12 Giugno 2022

“Rispettare l’enigma del linguaggio”. Maria Vittoria Lodovichi, una figura angelica

Effettivamente, la sua figura era angelica. Triennale di Milano, convegno per i cinquant’anni di Pubblicità Progresso, florilegio di personalità: dicono cose, spesso in cravatta, di buon senso, di buon gusto, esatte. Andra Farinet – che forse intuisce il mio spaesamento, la pazienza degli estremi inermi – mi porta a Maria Vittoria Lodovichi. Parliamo a lungo, con reciproca riconoscenza. Maria Vittoria è psicanalista, ha l’intransigenza di chi sa che ogni parola è un portone, è angelica, appunto. “Ho lavorato spesso con la poesia”, mi dice; ha un pudore speciale, retto da un corpo di neve. Più tardi scopro un suo piccolo studio, Bisogna difendere la poesia, costruito insieme a Milo De Angelis, pubblicato su “Nodi Freudiani”. Tra l’altro, Maria Vittoria scrive:

“I bambini hanno bisogno di poesia (Françoise Dolto) per comprendere l’infanzia come sentimento (Tolstoj)… Dobbiamo studiare l’infanzia come sentimento. I bambini crescono fuori dal tempo di produzione, per questo gli adulti non sanno attenderli”.

La delicatezza di questa donna è sconcertante, mi dico. Poi mi parla di Pinocchio, mi fa una piccola lezione sui sottosensi di quel testo “complesso come un poema”.

Per il convegno si è preparata una frase. Una frase soltanto. Lo dice con avventato pudore. Mi fa leggere il foglio. “Rispettare l’enigma del linguaggio”. Subito si crea una sintonia con noi, come se camminassimo su un campo, tra risaie gremite di aironi. L’intervento di Maria Vittoria Lodovichi, poi, sarà più lungo, a braccio, lo ripropongo in calce.

Ci lasciamo all’ingresso della Triennale. Il sole pare scorticato da più estati, è possente – ma è soltanto maggio. Qualcuno corre. Il verde degli alberi è un fischio. Lei aspetta qualcuno che la verrà a prendere. Promettiamo di scriverci. Una decina di giorni dopo, a causa di un incidente, Maria Vittoria muore. Se ne trovano scarsi rilievi sul web. Così capita a chi è autentico, un dono agli altri.

***

Ho riportato questa frase, “Tornare a ricostruire”. Freud la pronuncia quando la sua casa è crollata, quando i suoi libri sono stati bruciati. Tornare a ricostruire è il mantra della psicoanalisi, perché la vita ci mette sempre di fronte a qualcosa che manca, a un inciampo, a un’impossibilità. Ma il grande cambiamento e la grande sorpresa ce la offre il linguaggio nel suo divenire enigma, nel suo essere metafora impossibile da tradurre. Consideriamo che quando parliamo, praticamente, non sappiamo quello che diciamo se non quando il discorso è finito; quindi parlare è qualcosa che ha l’umano, è qualcosa di straordinario che andrebbe tenuto con grande cura.

La poesia viene anche da persone che portano con sé una sofferenza grave, una sofferenza impossibile. Non solo nella parola s’intravede questa poesia, ma anche nel gesto. Ricordo un bambino che aveva una patologia chiamata “Charcot-Marie-Tooth”, era un bambino che non poteva correre, che camminava molto lentamente: viene in seduta e fa il disegno stilizzato di un volto, poi con una matita gialla, fortissima, che riempie il disegno, fa un piede. Questo è stato l’inizio del nostro lavoro. Dopo molti anni, questo bambino ha imparato a dipingere e a fare della pittura qualcosa che lo riguarda intimamente.

Ecco, ci sono dei gesti che sono davvero fondativi, ci sono degli atti che sono veramente incredibili e che partono dal fatto che qualcuno ascolta un altro. Quando qualcuno ascolta un altro: qui si compie un miracolo, perché è difficile ascoltare un altro, perché ascoltare un altro significa lasciar perdere qualcosa di noi e lasciare uno spazio affinché l’altro parli. Quindi, udire e ascoltare sono verbi difficili, molto complessi. Credo che oggi sia estremamente importante tornare a riflettere su cosa significhi udire, su cosa voglia dire ascoltare, ma anche guardare o vedere… tutte le parole del mondo sono parole poetiche, che ci abitano. Quindi è estremamente importante, ancor più oggi, aver cura della parola.

A proposito dell’immaginario: prima questo era un tessuto che dava immagini e scene straordinarie, oggi è una ragnatela. Si sta perdendo un po’ questo nostro immaginario. Perdendo l’immaginario, però, perdiamo anche il simbolico. Dunque, quello che è auspico, che vorrei come futuro, è ascoltare, poter capire, quello che è inimmaginifico e che l’altro comunque dice. Dobbiamo imparare a rispettare nell’uomo, nell’opera d’arte e nel linguaggio l’enigma e il mistero che questi atti comportano.

Maria Vittoria Lodovichi

Milano, 21 maggio 2022

Gruppo MAGOG