14 Luglio 2018

Meglio “l’abitante della savana” o il “popolo del water”? Giorgio Manganelli in Africa (con Shakespeare a fare da Sfinge)

Sintesi da dopopasto. L’europeo va in India cercando il Nulla e trova il continente del Tutto: odori, sapori, volti, scritture; l’europeo va in Africa sperando nel Tutto e scopre il Nulla, l’evidenza terribile di una natura che lo annienta. Review. Appartengo all’era di chi ha cominciato a leggere sul serio quando Giorgio Manganelli è spirato, all’epoca – proni alle imprese inutili perché nulla, lo certifica il tutto, ha senso – in cui, stordito da Hilarotragoedia e Centuria – mentre il resto d’Italia leggeva, quando andava bene, Seta e simili petalosi romanzi di Baricco – t’andava la via dell’Oriente solo perché l’aveva percorsa il Manga. Come si sa, Esperimento con l’India è il libro, ricostruito per i posteri, in cui sono raccolti i reportage indiani di Manganelli, scritti per Il Mondo, bellissimi (sentite qui: “La mia aggressività occidentale è caduta verso l’interno, ho conosciuto una implosione, e qualcosa, un rudere, un cadavere, un vuoto, brucia nel mio interno. Non conosco più la combinazione per uscire da me stesso”). Il viaggio indiano è compiuto nel 1975; cinque anni prima Manganelli fa la sua esperienza africana, radunata in un libello, Viaggio in Africa (Adelphi 2018, pp.72, euro 7,00), di inevitabile bellezza.

manga libroa) Le circostanze. Il viaggio africano non è una ‘commissione’ giornalistica. Dietro c’è Carlo Castaldi, “dirigente fantasioso e munifico di Bonifica, una società multinazionale per cui aveva progettato di tracciare una strada lungo la costa dell’Africa orientale, dal Cairo a Dar es Salaam, la Transafricana1 (in breve TA1). Castaldi pensò a un gruppetto di esperti – una fotografa, un ingegnere, forse altri, e uno scrittore, che in qualche modo fosse il cantore dell’impresa – da spedire in Africa per circa due mesi” (Viola Papetti). Il contratto stipulato prevedeva tre mesi di lavoro (scritti compresi) per tre milioni di lire. Manganelli accetta.

b) L’esito. L’autostrada africana non si farà; Manganelli “non tornò più in Africa, un continente senza scrittura”; il reportage del viaggio, anamnesi africana, resta inedito, fino ad oggi. Questa scrittura in assenza, inevitabile ma senza esito, pare la chiazza bianca, nelle mappe africane di mezzo Ottocento, a indicare che lì, forse, sono i leoni, di certo, l’uomo non c’è.

c) I predecessori. L’India è piena di scrittori vaganti, nei regni metafisici – Schopenhauer, Tolstoj – o in quelli reali – Hesse, Kipling. In Africa si va con l’ansia muscolare di vincere la bestia che è in sé – Hemingway – colti da nostalgie adamitiche – Karen Blixen – mollemente adagiati nei penetrali del segreto umano – Joseph Conrad. Il resto, è recensito da André Gide nel Viaggio al Congo: “Il paesaggio diventa sempre più triste. L’incendio somma all’aridità la sua desolazione. A perdita d’occhio solo rosso e nero”. Manganelli lo dice meglio: “Frastornati dai bianchi motoristi gli animali ora si allontanano e riparano nei loro templi di foresta. Talora vacillano, la sete li rende vulnerabili, i cacciatori di frodo insidiano lo splendore del loro pellame. Ma sono quelli gli abitanti assoluti e fatali dell’Africa… Catturato nel suo spazio vasto ma intransitabile, irretito in una splendida e angosciosa trama di animali, insetti, alberi, argilla e rupi, l’africano è prigioniero dei suoi luoghi senza confini”.

d) Definizioni. In un passaggio tra i più lucidi, Manganelli descrive la definitiva distanza tra l’Africa e Occidente. “Ormai irreparabilmente estranea al ritmo naturale, l’artificiale esistenza cittadina può proteggersi solo grazie ad una continua rielaborazione dei dati della propria artificialità. La città ignora le stagioni se non come definizioni economiche. È scomparso il ciclo eterno del tempo, e ne ha preso il posto la vessatoria regolamentazione degli orari. La necessità economica sostituisce l’ubbidienza cosmica”.

