12 Maggio 2019

Matteo Fais: “Ve lo racconto io chi sono quelli di Altaforte: dei democratici del c@@@@”; Davide Brullo: “Il problema sono le Edizioni Anfora, che condannano a morte gli autori, e chi si sveglia dal torpore dicendo che Pound è ‘sopravvalutato’”

Caro Davide,

non hai idea di quanto mi faccia godere stare dalla parte dei reietti. Finirei anche in galera per le mie idee, come il mio conterraneo Antonio Gramsci – anche nel mio caso, ne sono certo, quelli della mia parte politica farebbero di tutto per lasciarmi marcire in gattabuia.

Pubblico ogni settimana qui su Pangea, ma collaboro anche con Altaforte. Scrivo su “Il Primato Nazionale”, la rivista pubblicata dalla casa editrice vicina a Casapound. Inutile dire che la loro esclusione dal Salone del Libro di Torino mi indigna e mi inorgoglisce. È da quando ero bambino che faccio l’esatto contrario di ciò che fanno tutti.

Ma il motivo per cui ti scrivo è per raccontarti quanto poco fascisti siano questi fascisti di Altaforte Edizioni. Vedi, come diceva un mio collega di università, “io avrei voluto battermi contro una società reazionaria fatta di bigotti e repressori, ecc. Poi, però, mi sono reso conto che questo è un mondo di baldracche e rotti in culo liberali, dunque diventare un reazionario è stata la cosa più naturale per me”. Anche io avrei voluto un uomo con i coglioni, un Mussolini per capirci, contro cui lottare, invece mi trovo questa mezza sega di Zingaretti, uno che è persino peggio di Bersani, Veltroni, D’Alema e Occhetto. Pertanto ho venduto le mie modeste doti intellettuali e conoscenze letterarie a quei fascisti esclusi dalla kermesse torinese. E sai cosa ho scoperto? Che non sono per niente fascisti.

Fino a oggi io mi sono rapportato con Adriano Scianca, l’ultra mega Direttore Galattico di questo mensile, che mi ha chiesto di scrivere di letteratura per loro. Quando mi propose di collaborare, io gli dissi più o meno così: “Vorrei precisare che io non sono di Casapound, non ho mai preso la tessera e non ho intenzione di farlo in futuro. E, perdipiù, la maggior parte dei miei autori preferiti è di sinistra”. Scianca, che è un dannato cinico inscalfibile, mi ha risposto “Vabbè, per me non è un problema”. Insomma, ma che cazzo di fascisti sono quelli di Altaforte? Io volevo essere malmenato, preso in consegna e portato in caserma, costretto a bere olio di ricino. Invece, questi quattro cazzoni di “fascisti del terzo millennio” mi hanno accettato così, senza colpo ferire, come se fosse normale scrivere di autori di sinistra su un giornale di destra che ha l’ambizione di fronteggiare l’egemonia culturale dell’avversario. Ma dove siamo? Non ci sono più i fascisti di una volta! “Il Primato Nazionale” è un mensile di fascisti democratici. Insomma, che devo fare per vedere un po’ di contrapposizione alla mia persona, chiedere un posto a “La Repubblica”?

Matteo Fais

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Impressioni dal Salone del Libro, dove i libri non contano più nulla (in appendice: incontro cavalleresco con Missiroli)

Una volta al Salone del Libro andavo per comprare i libri, era la più grande libreria d’Italia. Ricordi d’infanzia. Mio padre faceva il direttore della Biblioteca di un paese di periferia, era cresciuto a Milano, conosceva Mario Capanna, si è laureato su Pietro Nenni, a casa aveva le opere di Togliatti, la omnia di Lenin e Il tramonto dell’Occidente di Spengler. Oggi al Salone del Libro ci sono più umani che libri, si viene per ‘partecipare all’evento’, i libri, in effetti, potrebbero non esserci.

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Insieme ad Alessandro Gnocchi vado a salutare Francesco Giubilei. Ciao sporco fascista, gli dico. Conosco Giubilei da tanti anni, da quando, nel 2008, ha fondato Historica edizioni. Stefano Simoncelli, il poeta, lo ha portato a battesimo, sporco fascista pure lui. Ragazzo con idee solide – che non chiede siano accettate da terzi forzatamente, con olio di ricino in allegato – e testa quadrata, quest’anno, poveretto, viene al Salone fiero di aver pubblicato, tra l’altro, due volumi di Racconti dal Piemonte. E deve ricevere minacce di morte e vedere il suo microstand scortato a forza dalle forze dell’ordine. Giubilei. Non Longanesi. Mica Bompiani. Anni fa, con Giubilei, ho inventato una collana editoriale. Si chiamava ‘Classici in rivolta’. Siamo riusciti a pubblicare un libro di Jonathan Swift, Aboliamo il cristianesimo!, c’era in ballo un testo di Virginia Woolf, che con la Hogarth Press fondata insieme al marito Leonard, come si sa, pubblicò, nel 1933, La dottrina del fascismo di Mussolini. Sporca fascista pure lei.

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Il vero editore di cui avere paura, comunque, sono le Edizioni Anfora. L’ultimo libro si intitola Settembre 1972, firma Imre Oravecz. Le Edizioni Anfora sono specializzate in letteratura “dell’Europa Centrale”. Ungherese in particolare. Sfido la audace editrice, Monika, che mi deve una intervista da anni. Lei, con ironia ultra balcanica, mi fa la lista degli autori che ha stampato e che sono deceduti poco dopo. Beh, le dico, hai fatto risorgere l’opera di Magda Szabó e mandi sotto terra tutti gli altri… lei ride. Bisognerebbe esiliare te dal Salone, sei un pericolo, le dico. E attacco. Comunque, quando voglio farla finita ti chiedo di commissionarmi una introduzione, o un romanzo sotto falso nome.

