
Ho incontrato Mister Kurtz… Le mille vite di un mito
Cultura generale
Il teologo inglese Thomas Kelly Cheyne ha coniato, nel 1880, il termine “Janus word” per definire quelle parole che esprimono due significati, per lo più opposti. Il riferimento di Cheyne è ovviamente a Giano, il dio romano bifronte, che allo stesso tempo guarda avanti e indietro. Leggere il nuovo romanzo di Cormac McCarthy, The Passenger – insieme al gemello, Stella Maris, che uscirà entro la fine dell’anno – continua a farmi pensare alla parola portentous. Secondo il Webster, portentous è un presagio che “suscita stupore”, ma allo stesso modo significa “poderosamente eccessivo”. Contiene, per così dire, lo yin e lo yang: nel proprio successo risiede un fallimento. Applicato alla letteratura, può significare uno scrittore che abbia raggiunto una gravitas genuinamente profetica, ma anche chi si profonde in un eccesso di pretenziosità. McCarthy ha optato, da sempre, per una sorta di equilibrio. La spavalderia del suo stile è sempre stata ai vertici, sulla soglia tra grandezza epica e pura crudeltà. In questi nuovi romanzi, il grande scrittore americano pare vacillare.
Il primo paragrafo di The Passenger è un microcosmo del problema generale. Scena cruda: un campo innevato, una giovane donna impiccata: “Durante la notte aveva nevicato leggermente e i suoi capelli gelati erano dorati e cristallini e i suoi occhi gelidi e duri come pietre”. Prima di ambientarsi, McCarthy ti ha crivellato addosso quattro e, congiunzione che fonde e divide. Pare di sentire Hemingway, ma con il ritmo malmostoso di parole artatamente spoglie e nitide. Un desiderio di atterrire e attrarre attenzione.
Ho letto il romanzo mentre mi stavo riprendendo dalla miseria di un calcolo renale di 15 millimetri: mia figlia, che ha 11 anni, me ne ha letto alcune parti, gli antidolorifici mi rendevano impossibile leggere. A un certo punto ha posato il libro, dicendomi, “Perché dice e così tante volte?”.
Eppure, è emozionante ascoltare le frasi di McCarthy lette ad alta voce. La descrizione dei paesaggi è il marchio di fabbrica di McCarthy, per questo anche il suo incespicare affascina. Subito dopo, però, il paragrafo scoscende nei toni sballati del “portentoso”. A un certo punto un cacciatore “pensava di dover pregare, ma non avrebbe pregato per una cosa del genere” (Davvero? E “Abbi pietà della sua anima”? Non è nulla?). Leggiamo che la donna ha una fascia rossa attorno al vestito, consegnando “un po’ di colore in quella scrupolosa desolazione” (che razza di patetico errore è questo? Chi può avere così scrupolosamente creato una tale desolazione?).
Gran parte di The Passenger si svolge in una stanza, o in un paio di stanze, dove la stessa scena, con variazioni, scorre in una sorta di loop. Una giovane donna, Alicia, è a letto. È schizofrenica, all’ultimo anno della sua vita. La stanza è assediata da un susseguirsi di fantasmi, vaudeville, spettacoli da baraccone spettrale. Il portavoce di queste figure è un impresario, Thalimonide Kid, detto semplicemente Kid. Anche Meridiano di sangue, considerato da molti il libro più riuscito di McCarthy – quanto a me, preferisco i romanzi precedenti, Il buio fuori e Suttree, privi di quella sorta di barocco machismo – ha un personaggio di nome Kid. È possibile che il Kid di The Passenger sia l’evocazione zombificata del precedente, solo che in questa incarnazione ha varcato il XX secolo, uscendone annichilito. È l’allucinazione di Alicia: minuscolo, un nano di mezza età, con mani simili a pinne. “Ha strofinato entrambe le pinne”, scrive McCarthy. Egli arringa Alicia, ma possiamo pensare che voglia salvarla. Lei dice chiaramente che deve andarsene, ma McCarthy suggerisce che le mancherà, che quando se ne sarà andato qualcosa finirà, irrimediabilmente.
