07 Febbraio 2022

"Chi osa dire una verità è dileggiato". Dialogo con Salvatore Massimo Fazio

In un panorama letterario spesso ripetitivo e prevedibile, Il tornello dei dileggi, (Arkadia Editore) debutto nella narrativa del catanese Salvatore Massimo Fazio, già filosofo e saggista oltre che psicopedagogista, si distingue per profondità dei temi e originalità del linguaggio. Romanzo profondo e divertente, in cui  numerosi personaggi ironici e tragici, una storia d’amore misteriosa e complicata e uno sguardo sarcastico sul mondo culturale italiano si alternano a vere e proprie disquisizioni filosofiche sui temi classici e imprescindibili della condizione umana, fino a un finale spiazzante che ribalta il punto di vista su tutto quel che è stato narrato prima. Ne abbiamo dialogato con l’autore.

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Il tuo stile di scrittura è particolare, tra la prosa poetica e il flusso di coscienza, o forse c’è anche qualcos’altro che mi sfugge. Fatto sta che si legge e si pensa, non è il solito stile paratattico fatto di frasi brevi che va tanto di moda oggi, ma non è nemmeno un fraseggio ampio dal sapore antico. E’ uno stile nuovo. Come lo definiresti?

Non saprò mai se il mio stile è nuovo, so che ci sono anni a leggere sicuramente storie interessanti, ma delle quali non ne potevo più, e allora giochiamo con lo stile, come quelli che scrivono tutto in minuscolo, o quelli che non usano la punteggiatura, pensa tu: ai premi li candidano per questi sotterfugi, così magari da sconfessare la purezza di quei pochi premi rimasti puliti per l’appunto. Puliti? Può darsi, come il contrario però! “Si legge e si pensa…” dici bene: fu questo l’intento, stravolgere le figure della lingua italiana usata per lo scritto per poi ricamare e con cura e cautela artigianale, sfoltire, sfoltire a più non posso, pur mantenendo un ensemble di significanti. Non so dirti se è uno stile nuovo, è sicuramente il risultato di un esperimento: la meta narrazione per tenere legate al filo dei panni tutte le vicende, che fanno riferimento alle culture esposte, appese.

Paolo, il protagonista, è un intellettuale, rilascia interviste, frequenta salotti culturali, le sue opinioni hanno un peso. Ad un certo punto riceve un’accusa di misoginia, cui replica con un ragionamento ineccepibile in cui rivela le contraddizioni insite in certi meccanismi del mondo del lavoro. Credi che il politicamente corretto serva a mascherare le dinamiche reali?

Nel mio intento, Paolo è uno dei protagonisti, colui che appare di più perché l’incipit è di una donna con la quale legherà, per capire che è pazza e lo sta portando al sacrificio: questo il movente dell’accusa di misoginia. Succede nella sua esperienza lavorativa che il danno lo fa un gineceo di carogne infette di sesso femminile, dunque le misogine sono le componenti di questo gineceo, ma è solo uno dei passaggi. C’è di tutto nel romanzo e tocca tutti i generi, ciò per rispondere al fatto che il politicamente corretto è sì una maschera, ma ci sono gli intuitivi che quella maschera riescono a fartela cadere e allora non importa più il politically correct. Inezia.

Il tornello dei dileggi nasceva a Catania per volontà di quattro illustri personaggi ai quali la città aveva riconosciuto dei soprannomi: Aristide era il diavolo, Franco il musico, Paolo, ovviamente, il maestro e Andrea il saggio.
Il format era centrato sul 
modus vivendi di ognuno dei quattro riguardo agli argomenti in scaletta. Il tutto condito con approvazione eccessiva o disapprovante dileggio del pubblico che veniva sollecitato e aizzato da infiltrati, amici dei quattro.” Il tornello dei dileggi nel romanzo è uno spettacolo, un format. Una specie di moderno e più aggressivo Costanzo Show. Mi ha ricordato molto però anche le dinamiche delle discussioni sul web. Quali sono, nel mondo odierno, i dileggi?

