Partiamo dal titolo del romanzo, molto suggestivo, a cosa vorrebbe alludere il titolo che mette “le madri” su un’isola?
Le isole sono luoghi che proteggono e al tempo stesso ‘espongono’. Sono approdi e insieme luoghi da cui si parte per cercare un altrove. Forse proprio per questa loro natura ambigua, sono spesso culla di storie arcaiche e primigenie: in sostanza, luoghi del mito. E infatti l’isola del romanzo è l’antica dimora della Grande Madre, di Demetra, dea della vita che sempre si rinnova. E nel romanzo è proprio questo che cercano le quattro protagoniste: un luogo dove la vita possa di nuovo trionfare.
Il romanzo è ambientato in un mondo (non troppo lontano da noi) nel quale a causa di cambiamenti climatici si è diffusa la “malattia del vuoto”. Che genere di malattia è?
È una malattia che il nostro mondo purtroppo conosce molto bene: la sterilità. Ogni anno l’ISTAT ci ricorda che l’Italia è in pieno calo demografico, e così tutto il ricco mondo occidentale. Una malattia che ha molte cause: una di queste, come hanno riconosciuto i medici, è sicuramente l’inquinamento, che ha effetti a lungo termine sulle cellule riproduttive. Dunque la ‘malattia del vuoto’, di cui parlo nel romanzo, non è propriamente un’invenzione: è qualcosa che esiste già e a cui dovremmo mettere riparo, evitando di riversare nel ventre della terra fiumi di veleni chimici.
Livia, Mariama, Kateryna, Sara: donne che provengono da luoghi molto diversi e che si ritrovano nel medesimo posto, La casa della maternità, a far fronte allo stesso problema, se pur in maniera diversa. Sembri attribuire alle donne, nella catastrofe che imperversa, un ruolo salvifico. Come?
È vero, le donne nel romanzo hanno un ruolo salvifico. Non per una presunta ‘bontà’ innata, ma perché sono capaci di intessere fra loro relazioni di mutuo aiuto e di solidarietà. In sostanza, perché sono capaci di prendersi cura l’una dell’altra. E anche questa non è una capacità ‘innata’, ma il frutto dell’esperienza, della volontà di cambiare le cose e di rendere il mondo più vivibile e felice (se possibile).
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La lettura. Ho letto il romanzo di Maria Rosa Cutrufelli L’isola delle madri con molto interesse. Un libro importante, non soltanto per il tema trattato, ma anche per il modo con cui è condotta la narrazione, delicata ma incisiva. Racconta una realtà apparentemente lontana, un mondo futuro, ma non così tanto: cammina con fatti che sono già tra noi, dei quali si parla, si scrive e si studia, tuttavia non abbastanza, o quanto meno non in modo incisivo da invertire la rotta. I romanzi servono anche a questo: le storie possono essere un pungolo, spingerci a riflettere ed agire, a prendere posizioni. Una storia di quattro donne dei nostri tempi, Livia docente universitaria che combatte con il desiderio di un figlio; Mariama, che parte dal continente povero e cammina, ha solo i suoi piedi per camminare verso una vita migliore; Kateryna, che dall’est approda sull’isola e insieme a Sara lavora presso La Casa della maternità, la prima come infermiera l’altra come direttrice. Tutte e quattro combattono la nuova malattia “la malattia del vuoto” e insieme procedono per sconfiggerla. Alla fine sarà Nina, la donna nuova, nata dall’incontro delle quattro protagoniste, che a proposito della vita delle tartarughe marine dirà: “«Vuoi dire le tartarughe adulte? Le madri? Eeh… Quelle se ne sono andate da un pezzo. Di sicuro non sono madri ansiose! Scavano il nido, lo coprono con grande cura, questo sì, almeno un metro di sabbia, ma non appena hanno finito se ne vanno per i fatti loro. Il mare le attende». Con la loro storia”. I piccoli delle tartarughe alla nascita, goffi, correranno “corrono come possono per immergersi e sparire, finalmente, dentro gli abissi marini: vanno a cercare le loro madri. La loro storia”.
La citazione. “Se ne stanno raggruppate in un angolo. Una fruga dentro un cestello di plastica, un’altra strofina le mani sopra un grembiule allacciato in cintura, come per pulirsi o asciugarsi, un’altra ancora butta indietro la testa mostrando l’arco della gola. Sara le fissa una per una, le scruta con attenzione crescente, le studia, le esamina. E all’improvviso sa cosa manca e qual è la natura di quel silenzio irreale che preme contro le sue tempie: i bambini! dove diavolo sono finiti tutti i bambini?”.
Maria Rosa Cutrufelli è nata a Messina, ha studiato a Bologna e attualmente vive a Roma. Ha pubblicato otto romanzi, tre libri di viaggio, un libro per ragazzi e numerosi saggi. Fra i romanzi ricordiamo: La donna che visse per un sogno (finalista al premio Strega nel 2004), Complice il dubbio (da cui è stato tratto il film Le complici) e Il giudice delle donne (tutti pubblicati da Frassinelli). Il suo ultimo saggio è Scrivere con l’inchiostro bianco (Iacobelli). Ha curato antologie di racconti, scritto radiodrammi, collaborato a riviste e quotidiani nazionali. Ha fatto parte della redazione di “Noi Donne”, fondato e diretto la rivista “Tuttestorie” e insegnato Scrittura creativa all’Università La Sapienza di Roma. I suoi libri hanno vinto diversi premi e sono stati tradotti in una ventina di lingue.
a cura di Daniela Grandinetti
*In copertina: Frank Bernard Dicksee, “The Mirror”, 1896