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Nino Aragno è inafferrabile e geniale. “I miei libri non si trovano in libreria? Certo, non sono mica uguali a quelli di tutti gli altri. Dovete cercarli”. Non fa una piega. Riesco ad avere due ‘novità’ – ma i libri sono sempre nuovi – di nitida bellezza, lo Spinoza di Giuseppe Rensi e Il visitatore della sera di Marcel Proust, che racconta i rapporti del grande romanziere, tramite lettere e documenti inediti, con Paul Morand e la fascinosa, spiazzante Madame Soutzo. Ho anche l’onore di conoscere e conversare con i curatori. “…significa essere il capocomico di una compagnia di giro”, fa Aragno, che è forse l’editore più colto, oggi, in Italia, parlando di cosa vuol dire fare l’editore. Poi, sulla vicenda che vola di bocca in bocca al Salone. “Vent’anni fa, ero appena nato, esponevo al Castello di Belgioioso a Pavia. Il promotore mi aveva messo in mezzo tra Franco Freda e Curcio. La ‘guerra civile’, voglio dire, si faceva con cavalleria, senza questi strepiti”.

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Nell’unico giorno che sono al Salone, accade un fatto intellettualmente cretino. Su SuccedeOggi Filippo La Portadi cui spesso si è parlato su queste pagine, anche riflettendo sui suoi libri, con coerente curiosità – fa una bordata Contro Ezra Pound. Il sottotitolo è agghiacciante: “È arrivato il momento di rileggere Pound, un intellettuale sopravvalutato che frulla in un vortice unico Est e Ovest, haiku e provenzali, classicità e sperimentalismo, Ovidio e Cavalcanti, Jefferson e Mussolini. Forse se le merita, le speculazioni dei nuovi fascisti”. La speculazione di La Porta, fatta senza citare un brano né un verso di Pound – grave da parte di un critico letterario, mi pare – è ancora peggio. “Proprio sicuri che Pound, che si sentiva contemporaneo di Dante e Cavalcanti, sia stato uno dei maggiori poeti del ’900, come enfaticamente dichiarò una volta Cacciari di fronte alla sua tomba veneziana? Avrei molti dubbi in proposito. Per certi versi mi appare come un insuperabile software della cultura universale, una sterminata enciclopedia in forma poetica dell’intero sapere umano. Montale disse una volta che nel suo cervello si celebrava “un festival della letteratura mondiale”. Aggiungerei: un festival postmoderno inzeppato di reminiscenze classiche e mitologie culturali, a volte scadenti o perfino un po’ fasulle”. Pound, come si sa, non è solo il più influente poeta del Novecento – ha influenzato anche quei fascistoni della Beat Generation – ma è quello che ha aiutato a pubblicare Joyce, ha corretto i versi ingenui di Thomas S. Eliot, ha insegnato a Hemingway come si scrive, è stato il segretario personale (e vulcano di idee) di William B. Yeats (altro spiritato fascista). La Porta che vuol defenestrare Pound… mi sembra una cretinata pazzesca. Al contrario, io – che, per inciso, ritengo altri ‘i massimi poeti del Novecento’, ma che c’entra?, un critico non esiste per misurare chi l’ha più lungo – lotterei perché vengano pubblicati a dovere e come si deve tutti i libri di Pound, ora latitanti. Imbarazzante, poi, la differenza che La Porta situa tra Pound e Céline: a suo avviso “lo scrittore francese, che pure finì collaborazionista e autore di ripugnanti libelli antisemiti, aveva qualcosa di intrattabile e di refrattario alla destra. Nei primi romanzi difende gli sventurati e i senza potere, denuncia l’idiozia e l’orrore della guerra fino a elogiare la vigliaccheria, oltre a curare gratis come medico i barboni della banlieu parigina. No, troppo infido e pericoloso da maneggiare politicamente”. Si noti. Il Céline scrittore è niente, non lo si considera neppure: l’importante è che abbia aiutato i barboni, è come uno di Medici senza Frontiere che scriva un romanzo, ‘eccolo il nuovo Céline!’, esultiamo. Difendere Pound dagli attacchi di La Porta, mi pare un esercizio ozioso: che un critico lavori per demolire alcuni valori lirici certi, è gesto da bombarolo frustrato. Nel ricordare Giovanni Raboni, appena morto, è il 2004, sull’Independent, Ghan Singh scrive: “Su mio invito, in un saggio pubblicato nel 1990, Raboni contribuì parlando dell’umanesimo di Ezra Pound. Tra le altre cose affermava: ‘Il debito con Pound – mio e di molti poeti della mia generazione – non può essere ripagato, non potrà mai essere ripagato. Proprio perché non era un maestro, fu il solo maestro possibile, il solo che avremmo voluto avere’”. Per la legge dei vasi comunicanti, mi pare che La Porta non possa nettare il vaso da notte di Raboni.

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Ultimo sketch. Incontro con Marco Missiroli. Lo conosco da anni. Ho pure presentato un suo libro a Santarcangelo. L’ho stroncato più di una volta. I suoi romanzi mi paiono senza sale e lui uno scrittore senza palle. Ma è uno scrittore, appunto. Ci incrociamo, nella folla, ci stringiamo le braccia, sorridendo, senza dire nulla, come antichi cavalieri. Poi gli dico, buona fortuna, come se non fossi io ad averne bisogno. (d.b.)

In copertina: Ezra Pound con Pier Paolo Pasolini, nel fatidico incontro del 1967

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