“L’Occidente vuole cancellare le proprie tradizioni spirituali – ed equivoca l’Oriente”
Cultura generale
Fabrizia Sabbatini
A un certo punto, nel secolo scorso, sono arrivato a Parigi, ho comprato una copia di Madame Bovary in una libreria del Quartiere Latino, si chiamava “Joie de Vivre”. Sono rimasto sveglio tutta la notte a leggere quel romanzo: all’alba, sapevo che scrittore avrei voluto essere. Grazie a Flaubert, ho familiarizzato con i segreti dell’arte del romanzo.
Nessuno ha fatto di più per promuovere il genere romanzo quanto l’Eremita di Croisset. Capì che il narratore è il personaggio più importante creato da un romanziere, e che costui può essere impersonale, onnisciente, pari a Dio, oppure un personaggio; e che possono esistere diversi narratori, capaci di variare il punto di vista. In questo modo, Flaubert ha inventato il romanzo moderno e ha posto le basi per gli infiniti dispositivi tecnici ideati da James Joyce per scombinare il genere, differenziarlo dal passato, evitare trite ripetizioni. Il romanziere che ha tratto il massimo vantaggio dai risultati di Joyce tuttavia non è un europeo, ma un americano, perduto nella regione del Mississippi, tra le cui mani il genere ha raggiunto una flessibilità, nel tempo e nello spazio, che lascia spazio ad ogni eccesso: William Faulkner. La cosa più straordinaria di Faulkner non è tanto la tremenda audacia che gli ha permesso di scrivere romanzi come Mentre morivo e L’urlo e il furore, il più arduo mai tentato, ma il modo in cui ha ingannato la critica, presentandosi come un allevatore, un amante di cavalli, che nulla sapeva di tecnica romanzesca. Grazie a Flaubert, a Joyce e a Faulkner, il romanzo moderno è diventato una realtà nuova, nettamente distinta dal genere classico, canonizzato.
Nel caso di Flaubert, la preoccupazione per la struttura del romanzo si manifesta nelle lettere notturne scritte alla sua amante, Louise Colet, nei cinque anni necessari alla scrittura di Madame Bovary. Passò del tempo prima che queste lettere fossero radunate in un libro, probabilmente il più importante mai scritto per fissare i parametri del romanzo moderno in formule certe, diverse da tutto ciò che in precedenza si definiva “romanzo”. La rottura con il passato è stata clamorosa ed enigmatica. Riguardava la presenza di un elemento ordinatore nella storia: sia esso l’imitazione di un Dio onnisciente, assoluto, oppure un personaggio che non può sapere più di quello che sanno gli altri, con tutta la fragilità e i fraintesi che tale conoscenza presuppone. In Madame Bovary, il narratore divino o onnisciente può alternarsi ai vari personaggi narratori, a patto che di ciascuno si sappiano potenzialità e limiti.
Il narratore invisibile ed elusivo è una delle creazioni più importanti di Flaubert: egli sa tutto della storia che racconta non come presenza, bensì in assenza; conosce ciò che accade, ma non si rivela, si nasconde, è presente ma finge impersonalità, costantemente interrotto dai personaggi della storia, ai quali è permesso mostrarsi, entro i confini dell’esistenza che abitano. La messa a fuoco è però sempre opera del narratore divino, che determina apparizioni e uscite di scena, a seconda dei flutti della storia, delle sue variabili.
Non è stato facile per Flaubert diventare l’uomo che in cinque anni ha scritto Madame Bovary, dalla mattina alla sera, sette giorni su sette. In primo luogo, ha dovuto escogitare una malattia piuttosto convincente per pacificare il padre, medico, che desiderava per il figlio una carriera analoga alla sua. Critici e dottori hanno dibattuto a lungo intorno alla fatidica malattia di Flaubert, su quelle crisi che spesso lo facevano crollare a terra. Credo abbia inventato quella malattia per poter lavorare in pace, dedicando tutto il suo tempo alla scrittura: il che non significa che non crollasse, vedendo strane luci, vomitando, eccetera. Grazie al cielo, le lettere a Louise Colet non sono andate perdute; le ha custodite lei, benedetta sia la sua dedizione. Le lettere di Louise a Flaubert, invece, sono state bruciate da una nipote malvagia: erano troppo pornografiche, decretò – stuoli di flaubertiano la odiano con giustizia (compreso me, ovviamente).
Flaubert aveva idea della rivoluzione che ha scatenato con Madame Bovary? Non possiamo saperlo. In quei cinque anni di lavoro, probabilmente, non avrà immaginato la straordinaria diffusione delle sue scoperte, la cesura totale tra il vecchio e il nuovo romanzo che avrebbero provocato. Non è l’unica volta, d’altronde, che in letteratura una scoperta appare così, quasi per caso, scardinando un sistema narrativo consueto: Borges con i suoi racconti ne è un altro esempio.
Ho sempre avvertito verso Flaubert l’affetto che si prova per un nonno, per uno zio. Ho perso il conto delle volte che sono stato a Croisset passeggiando nei luoghi dove Flaubert testava la perfezione ritmica delle sue frasi; ho perso il conto delle volte che ho portato un mazzo di fiori sulla sua tomba. Ho visitato l’ospedale dove ha lavorato il padre, costretto ad alimentare le scarse risorse del figlio, che lavorava al suo romanzo. Sono trascorsi più di due secoli dalla sua nascita, eppure lo stile imposto da Flaubert è ancora vivo, vibrante, giovane. Ho la sensazione che sarà lo stesso tra altri duecento anni: la scrittura di Flaubert è l’emblema dell’eterna giovinezza.
Mario Vargas Llosa