Voglio precisare che Il tornello dei dileggi è la traslitterazione de “Il tinello del dileggio”, format realmente esistito a Catania, e fondato da Andrea Pennisi. Format che ho avuto l’onore di rappresentare assieme ad altri tre partecipanti. Quanto ai dileggi oggi, sono molti e nuovi: oggi chi osa dire una verità perché gli appartiene, se non conviene ai maiali, se non piace a chi del radical chic ne fa una professione di fede, è dileggiato prima ancora di esporsi; capita anche nel mondo lavorativo dove si innesca potente la teoria del capro espiatorio, attenzione, ciò che sto per dirti è duro, ma è vero: dipende il contesto in cui sei, ciò che conta sono le scarpe che porti, i vestiti che indossi, il malessere più brillante che racconti… la produzione, la salvezza, l’impegno non conta molto, anzi viene dopo, se c’è tempo. Se tu osi, dico soltanto osi, sfiorare l’idea di un richiamo al lavoro, sei inteso, lo dico in termini psicologici, come un leader autoritario che dispone e non dà possibilità di replica; quando invece manco il tempo di essere leader hai. Altro dileggio, dunque!

Il romanzo ruota intorno alla storia d’amore tra Paolo e Adriana, o almeno così sembra, fino a un finale a sorpresa che non riveliamo. Poi c’è Giovanna, una moglie, sullo sfondo. Cosa rappresentano questi personaggi? Al di là delle vicende che narri, hanno una funzione simbolica?

La storia d’amore non è soltanto dei due succitati, proprio Giovanna è il Super Io, il controllore perfetto che non irrigidisce, l’astrazione, la dimensione altra, la nevrosi e apatia che si realizza junghianamente se ti fermi troppo tempo senza avere rapporti sessuali che ti appaghino. Ecco la simbologia: dall’esperimento socio-individualizzato, all’archetipo: quella sfera che osservi, che ruota e sempre ti consegna novità, ma tu stai fermo a guardare una sola zona.

Paolo ha frequentato un istituto alberghiero, dopo essere sfuggito agli “snob dei licei”. Riuscirà comunque però a realizzare un percorso universitario soddisfacente. Pensi che ci siano dei pregiudizi in Italia verso le scuole professionali? E che i diversi istituti scolastici si portino ancora dietro una divisione per classe sociale?

La scelta di proporre una maturità alberghiera nasce per diversi motivi: in primis per sconfessare quel qualunquismo che abbatte a tutti i costi gli studenti di questa e altre scuole tecniche e professionali, con l’avallo, se non erro, di un pessima uscita di un giornalista qualche anno fa contro il sistema alberghiero sulle pagine di un quotidiano democraticissimo! Il pregiudizio è violento e si erge principalmente da sinistra: la sinistra dei giovani, dei miliziani post università, dei docenti accademici, rossi (io non dimenticherò mai il 1998 ad un esame di Storia Moderna presso la facoltà di Scienze della Formazione. Il docente, silurato un candidato, ne chiamò un altro, guardò il libretto di quest’ultimo e disse: “ma lei è un geometra, cosa vuole qui?” – Università degli Studia di Catania, anno 1998). Il pregiudizio non si manifesta con certa intensità da sinistra perché ogni volta che un politicizzato a destra dice la sua, vengono affossate idiozie di migliaia di sinistrorsi. Questo è il punto: il discrimine non sta a destra, ma proprio dall’evoluzione di certa sinistra che pian pianino non si è più capito nulla dove starebbe. La sinistra attuale, come i sindacati: inflazione per distruggere l’immensa immagine della grande Madre Russia. Anche di questo racconterà Paolo ad Adriana, e si scontreranno, perché lei ha appreso che deve stare al posto giusto nel momento giusto, in sintesi, ha applicato quella che in analisi, il suo analista è complice, è la razionalizzazione, dunque la distruzione dell’uomo, che si porta fuori dal setting il cadre costituitosi: la rovina ontologica!

Fotografia di Leonardo Lodato

Proprio qui volevo arrivare, Paolo ha un passato di impegno politico a sinistra, anche piuttosto militante, ma nel presente è disilluso, forse anche vagamente di destra, anche se poco convinto. Sembra una visione piuttosto diffusa, è anche la tua? E da cosa nasce secondo te questa disillusione?

È la visione di molti. Purtroppo c’è tensione, specie negli ambienti culturali, a dichiarare il proprio intento politico: rischi di essere ghettizzato. Così non va bene. Io a Catania posso farti i nomi di Giovanni Coppola, Pietrangelo Buttafuoco, ma anche di Marco Pitrella o addirittura Antonio Di Grado, quest’ultimo, raffinato italianista che non si tira indietro nel fregarsene di pensare se un autore è politicamente esposto a destra, almeno così appare dalle sue ultime pubblicazioni. Che sia la mia visione è quasi scontato, l’imbecillità di osservare con pregiudizio a destra se n’è andata prestissimo, rimanendo in una visione che realizzi una pars costruens al di là delle scelte o delle appartenenze politiche.