Alicia è un genio, una delle menti matematiche più dotate sulla terra. Probabilmente, è anche la più bella donna che ci sia mai capitato di vedere. Gli uomini mettono in dubbio le loro scelte di vita quando la incontrano. Anche il fratello, Bobby, è bello e intelligente, ma non al suo livello. Conoscendola, ha imparato cos’è un autentico genio, ha compreso che lui non lo è e questo lo ha condotto a una depressione radicale. Lui è innamorato di lei, lei di lui. Il tema è quello dell’incesto frustrato. Hanno passato la vita a desiderarsi, fatti l’uno per l’altra, ma il tabù li ha frenati.
Bobby lo incontriamo per la prima volta a lavoro. Il suo cognome è Western, perché questi romanzi parlano del destino e dell’imminente distruzione del mondo occidentale. Lavora nell’ambito del salvataggio subacqueo. Prima è stato pilota di auto da corsa. Di solito, risponde a chi gli parla con frasi concise. Se gli dici, “Ho bisogno di parlarti”, lui dirà, “Mi stai già parlando”. Quando un personaggio gli si rivolge dicendo, “Pensavo sapessi tutto”, lui replica, “No, non è così. Ma tu cosa ne sai di questo aeroplano?”.
La prima scena in cui vediamo all’opera Bobby Western è memorabile, reminiscenza – per fortuna – dell’eleganza e della potenza del vecchio McCarthy. L’intera configurazione è efficace e inquietante. Siamo in una gelida notte del 1980, un aereo a noleggio è precipitato nel golfo del Messico, non lontano da New Orleans. La squadra di subacquei cui appartiene Bobby è reclamata per ispezionare gli abissi. Noi osserviamo il tender, la persona che guida i subacquei dalla barca:
“Era sdraiato sui gomiti, con la cuffia, guardava l’acqua oscura sotto di loro. Di tanto in tanto il mare ardeva di una tenue luce solforosa, proprio là dove, quaranta piedi più in basso, Oliver lavorava con la torcia. Wester fissò l’uomo, soffiò sul tè, lo sorseggiava, poi guardò le luci che si muovevano lungo il ponte, come il lento strisciare delle gocce d’acqua sulla corda”.
Ecco quello che Wallace Stevens chiamava lo “sfarzo essenziale” della migliore prosa poetica. Anche i passi che descrivono le azioni subacquee sono riusciti. Ti sembra di vagare nelle acque, vicino a un relitto, “la forma della fusoliera che si snoda nell’oscurità”. Quando i subacquei penetrano nell’aereo, scoprono che uno dei corpi è scomparso. Di otto passeggeri, ne restano sette. Chi ha causato l’incidente è riuscito a fuggire? Oppure – cosa più inquietante – il sito è già stato visitato e un corpo rimosso? Per gran parte del resto della storia, uomini ambigui, rappresentanti di potenti agenzie, fanno visita a Bobby, rovistano tra le sue cose, minacciando di fargli del male. Pensano che sappia qualcosa sull’incidente. Ma forse sono loro a sapere qualcosa di decisivo. Una specie di atmosfera paranoica aleggia lungo il libro.
Bobby e Alicia Western sono cresciuti insieme nel Tennessee orientale. I genitori lavoravano a Oak Ridge: il padre, un fisico, ha aiutato a progettare la bomba atomica. Era un genio del Nord, mentre la madre è del posto. Qui c’è una sorta di auto-mitologizzazione dello scrittore. Anche il padre di McCarthy, Charles – che è poi il nome autentico di Cormac, tra l’altro – veniva dal Nord, capitò nel Tennessee per impiegarsi presso un’agenzia federale, la Tennessee Valley Authority, che, portando l’energia elettrica nel Sud agricolo, ha contribuito a cancellare parti della cultura popolare di quei luoghi. La TVA ha fornito energia anche ad Oak Ridge, rendendo possibili alcuni di quegli esperimenti atomici, nei primi anni Quaranta, che, infine, nella visione gotico-spengleriana di McCarthy – già osservata nell’apocalittico The Road – distruggeranno il mondo.
