Austera grandezza del beghinaggio: valicare le gerarchie, mettersi a lato; disseminati in Dio. Tutto torni all’amore beghina: il corpo conferito all’oro da vasti manti, da aquila in cattività; l’ardore nel contemplare; l’arte del cucito – angelo gratificato da scintillio d’aghi. L’uniformità delle dimore – tutte triangoli e finestre pari a bocche – ospita l’informe: il cuore in pena, in piena, di gioia ripieno.
Il beghinaggio come via intermedia: bianca vedovanza, il corpo di Cristo che non si fa mettere alla stanga dal sacerdozio, che fugge – faina, lince, pantera – dall’emporio delle basiliche. Dunque: su di sé l’eterna fatica del mondo, tra eremo e lavoro, sudditanza del silenzio, vita arsa dalle visioni. Eccole, le beghine: stimmate in mezzo alla città; voce che viene dal vortice, l’accattona, la malaccetta, la pia donna che ricuce l’incurabile al padre, terminale di ogni male, che tutto ha trasceso. Figura lattea, che tuttavia abita una sua inaccessibile notte.
Nata al principio del XIII secolo, da nobile famiglia, Mechtild/Matilde di Magdeburgo fu invasa da visioni dodicenne; nel 1230 “rinunciò agli onori del mondo e alle ricchezze del lignaggio” per farsi beghina. Ebbe, pare, ruolo di guida nel beghinaggio di Magdeburgo; passò, tuttavia, estremi momenti di solitudine, a tu-per-tu con Dio. Nel suo dire, la dolcezza del Cantico si fa bronzea, ha calzari di corda. Fu il suo confessore, il domenicano Enrico di Halle, a stimolarla alla scrittura: il suo libro, in versi e prose, “Das fliessende Licht der Gottheit” (La Luce fluente della Divinità) scritto nell’arco di una vita, in basso tedesco, fu tradotto in latino, ebbe alta notorietà, lo costrinsero, per un po’, tra le cesoie della censura ecclesiastica.
Intorno al 1270 la donna trovò rifugio nell’abbazia di Helfta, centro spirituale d’alto lignaggio, che faceva propria la regola di san Benedetto. La mistica vi trascorse gli ultimi anni in quiete; la morte la prese nel 1283. Il linguaggio di Matilde – di cui qui si traducono alcuni versi – è granitico, si articola per simboli: afflato affinato da una scienza dell’abbandono, da un conciliabolo di roghi. Alcuni dicono che a lei si rifà la Metelda, “una donna soletta che si gia/ e cantando e scegliendo fior da fiore/ ond’era pinta tutta la sua via”, che Dante incontra nel Purgatorio.
Su ogni cosa è ferino il fuoco: Dio brucia, brulica facendo lo scalpo alle forme, le fiamme s’impennano, la cenere è il Suo sacro beveraggio. L’unione è bruciante: occorre toccare il fondo, il profondo del proprio essere, incunearsi nel pozzo oscuro, perché Lui ci faccia sua preda, a concelebrare con torce. Anche la danza è indizio della Sua via, primo viatico verso l’ebbrezza.
***
Aquila che s’impenna, dolce agnello
brace che arde: dammi fuoco! Appiccami!
Quanto a lungo dovrò sopportare la sete?
Un’ora è troppa
un giorno è un millennio
se a me sei assente!
Altri otto giorni così
e preferirei gli inferi
che già sono il mio giaciglio
allora Dio dovrebbe celarsi
agli occhi della sua amorevole anima
perché subirebbe angoscia
più grave della morte – dolore
oltre ogni dolore perdere la musa
usignolo che sempre lo canta;
Sua natura è Amore: chi lo assaggia
è sempre sull’orlo di morire.
Potente Signore, mira al mio bisogno!
*
Vuoi conoscermi?
Sdraiati nel Fuoco
fissa e assapora il Divino
Fluttuare nel tuo essere;
senti il Santo Spirito
che commuove e compenetra
tutto, che ti fa coniuge del Fuoco
che fluttua, della Luce di Dio.
*
Benedetta assenza di Dio
con quanto amore mi leghi a Lui!
Rafforzi la mia volontà col dolore:
più è dura la Sua assenza
più lo rendi caro al mio lacero corpo.
Più mi avvicino a te
più meravigliosamente e in abbondanza
Dio viene a me –
nell’orgoglio posso perderti
ma nel fondo della pura umiltà, o Signore,
non posso allontanarmi da te.
Più cado nel profondo più è dolce il tuo sapore.
*
Non posso danzare, Signore, se non mi guidi.
Se vuoi che mi abbandoni al ballo
intona la Tua canzone
allora, sprofonderò nell’amore
e dall’amore alla sapienza
e dalla sapienza alla gioia
e dalla gioia al punto al di là di ogni umano senso.
Lì voglio restare, ma voglio danzare ancora e ancora ascendere.
*
Dio si rivolge all’Anima
E Dio disse all’anima:
ti desidero da prima che il mondo
avesse inizio – ti desidero
adesso, come tu mi desideri.
Là dove i desideri si congiungono
l’amore è perfetto.
*
Ciò che Dio dice all’Anima
È la mia natura che mi obbliga ad amarti spesso
perché io sono l’amore.
È il mio desiderio che mi obbliga ad amarti con intensità
perché desidero che un cuore mi ami.
È la mia eternità che mi obbliga ad amarti sempre
perché io non ho fine.
*
Di tutto ciò che Dio mi ha mostrato
non posso dire che la più misera parola:
una scaglia di miele che resta
incagliata sulle zampe di un’ape
da una traboccante brocca.
*
Teneramente
l’amore fluisce da Dio all’uomo
come un uccello
che solchi l’aria
senza muovere le ali.
Così abitiamo nel Suo mondo
e corpo e anima sono uno
benché separati nella forma.
Mentre la Sorgente intona la nota
l’umanità canta –
lo Spirito Santo è il nostro arpista
e tutte le corde
che Amore tocca
devono suonare.
*
Un pesce non annega nell’acqua
un uccello non precipita nell’aria:
nel fuoco della creazione
Dio non svanisce
è la fiamma che tutto illumina.
Ogni creatura fatta da Dio
deve vivere nella sua vera natura;
come puoi resistere alla tua natura
che vive per unirsi a Dio?
*
Sì: berrò di Te
e Tu di me berrai –
tutto il buon Dio ha serbato per noi.
Beato chi si incardina in questo precetto:
non uscire mai da ciò
che Dio ha riversato in lui.