Barbara Alberti o della rivoluzione letteraria
Letterature
Edoardo Pisani
Non più di due mesi fa, quindi probabilmente a inizio estate, o giù di lì. Incontro un ex compagno di Università, Michele, insegnante in provincia di Ancona. Abbiamo speso i nostri anni a Lettere Moderne a Urbino: non di molto, ma mi sono laureato prima di lui. Ovviamente con un voto più basso. Mi dice apertamente che si è rotto le palle e che molla tutto. A settembre, quando riaprono le scuole, si metterà a coltivare biologico.
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Lui ama i russi, io no. Preferisco gli europei. Mi racconta che ha provato a proporre Dostoevskij ai ragazzi del liceo ma che la proposta è stata rispedita al mittente, quindi a lui. Troppo grosso, troppo lento, troppo denso. “Gli studenti faticano a leggere un libro che supera le 100 pagine” mi dice. “Semmai è colpa dei programmi sessantottini, dei prof sessantottini, di quel fatto accaduto 40 anni fa che ha disintegrato l’interesse per la letteratura”, provo a replicare.
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Io ho fatto il liceo, Michele il geometra. Lui il liceo l’ha vissuto dalla torretta di controllo, dall’avamposto una volta più temuto: dalla cattedra. Io invece dai banchi, e non per poco tempo: cinque anni di liceo+due, ho ripetuto la prima e la terza. Adoro i numeri primi.
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Pensavo che l’incontro con il prof. Michele rimanesse in qualche modo un discorso tra me e lui. Poi però Davide Brullo mi invita a leggere l’articolo “Aiuto! Dobbiamo rifondare i programmi scolastici: basta Ariosto, meglio Emily Dickinson, Antonin Artaud e Houellebecq”.
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Non so se per saggezza o per altro, ma ai tempi rinunziai con fermezza a dottorati e simili minchiate che fabbricano illusioni di carriera: meglio fare il giornalista. Si può insegnare anche scrivendo. La voce non è sempre un elemento necessario per comunicare il proprio pensiero.
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Della letteratura del liceo – svolto a Venezia nel biennio “allargato” e a Rimini nel triennio altrettanto “allargato” – ricordo poco. Del resto se i ragazzi non si iscrivono quasi più a lettere la colpa è dei programmi ministeriali, totalmente incapaci di appassionare gli studenti, anche perché troppo italocentrici e privi di quello sguardo rivolto verso il mondo.
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Non si può far studiare il Guicciardini, il Bembo e l’Ariosto per mesi. E nemmeno Brocardo e Trifon Gabriele e poi pretendere che i ragazzi e le ragazze si appassionino alla letteratura quando sempre nel Cinquecento in Inghilterra operava Shakespeare. Per non parlare poi del Sei-Settecento italiota: Giambattista Marino, Parini e Alfieri. E poi Ugo Foscolo, così da raccogliere anche i primi crisantemi dell’Ottocento. Semmai il vero problema è che gli insegnanti non li conoscono, o non li hanno studiati. Al di là del muro culturale, si è abbondato di ottimi nomi. Ma non sono italiani. E tutto quello che non è Italia non merita di essere studiato: siamo noi a detenere la letteratura.
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La “modesta proposta per sostituire i programmi scolastici vigenti” stilata con acuto rigore e altrettanta cultura letteraria da d.b. non fa una piega. Aggiungo una più modesta proposta, o meglio, qualcosa che il non-professore Alessandro Carli obbligherebbe allo studio, non dopo aver aperto i libri da abolire e averli apparecchiati in uno spiazzo enorme. Non fosse che per il solo fatto che i libri chiusi non bruciano.
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Educazione tout court italiana. Ennio Flaiano, Alberto Savinio, Luigi Pirandello ma solo il teatro, Stefano Benni. Bar Sport di Benni è in grado di avvicinare alla letteratura anche il ragazzino più selvatico e allergico alla grammatica.
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Educazione tout court straniera: Lewis Carroll, Alice nel paese delle meraviglie. Non è una fiaba e nemmeno un cartone animato: è la bibbia del non-sense. Se non lo capisci o non ti accende il sorriso mentale, puoi cambiare scuola e dedicarti ad altro.
Eugene Ionesco, La cantatrice calva. Non è un romanzo ma un testo teatrale. Va introdotto in ogni ordine di scuola, vanno portati i ragazzi al Theatre de la Huchette di Parigi dove alle sette di sera lo mettono in scena in francese. Da oltre 50 anni, se non sbaglio.
Altre letture che il prof. Alessandro Carli proporrebbe per avvicinare i giovani alla letteratura? Jim Carroll, Jim entra nel campo di basket. Baudelaire, I fiori del mare; Daniel Glattauer, Le ho mai raccontato del vento del Nord e La settima onda. Se passi la vita a spataccare sul cellulare e a scrivere su Facebook o su WhatsApp, i due testi dell’autore austriaco possono funzionare.
I primi tre libri di Maxence Fermine, Neve, Il violino nero e L’apicoltore. Poche pagine ma dense. Un approccio contemporaneo alla letteratura.
Agatha Christie, Dieci piccoli indiani. Semplicemente micidiale. William Blake tutto, così come Edgar Alla Poe. Cura piena di vitamine letterarie, non minestrine riscaldate per ospizi della mente o per case di ricovero sempre più piene di persone annoiate.
Poi ci sarebbe il teatro greco. Aristofane e le commedie proibite, quelle che la squola catto-bacchettona italiana non fa leggere perché lievemente erotiche. Ne basta una per avvicinare i giovani alla…
Alessandro Carli