10 Luglio 2019

Scrivere bene per vivere meglio. A vent’anni dalla morte, un inedito di super Mario Soldati (che vinse lo Strega e conquistò Cannes). Necessario per sistemare la testa dei “nativi digitali”

Francamente unico. Il carisma di Mario Soldati fu la gioia (“Fra gli scrittori del Novecento italiano, Soldati è l’unico che abbia amato esprimere, costantemente e sempre, la gioia di vivere”, Natalia Ginzburg), la sontuosa vitalità, il muso da istrione (“La sua vera natura e vocazione erano quelle dell’attore. In ogni momento e circostanza, anche nella conversazione tra amici”, scrisse di lui Montanelli). Ha avuto una vita che neppure un romanzo può riassumere. Torinese, pigliò a maestro Benedetto Croce ma andava in estro per il cinema di Buster Keaton; studiò e insegnò alla Columbia University – compresa relazione con studentessa che gli diede, debitamente sposata, tre figli –, amò – non solo metaforicamente – Alida Valli, si unì, infine, a ‘Jucci’ Kellerman, che lo onorò con altri tre figli (fu invitata all’altare nel 1974). Durante la Seconda guerra, fu corrispondente, dopo una fuga precipitosa da Roma – raccontata, visto che della vita non si butta narrativamente via nulla, in Fuga in Italia. Da artista, si divise tra romanzo e cinema: nel 1954, con Le lettere da Capri, vinse un Premio Strega, superando Dino Buzzati, Carlo Cassola, Oreste Del Buono, tra gli altri. Nel 1959 conquistò Cannes con Policarpo, ufficiale di scrittura. Il primo libro, Salmace (1929), fu elogiato da Elio Vittorini ed Eugenio Montale; fece arrabbiare Luigi Pirandello per una ruvida revisione del suo soggetto cinematografico, Acciaio, diresse Sophia Loren, affiancò King Vidor nell’immane Guerra e pace con Audrey Hepburn e Henry Fonda, ha diretto capolavori ‘pop’ come Piccolo mondo antico e Le miserie del signor Travet, ha inventato reportage televisivi mitici come il Viaggio nella valle del Po. La sua opera narrativa, sterminata, è raccolta in tre ‘Meridiani’ Mondadori: Romanzi (2006), Romanzi brevi e racconti (2009), America e altri amori. Diari e scritti di viaggio (2011), a cura di Bruno Falcetto. Morto vent’anni fa, nel giugno del 1999, per onorare l’anniversario l’editore De Piante pubblica un testo, finora inedito, che dimostra l’estrema versatilità di Soldati. Trattasi di uno sketch, registrato su disco, il 33 giri Musica per parole, creato per la Olivetti. Il testo – recitato dallo stesso Soldati – passato come Le regole della scrittura sono le stesse della vita – è di memorabile efficacia: un “maestro di calligrafia” in pensione fa l’elogio della moderna macchina da scrivere. Il gioco, in realtà, riguarda il senso dello scrivere, l’etica della scrittura, il valore, per così dire, ‘morale’ della grammatica. “Chiarezza, eleganza, uniformità”, la trimurti della bella scrittura, sono i fondamenti della buona civiltà. Scrivere bene è un requisito della bontà, è analogo a governare bene se stessi, a essere buoni cittadini, a disporsi con equilibrio verso gli altri. D’altronde, scrivere significa dare ordine al caos, dare direzione e drittura al proprio destino. L’analfabetismo ‘di ritorno’ degli indigeni digitali è segno di una fine dei tempi, del lento distacco dell’anima dall’uomo, del dominio del puro sentimento, del nudo denaro. Ergo: Soldati ci è utile, oggi più che mai, per vivere meglio.

**

Per gentile concessione dell’editore si pubblica un brandello da “Le regole della scrittura sono le stesse della vita” (De Piante Editore, 2019; postfazione di Bruno Falcetto e copertina d’artista di Alfredo Rapetti Mogol)

–…il peggio è che il bambino e quindi l’adolescente e quindi l’uomo, non dedica più nessuno studio, nessuna cura a “formare scrivendo i caratteri con chiarezza e eleganza”. La base di questa chiarezza e di questa eleganza è, Lei lo sa meglio di me, l’uniformità. Perché una lettera dell’alfabeto come si potrebbe riconoscere se non fosse scritta ogni volta nello stesso modo? E come si otterrebbe un effetto di eleganza senza ripetere le stesse curve e gli stessi angoli anche tracciando lettere diverse? Ha mai osservato in montagna, d’inverno, le impronte dei camosci sulla neve fresca? Perché sono così eleganti? Perché sono uniformi come un fregio, perché ripetono senza fine lo stesso motivo. Ma i nostri bambini riempiono i loro quaderni a casaccio, scombiccherano il foglio senza ordine e senza regolarità.

– Curvis et errantibus lineis hac lituris: “Con linee curve ed erranti e con cancellature” .

– Proprio così. E la conseguenza qual è? Che adesso obbligano me, quando leggo i loro compiti, a una fatica ingrata, e che in futuro obbligheranno il prossimo alla stessa fatica, quando il prossimo leggerà le loro lettere. Saranno così, fatalmente, dei maleducati, degli incivili. Lei mi ha citato la definizione del Tommaseo. Benissimo. Ma qual è lo scopo della calligrafia? Uno solo: comunicare con i nostri simili facilmente, senza costringerli a uno sforzo per capirci. Ecco la chiarezza. E anzi, aiutandoli con una sensazione visivamente gradevole: eleganza! Perciò adottare nello scrivere le stesse buone regole che presiedono alla convivenza civile, controllare le manifestazioni troppo spontanee e troppo libere della nostra individualità… in una sola parola: uniformarsi. Per tutte queste ragioni, caro maestro, la calligrafia, cioè l’arte di formare caratteri con chiarezza, con eleganza e con uniformità, è allo stesso tempo un mezzo e una prova di civiltà. E per tutte queste ragioni è impossibile negare che viviamo in un’epoca di grave decadenza.

– E io le ripeto che non sono d’accordo!

– Peccato maestro. Oh… brava signorina…  Ecco la carta protocollo, spero che il pennino vada bene.

– Mi dispiace signorina che Lei si sia disturbata, ma non ho bisogno di nulla. Trovare un buon pennino oggi è così difficile… Le avrei evitato questo fastidio, ma il dottor Soldati qui che predica tanto, poi non lascia mai parlare gli altri… eheheh… Anche da piccolo era così. Comunque, alle mie lezioni non parlava. Non era necessario. Erano lezioni silenziose: cantavano i pennini sulla carta. No, no, no! Grazie signorina, il pennino non mi serve. Io non adopero più la penna. Vedo qui una macchina per scrivere: mi basta.

– La macchina per scrivere?

– Sì, ecco, Le farò vedere, adesso, che le mie mani non tremano, perché scrivo con tutte e due … oh oh! … mica con un dito solo. E Le farò vedere che non viviamo affatto in un’epoca di decadenza perché tutte quelle belle cose che Lei ha detto della calligrafia: chiarezza, eleganza, uniformità – mezzo e prova di civiltà – sono ancora tutte vere. Basta riferirle alla macchina per scrivere. La calligrafia del mondo moderno è dat-ti-lo-gra-fia. Nessuna decadenza dunque, anzi, un progresso enorme per l’enorme maggioranza dell’umanità. Vuol vedere come scrivo? Ho imparato a sessant’anni, il primo giorno che sono andato in pensione. Detti, detti pure…

Mario Soldati

Gruppo MAGOG