Paolo è un consulente filosofico, una specie di alternativa alla psicanalisi. Tu sei sia filosofo che psicopedagogista. Pensi che queste due vie per la conoscenza di sé siano in alternativa o complementari?

Partendo dal presupposto che chi possiede il suffisso PSI spesso la vocale “O” sa farla solo con il bicchiere capovolto, stando alla mia esperienza ovviamente, rammento che la filosofia e relativa consulenza e la psicologia e relativa psicoterapia e analisi, esistono solo e grazie a ciò che si sviluppò nel V sec. a. C. in Grecia, dunque la riflessione pedagogica. Se con un atto di umiltà, spargendosi il capo di cenere, si accettasse che sociologicamente il suffisso di cui sopra ha preso il sopravvento in masse di laureati, che oltre a lavorare, oltre ad essercene uno per stanza in ogni casa, oltre a non aver interessi se non dichiarare sentenze verso qualunque movimento faccia un’altra persona, in sintesi, oltre a razionalizzare la propria vita puntando sempre il dito verso l’altro, oltre una infinità di canagliate che a modo loro li fa camminare con spalle dritte e petto in fuori (“ma certo che sono di sinistra!”, felici annunciano al popolo pensando che, come ti dicevo prima gli psicopatici li riconosco, conosco anche chi della manipolazione ne fa unica fucina di conoscenza personale per squalificare un diretto collega, quando invece è lui, palesemente, il manipolatore), oltre tutte queste bestialità, dunque se si accettasse e ricordasse che esistono perché ad ‘aprire i giochi’ fu – nuovamente – la riflessione pedagogica, allora la filosofia non sarebbe un’alternativa alla psicologia, bensì la strategia migliore per evitare di spellare economicamente chi vive un processo di malessere. Ciò ovviamente non toglie la mia ammirazione invece per bioniani, junghiani, hillmiani e tutti quanti ti servono le chiavi per non approdare al delitto della razionalizzazione: una illusione per tirare avanti a campare male e che riporti all’altro che ti mantiene.

Nel romanzo parli molto anche di calcio. Trovi che anch’esso abbia una valenza filosofica? E che sia un’ulteriore strada per la conoscenza?

Il calcio, è troppo importante per me, per molti. Ha una straordinaria valenza filosofia che richiama Feuerbach, ma anche altre tesi di esponenti non indifferenti: inventarsi Dio per sopravvivere. Col calcio, ci si attacca alla ritualizzazione storica dove ci si sfogava a vedere animali che sbranavano gladiatori. Oggi ci si sfoga a urlare contro il vento qualunque parola, che sia di appartenenza o meno, per scaricare tensioni di settimane di abitudinarietà. Il calcio infine ti permette di fare i conti con te stesso: il tifoso ha un ruolo che conosce bene e che struttura al meglio quando si unisce ad altri: si scopre, sa chi è, sa dove può arrivare la sua potente tragedia di essere umano in terra.

Incontriamo Paolo su un treno per Milano, poi in un museo a Madrid, ha studiato a Palermo, vissuto a Londra. Che significato ha la geografia nella tua narrazione? E oggi tutto il mondo è paese o ancora i luoghi determinano le nostre vite e le nostre scelte?

Purtroppo, lo ammetto a malincuore, il famoso detto ‘tutto il mondo è paese’ è realissimo. La geografia, non saprò mai se ha un ruolo essenziale nella mia narrazione: ho raccolto per più di sette anni appunti su ciò che osservavo e ciò che mi e che capitava attorno a me, che ho vissuto tutte le città citate nel romanzo, città dove mi sono accorto, rientrato a Catania quattro anni fa per una grave situazione familiare di salute che ha coinvolto tutti i miei diretti amati, che risposte, arroganze, gesti gentili e isterie varie sono identiche dal nord dell’amata Norvegia alla multiculturale e multi politica Turin, per passare dalla bellissima Firenze e dal cuore del mondo che è l’asse Roma-Catania.

Nella colonna sonora del libro campeggiano CCCP e CSI, i gruppi fondati da Giovanni Lindo Ferretti. Cosa hanno rappresentato per la tua generazione?

