amante!
Poi sono venuta e non mi volevi
ero una bocca in più da sfamare;
non sono cresciuta come speravi
e come avevo il dovere di fare!
Padre, davvero che cosa mi hai dato?
Ma continuare è fiato sprecato
che sono tua figlia, lo sanno tutti
domani i giornali con la mia foto
ti prenderanno in giro da matti;
ah, non mi avessi mai generato!
Padre, davvero ma chi ti somiglia
ma sei sicuro che sia tua figlia!
I genitori sono comunque un riferimento, in negativo o in positivo. Non possono non esserlo. Se per la maggior parte delle persone rappresentano solo un motivo di oppressione e frustrazione, per l’artista non vi è niente di meglio. Un poeta, o artista che sia, cresce nella contrapposizione. Il padre e la madre costituiscono sempre la perpetuazione della società così come la si intende, come direbbe anche Aristotele. Il padre e la madre sono la conservazione, il buonsenso (“Mi avevi dato per cominciare/ tanti consigli per il mio bene”). Senza il padre che lo accusava di essere un abulico, di perdere solo tempo, Proust non avrebbe mai scritto Alla ricerca del tempo perduto. Baudelaire sa bene cosa pensi la madre di quelli come lui: “Quando, per decreto di potenze superiori,/ il Poeta appare in questo mondo di noia,/ sua madre spaventata e bestemmiando/ stringe i pugni a Dio che ne ha pietà:/ Avessi partorito un groviglio di vipere,/ piuttosto che nutrire questa derisione!/ Maledetta notte degli effimeri piaceri/ quando il mio ventre concepì questa espiazione!”. L’artista è uno sbaglio di natura, la deviazione più perversa che l’opera del concepimento possa prendere. Mia Martini lo sa, per questo dice: “Ah, non mi avessi mai generato!”. Sa anche che “non sono cresciuta come speravi/ e come avevo il dovere di fare!”. Ma questo dovere non esiste per l’artista. La sua sensibilità lo porta altrove: “s’inebria di sole quel Figlio ripudiato,/ e in tutto ciò che beve e mangia/ ritrova l’ambrosia e il nettare vermiglio./ Gioca col vento, parla con le nuvole,/ e cantando s’inebria del calvario;/ e lo Spirito, che lo segue in quel pellegrinaggio,/ piange nel vederlo gaio come uccel di bosco.”. Questa consapevolezza si riverbera nelle parole di Mia Martini animata da un misto del complesso di Elettra ed Edipo. Ma all’artista non resta che questo, deludere le speranze del padre, ucciderlo senza pietà in un successo che neppure lui sarebbe in grado di concepire.
Matteo Fais
*La canzone potete ascoltarla qui.
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La costruzione di un amore
(Ivano Fossati)
La costruzione di un amore
spezza le vene delle mani
Mescola il sangue col sudore
Se te ne rimane
La costruzione di un amore
Non ripaga dal dolore
È come un altare di sabbia
in riva al mare
La costruzione del mio amore
Mi piace guardarla salire
Come un grattacielo di cento piani
O come un girasole
Ed io ci metto l’esperienza
Come su un albero di Natale
Come un regalo ad una sposa
Un qualcosa che sta lì e che non fa male
E ad ogni piano c’è un sorriso
Per ogni inverno da passare
Ad ogni piano un paradiso da consumare
Dietro una porta un po’ d’amore
Per quando non ci sarà tempo di fare l’amore
Per quando farai portare via
la mia sola fotografia
Ma intanto guardo questo amore
Che si fa più vicino al cielo
Come se dietro l’orizzonte
Ci fosse ancora cielo
Son io, son qui e mi meraviglia
Tanto da mordermi le braccia
Ma no, son proprio io
lo specchio ha la mia faccia
Son io che guardo questo amore
Che si fa più grande fino al cielo
Come se dopo tanto amore
Bastasse ancora il cielo
E tutto ciò mi meraviglia
Tanto che se finisse adesso
Lo so io chiederei
Che mi crollasse addosso
E la fortuna di un amore
Come lo so che può cambiare
Dopo si dice l’ho fatto per fare
Ma era per non morire
Si dice che bello tornare alla vita
Che mi era sembrata finita
Che bello tornare a vedere
E quel che è peggio è che è tutto vero
Perché
La costruzione di un amore
Spezza le vene delle mani
