15 Dicembre 2020

L’Anti-Adelphi. Storia delle Edizioni Medusa

Come si sa, Adelphi nasce nel 1962: inizia con le “Opere complete” di Nietzsche, procede, oggi, con quelle di Georges Simenon. Dalla “Sapienza greca” di Giorgio Colli a Raymond Chandler e Casino Royale il passo è più breve di ciò che appare: Adelphi, unico fenomeno editoriale del genere in Italia, è una griffe, un marchio, uno stile, il passepartout per il settimo cielo della letteratura. Specie di Re Mida dell’editoria, ciò che tocca Adelphi, pur vile, levita in materia aurea, speciale, da collezione. Figa, insomma. Solo in Adelphi Ian Fleming ha la stessa flemmatica nobiltà di Vladimir Nabokov che ha la stessa vastità dei Centomila canti di Milarepa; solo Adelphi è riuscita a fare della Versione di Barney un ‘caso’ così come di Siddharta. Se tutti gli altri editori, semplicemente, si sputtanano e mandano al macero il proprio catalogo, Adelphi mantiene, pur sputtanandosi, un’aura di aristocratica superiorità: d’altronde, gli adelphiani – più setta che ufficio – hanno ‘scoperto’ e pubblicato Cristina Campo, insieme a Tommaso Landolfi, Leonardo Sciascia, Giorgio Manganelli, Roberto Calasso, che di Adelphi è il khan, l’abba, l’inavvicinabile maestro. Imitata ma inimitabile, Adelphi pubblica libri genericamente bellissimi, a volte inutili, spesso gnostici, con una mistica che mi pare di intuire ma che non ho bisogno, qui, di spiegare.

In confronto ad Adelphi, la nascita del “laboratorio editoriale” Edizioni Medusa, che compie vent’anni, è più nebulosa, avvolta in una spirale di leggende consecutive, spesso contraddittorie. Gli artefici dell’impresa – Maurizio Cecchetti e Andrea Beolchi – sono tanto efficaci ed efficienti da sparire dal convegno pubblico. In effetti, il catalogo delle Edizioni Medusa, praticamente ‘mostruoso’, spesso si sovrappone a quello Adelphi, di cui ricorrono autori e temi. In qualche modo, Medusa è il distillato di Adelphi: fa i libri che Adelphi non fa più, non ne è in grado, al giogo del mercato, obbligata, per necessità, a tutelare il marchio – cioè, il modo in cui gli altri mi vedono, allo specchio contrapposto – più che il catalogo. Del Magnus Opus, Adelphi è la fase del nigredo, la decomposizione, l’egida del caos, mentre Medusa è albedo, la purificazione, il bianco, l’addestramento albino. Eppure, per diversa virtù di calcificazione editoriale, i libri Adelphi permangono, con le loro lapidarie copertine, mentre quelli Medusa svaniscono, nel commercio sotterraneo, taciuti, come fiamme sotto un velo. Prossimi per dissonanza: Medusa mi è sempre parsa – pure per la sgargiante bellezza delle sue copertine – l’Anti-Adelphi; con chili di brioso snobismo in più.

Sfogliare il catalogo Medusa, raccolto nel volume celebrativo – cioè: bello – Vent’anni con i libri – che ho ricevuto per ventura di dono –, fa capire il punto. Tra gli oltre 500 libri – un oceano – spiccano autori davvero cardinali, Victor Hugo, Roger Caillois, Maria Zambrano, Léon Bloy, Chateaubriand, Simone Weil, Chesterton, Thomas Mann, Henri Bergson, André Gide. Di ciascuno di questi giganti si seleziona il titolo insolito e salutare, l’inedito inaudito, la stoccata. Conservo, tra le molte perle, quasi morgana meridiana, le poesie di Andrej Belyj, La Madonna a Treblinka di Vasilij Grossman, le Lettere a mia madre dalla Cina di Saint-John Perse, il saggio Sul cinema di André Malraux, gli Scritti su Tolstoj di Lenin, un libro straordinario di Remo Guidieri, Ombre. Sul culto dei morti a Malekula, lo studio di Henri Meschonnic sulla traduzione biblica, il profilo di Boris Pasternak scritto da Thomas Merton, Il gran teatro montano di Giovanni Testori. Non c’è libro che non sia anomalo, un incantesimo, uno sguardo meravigliato: d’altronde, Medusa nasce intorno alla riflessione di Pavel Florenskij sul Valore magico della parola. Nelle intenzioni gli editori si sottraggono dal parlare di “progetto culturale”: la retorica è spinata, ovunque, e il termine “è abbastanza ambiguo per lasciare aperta qualsiasi strada. È la passione di fare libri fini a sé stessi? O, diversamente, per propagandare un’idea, una fede, una costruzione morale, un disegno etico-sociale, per quanto vago e incerto possa apparire al lettore?”. Piuttosto, hanno sempre preteso un “pubblico animato da curiosità non futili. Lettori forti, dunque, in grado di scartare dalle idées reçues, dai luoghi comuni per affrontare paesaggi culturali diversi, anche complessi; per non dire distanti dalle proprie certezze”.

Ricordo che Beolchi – specie di monaco nell’Athos della casa editrice – dopo avermi introdotto alla sapienza dei Cantos e rivelato i misteri di un artista semignoto, mi parlava dei magnetici libri Medusa. Nascondendoli. Li centellinava, nell’oblio delle mani, come fossero cose troppo preziose per disfarsene. Imbeccato da Giancarlo Pontiggia, che ha curato, dal 2005 al 2013, la collana di classici ‘Filopógon’, ho tradotto per Medusa Il libro della Sapienza. Ero poco più di un avventato che faceva esplodere braci bibliche. Il libro, credo, con sapienza, si è dissolto, non si trova neanche nel mercato alternativo. Ne calco sotto alcuni esempi, casuali.

Sulla copertina, il catalogo delle Edizioni Medusa ha l’emblema della Gorgone coi capelli forcuti di serpi; all’interno campeggia una immagine della Zattera della Medusa di Géricault. In alcuni cupi studi preparatori, l’artista francese disegna feroci scene di cannibalismo; nel quadro definitivo un uomo, mantato di rosso, sorregge un cadavere. Pare trasognato, reso alla noia, ma di ciascun morto, livido, sfinito, sta meditando la memoria. Mentre tutti mirano una urlata salvezza, vedono, forse, una nave, lui, al lato opposto, continua a fissare l’oceano, vita che va, che muore. Lì, forse, al di là del chiasso di denti, braccia, fame, è l’editore. (d.b.)

Sragionando monchi dicono:

«Corta cupa la vita

né antidoto allo sbocco d’uomo

né si sa di uno tornato dal Tartaro».

Creature del caso

e dopo sarà come non fossimo mai

fumo il fiato dalle froge

il verbo un lampo nel cardio pulsante

spento e il corpo è niente

e il soffio vacuo vento.

Il nome sparito nel tempo

e niente ricorderà i nostri atti.

La vita solco di nube

sfilacciata come bruma

tirata da dardi solari

ferita dall’afa.

Spettro vagante il tempo nostro

né ritorno dal termine…

Sorte

 di Dio non sanno

premio di pietà non attendono

lauro d’anime belle non sperano.

Dio ha eretto l’uomo per l’eterno

figura della propria figura

prurito di Nemico ficcò morte qui

bravacci suoi lo sanno lo sentono.

(Si pubblica parte del capitolo 2 dal “Libro della Sapienza”, Edizioni Medusa, 2006)

*In copertina: Pieter Paul Rubens, “La Medusa”, 1618 ca.

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