Anche i PGR e PG3R, che furono sempre fondati da Ferretti. Sicuramente hanno rappresentato la grande necessità di trovare la strada anti depressione, che ha sortito il seguito di chi vuole osservare solo la superficie. Che negli ultimi quindici anni Ferretti sia passato al cattolicesimo, poi a destra, poi vicino alla Lega, per poi tornare ad Atreju e dichiarare che è in debito con il popolo di destra, non cambia nulla se mai fossimo (fossero, n.d.a.), riusciti a fregarcene di stare nel luogo giusto al momento giusto per non sparire, giusto per citare il personaggio di Adriana nel Tornello. Questo è l’umano e non necessita di mantenere una linea.

Sbocciava l’illusione dell’amore semplice”, scrivi a un certo punto. Invece l’amore di Adriana per Paolo è contraddistinto da molte indecisioni, dubbi, ripensamenti, anche giudizi. Paolo ad un certo punto le attribuisce disturbi della personalità. E’ una diagnosi reale, o tendiamo a vedere come malattie psichiche quello che degli altri non ci fa piacere e non asseconda i nostri desideri?

Nello specifico, ho riportato una di quelle ‘recite’ alle quali ho assistito e che ho vissuto, in diversi luoghi d’Europa e ho voluto marcare anche la distinzione tra ciò che è un atteggiamento contro la figura femminile e ciò che è un dato reale: Adriana gioca con Paolo perché Paolo è un addetto ai lavori. Adriana si accorge e decide di non sottostare: ma in verità a cosa sottostà? A ciò che non riconosce: la sua malattia del pensiero, perché Paolo ne è potentemente preso da non giustificare tutto, ma cercare sempre una via di dialogo per capirsi.

Lì è importante esserci, perché c’è la gente giusta al posto giusto. Paolo non amava questo orribile ménage, era un’alternativa fittizia, tutta una fregatura quel salvare la forma e rimanere visibili tra amici o pseudo tali”. In questo brano stai descrivendo l’attuale panorama culturale e letterario italiano?

No, descrivo ciò che ho detto sopra. Però se mi lanci l’asso io lo colgo e posso dirti che, se vuoi approdare a una dimensione letteraria medio alta devi: cercare l’editore indipendente figo, anche se rosichi che non pubblichi con le major; dichiararti spudoratamente non di sinistra, ma comunista, sai di quel comunismo che teneva molto con slogan e bandiere all’idea di famiglia? Dunque una cosa che io non ho mai conosciuto ad personam, poi se sei capace devi scrivere sempre di ‘minchia’ o di melodrammi: verrai recensito, ben visto, sarai il nuovo e l’altro è sempre inferiore… solo che queste idee te le coltivi in quel centimetro cubo che ti è rimasto in testa.

Definiresti Paolo un nichilista? Molti dei riferimenti filosofici che cita lo sono. E chi è oggi un nichilista? Un romantico deluso? O un realista?

Il nichilista contemporaneo lo è perché cognitivista e ragionatore, dunque un realista. Paolo non è nichilista, i contesti che formano il tentativo di romanzo, lo sono.

Una domanda difficilissima: spiegaci il finale a sorpresa, in poche parole, senza rivelarlo

Rispondo con semplicità difficilissima: incesto, astrazione, schizofrenia e onirismo quanto sono presenti in tutti?

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A Catania sentirsi straniera nella propria città. Ma Adriana è fuori posto ovunque, dice di sé allo specchio, in un mattino di terrore e Scirocco. Esplodono i cassetti perfettamente ordinati nel computo dei quaranta e più anni e degli uomini, a volte appaganti a volte meno, tutti in un fiat, passati da alba a flagello.
Esce la sera con amiche recenti e anche trentenni. La calura devasta meno se è trama senza ordito, se non c’è relazione ma impatto, endorfina. Qualche scopata, appunto, in presunta libertà. Non è suora Adriana, è sola. È vana in un procedere per specchi che cancellano.
Talvolta le capita di pensarsi con un ometto a passeggio, ben accolta nei luoghi rituali, nella città che raramente dorme, che non ha politica. Sa di se stessa la magia di un decollo perfetto, dell’aereo che si impenna, s’alza, vira e poi schizza.

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Intervista a cura di Viviana Viviani

Gruppo MAGOG