Secondo il mito Clizia è una ninfa che si innamora del Sole, tanto che “il suo amore per il Sole era sfrenato”. La passione verso l’entità irraggiungibile strugge Clizia finché la ninfa, come narra Ovidio nelle “Metamorfosi”, si trasforma in girasole, il fiore che si muove guardando l’astro che nessun occhio umano può vincere né sostenere. “Malgrado una radice la trattenga, sempre si volge lei verso il suo Sole e pur così mutata gli serba amore”. Clizia, figura terrena dell’amore solare, sfrontato e immutato, viene ripresa da Eugenio Montale, in una delle sue liriche più belle, “La primavera hitleriana”: “Guarda ancora/ in alto, Clizia, è la tua sorte, tu/ che il non mutato amor mutata serbi”. Questa è la ragione del titolo che abbiamo assegnato a questa rubrica, ‘Clizia’: la bellezza in ogni sua variante, la solarità di un viso, ci portano al concetto di un amore immutabile, che non cambia mentre ogni forma, preda del divenire, morsa dal tempo, inevitabilmente muta. L’amore che non muta è ciò che permette all’uomo, tramite la visione di una forma vana, di vincere la morte.
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Probabilmente qualcuno, per quegli occhi, conficcati lì dopo essere stati di una principessa tatara, in secoli pieni di Oriente, si lancerebbe per oceani e cieli imprevedibili. La bellezza di Marica è nel trasporto dello sguardo, ha qualcosa di nobile e di selvatico insieme. “La moda e i viaggi sono la mia passione”, ci dice lei. “Penso che gli abiti siano un potente mezzo di espressione e di libertà così come viaggiare mi fa sentire libera e viva. Mi piacerebbe unire queste due passioni e farne il mio lavoro e riuscire ad esprimere al meglio me stessa”. Viaggio e connaturata eleganza nello stile contraddistinguono uno dei massimi poeti e scrittori del tempo presente, Cees Nooteboom, olandese – di quell’Olanda, minuscola griffe sul mare inaudito, che sconfinò, portando il proprio modo e la propria moda ovunque, nel mondo. Recentemente l’editore Einaudi ha pubblicato L’occhio del monaco, raccolta di poesie di limpida bellezza, scritte in viaggio, appunto, tra l’isola di Schiermonnikoog, in Frisia, e Minorca.
Mio fratello precipizio, mia sorella acqua di torrente,
mia madre canne per una capanna, mio padre
muffa su rocce rossobrune, suo padre parente dei pesci,
figura acquatica con polmoni, come te.
Nessuno ci ha inventato, eravamo nella polvere
già nel primo istante, esistiamo fin
dall’inizio. Solo più tardi abbiamo avuto anime e ci è stato
permesso di scrivere. Nostre sono le parole
di pietra e d’acqua. Mai abbiamo rinnegato
la nostra origine, siamo quel che c’è,
numeri con un nulla alla fine. Una volta qualcuno
lanciò un sasso nell’acqua, quei cerchi si allargano
ancora, siamo noi.
Di tempo senza tempo e di evanescenza è intrisa questa poesia. Così come gli sguardi di Marica, isole nella consuetudine di sempre, simili a sassi nell’acqua, si allargano su di noi, ci accerchiano, vanno.
*Le fotografie sono di Antonio Tonti
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