I Western ci aiutano a confrontarci con la vita autentica di McCarthy. I cattolici-irlandesi del centro-Sud, ad esempio: chiaramente l’ebraicità dei Western pareggia il cattolicesimo dei McCarthy. I genitori di Cormac erano yankee bene istruiti – Cormac, per altro, è nato in Rhode Island –, vivevano in una bella casa, in un luogo disseminato di baracche, mandavano i figli alla scuola parrocchiale. La madre di McCarthy, Gladys, organizzava colazioni pomeridiane per gli alunni del Wellesley. Le belle sorelle di McCarthy hanno vinto concorsi di ortografia e ottenuto borse di studio per andare altrove. Erano degli alieni in quei luoghi. Tutto ciò rende meraviglioso e paradossale il fatto che McCarthy abbia ereditato il ruolo di “Grande Scrittore del Sud”. Il suo passato non inficia i risultati. Abitare in un mondo guardandolo dall’esterno permette una sensibilità più accurata, accresciuta, distaccata. Quando il “Knoxville Journal” registra che un giovane McCarthy è stato “accidentalmente colpito a entrambe le gambe”, di notte, mentre “stavano giocando con un amico con un vecchio fucile calibro 22”, comprendiamo quanto le influenze locali si siano infiltrate in lui. Chiamiamolo senso del luogo.
I due romanzi, The Passenger e Stella Maris, sono gemelli, e ciascuno è assegnato a un fratello. O ceduto. C’è molta Alicia, nella sua camera delle allucinazioni, in The Passenger, che è in definitiva il libro di Bobby. Stella Maris ha la forma di una lunga discussione tra Alicia e la sua psicologa, nell’istituto psichiatrico in cui è ricoverata. Sappiamo che queste sessioni termineranno con il suicidio di Alicia nella neve. La sua parte nello scambio è la trascrizione di una mente disintegrata.
I critici hanno spesso stigmatizzato l’assenza di personaggi femminili nell’opera di McCarthy. Le donne tendono a essere oggetti di vaga venerazione erotica, o apparizioni momentanee, quando non prostitute. Alicia si disseziona e si difende, in queste pagine, raccontando la sua vita. È così geniale che poche persone al mondo possono sostenere una conversazione con lei. Odia, compiange, rispetta il suo terapeuta. Non è del tutto convincente, ma è più risolta di Bobby che resta una specie di metafisico Marlboro Man. Non si comprende del tutto perché sia stato necessario un altro libro, Stella Maris, a registrare le trascrizioni della terapia subita da Alicia. È una scelta arbitraria.
The Passenger non è certamente il più bel romanzo di McCarthy, e questo perché lo scrittore, a quasi novant’anni, ha avuto l’audacia di spingersi in nuove regioni letterarie. In questi romanzi, cioè, ha fatto ciò che non ha mai fatto prima: non tanto concentrarsi su un personaggio femminile, ma scrivere di gente comune. Certo, si tratta pur sempre di persone dolorosamente belle, spesso intelligenti all’eccesso, ma non sono epiche. Non lo sono del tutto. Hanno avuto un’infanzia, vivono un’età adulta traumatica o troncata. Frequentano ristoranti e bar, fanno visita agli amici. Viene da pensare a ciò che ha scritto Edward Said sullo “stile tardo”, sui cambiamenti che subisce uno scrittore nelle fasi finali della sua carriera. Said parla del “potere del disincanto, cioè di rendere piacevole un fatto senza risolvere la contraddizione”. Questo è possibile grazie a una “soggettività matura, spoglia di arroganza e presunzione, che non si vergogna dei propri limiti né delle modeste sicurezze che ha acquisito come risultato dell’età”. Se questo è ciò che sta accadendo a McCarthy potremmo attenderci altri romanzi “tardivi” migliori di questi.
John Jeremiah Sullivan
*Si riproduce qui, in larga parte, l’articolo pubblicato sul “New York Times” del 19 ottobre 2022, “Cormac McCarthy’s New Novel: Two Lives, Two Ways of Seeing”