Sommando i fattori, contatto Viola Papetti, che cura l’inedito di Manganelli, e che dall’Africa, “Carissima Sua Turpitudine…”, riceve un tot di notizie manganelliane. Scavo nell’intimo, allora, per capire se dell’Africa del Manga si può sapere altro, se altro le è giunto dai recessi del Continente Nero. “Solo le lettere citate e poi tante cartoline. In Africa è difficile scrivere e soprattutto impostare. Lo so perché ho vissuto un anno a Mogadiscio. Il tono cambiò nelle chiacchiere che seguirono al ritorno: stupore e senso di colpa per l’enorme tragica distanza tra “l’abitante della savana” e noi “il popolo del water”, il continente-“gigante terrorizzato” e “l’Europa-giardino”… come sarebbe andata a finire? era la domanda di fondo. Continuò a pensarci, e può leggere nella mia postfazione altre riflessioni in proposito: la Grecia arcaica è vista da e attraverso l’Africa… La cultura è natura, più o meno vicina alla sua origine archetipica. L’Africa è già espressa dalla sua anatomia – mi sembra che volesse dire questo. La scrittura di un europeo è superflua, se non sorda e cieca. Il Manga percepisce – come nessun altro mi sembra – la ferita simbolica che il progresso ha inferto all’uomo africano”. Piuttosto – fortuna raddoppiata – Viola Papetti, per mettere un po’ di sale nella mia zucca desertificata, mi invia un libro.

Tra l’Africa e l’India, il Bardo. Definitivamente occidentale, europeo, cioè incarnazione del luogo dove la scrittura non è usata per salvare – quella è l’India e l’afrore mediorientale – ma per dannare, per uccidere se stessi con stilettate di cianuro, Manganelli traduceva dall’inglese – chessò: T. S. Eliot, Edgar Allan Poe, John Webster – praticava gli anglofoni – memorabile l’introduzione alle poesie di Walt Whitman, piene, dice il Manga, di “misticismo turistico esclamativo”, di “quella strana ‘America’ che oscilla tra il film dei marines e la verbalità mitica di un Blake”. Ora, Viola Papetti, per le Edizioni di Storia e Letteratura, ha amalgamato una serie di elementi letterari che testimoniano come Manganelli legge Shakespeare (pp.82, euro 10,00). Le prime ‘letture’ shakespeariane sono del 1948, settant’anni fa, nel 1977 Manganelli pubblica Cassio governa a Cipro, una riscrittura dell’Otello. Tra i testi mai visti prima di una certa grandezza, un Amleto “trovato tra le mie carte… evidentemente una scrittura ancora in via di definizione, che non ha mai avuto rilettura né assestamento finale” (Papetti), che però ha un sottotitolo che intriga (“La mia riluttanza ad agire non nasceva da delicatezza di moralità”), manco fosse verbo di Sibilla che delinea il profilo del destino europeo. Nelle Note a Romeo & Juliet del 1964, si legge qualcosa di rivelativo: “forse hanno ragione i tribali: non abbiamo altri dèi, e dobbiamo difenderci dagli altrui dèi. Il cielo può ospitare più dèi? Di fatto li ospita. Ma che cosa è qui il cielo? Noi possiamo ospitare più dèi? Lo facciamo, ma è impossibile”. Mi pare, prima del viaggio in Africa, il suo sunto, bagliore di Sfinge risolto, il residuo di una profezia. (d.b.)

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