Mescola il sangue col sudore
Se te ne rimane
La costruzione di un amore
Non ripaga del dolore
È come un altare di sabbia
In riva al mare
E intanto guardo questo amore
Che si fa grande fino al cielo
Come se dopo tanto amore
Bastasse ancora il cielo
E tutto ciò mi meraviglia
Tanto che se finisse adesso
Lo so io chiederei
Che mi crollasse addosso, sì
La costruzione di un amore: quando soffri ogni singola parola ed è dolce ridestarsi con gli occhi graffiati
Con voce di Medusa – che pietrifica le viscere. Chi ha avuto il dono ne deve soffrire, questa è la norma bastarda. Mia Martini non era una donna – era una voce di Medusa. Avere la voce di Medusa martirizza chi ne ha il dono, terrorizza chi la ascolta. Ascoltatela pure negli episodi canonici, chessò, Gli uomini non cambiano. Non è una donna che canta, no. Senti la voce. Quel puro nastro d’argento, senza astuzia. Parole che come serpi t’intrigano le viscere, ti portano nell’intruglio dell’esistere. E resti così. Imbambolato. Ipnotizzato. Col veleno nel corpo. I rintocchi della voce intorno a Mia Martini, divinità obliqua della canzone italiana, dal chiarore inafferrabile, come cobra – nastri di voce che come cobra perforano il tempo, colpiscono, ora, con la stessa algebrica precisione. Non si sfugge al morbo di Mia Martini, l’interprete che ha vissuto così intensamente il canto da morirne. La sola. L’inesplicato enigma. Voce di Medusa in un corpo aguzzo. Era il 1992. Festival di Sanremo ancora sotto la reggenza Baudo e fiorire di femminilità varia – Milly Carlucci, Alba Parietti, Brigitte Nielsen. Il Festival che le è stato rubato perché lei, Mia Martini, era la voce divina e marziana. Invece, vinse Luca Barbarossa, con una canzona intinta nel miele, Portami a ballare. D’altronde, la voce di Medusa che dice la verità dolente dell’amare non può pietrificare il palco più politicamente corretto che c’è – che per lavarsene le mani ricoprì Mia nell’oro corrusco di tre premi ‘della critica’. La voce di Medusa di Mia Martini, però, è perfetta nella ballata amara La costruzione di un amore. Esattamente quarant’anni fa. L’album s’intitola Danza ed è il culmine della collaborazione artistica con Ivano Fossati, che firma il pezzo. Il pezzo, di per sé è una icona: l’amore non accade, si costruisce; l’amore non si tocca, è il fremito di una illusione, è grandine di vetri. L’amore, soprattutto, non basta: il cielo è insufficiente a sostenerlo, la basilica di questo amore, costruita con deliziosa cura, è tale che siamo soltanto noi a capirne l’ampiezza e la dotazione di vento. Costruire un amore è edificare castelli sulle nuvole – solo il dolore è reale, solo il sangue misura la tenerezza di questo amare. “La costruzione di un amore/ Non ripaga dal dolore/ È come un altare di sabbia”. L’amore non ha ricavo, non riscuote debiti ma ci scava, e si ama perché l’uomo non ha altro da fare per compiersi; l’amore sfianca, l’amore sfiata – la carne è una ipotesi di sabbia. E quando la costruzione dell’amore crolla nessuno viene a ricomporre i tuoi pezzi. “E mi meraviglia/ Tanto da mordermi le braccia”: che verso riuscito! La meraviglia attanaglia e intaglia, ma l’identità dell’amare è il morso, è il quadrupede dolore. Un amore simile, di radiosa radicalità, mi ricorda sempre gli amori biforcuti di Anna Achmatova: “C’è nel contatto umano un limite fatale,/ non lo varca né amore né passione,/ pur se in muto spavento si fondono le labbra/ e il cuore si lacera nell’amare”. L’insolito e l’insoluto, l’irrisolvibile di noi resta, scaglia di pietra sulla soglia del setaccio: si ama sempre soli. Se ascoltate gli svariati interpreti di questa canzone è chiaro che il rischio di sbandare nel patetico è altissimo – ma se a cantare è la voce di Medusa di Mia Martini voi soffrite, finalmente, ogni parola, ed è dolce, dopo, ridestarsi con le palpebre segnate, con gli occhi a graffio.
Davide Brullo
*La canzone potete ascoltarla qui.