Non c’è posto per il bambino, in generale per l’infanzia, tra le leggi dello Stato e nella nostra società. A dirlo, oltre ottant’anni fa, con il libro Il segreto dell’infanzia, un classico del pensiero pedagogico (Garzanti, 1950, la prima edizione è Bellinzona 1938), Maria Montessori (Chiaravalle, Ancona, 1870-Noordwijk, L’Aia 1952). Per lei si può certo dire: il bambino è tutto. Il protagonista indiscusso di tutta la vita, e persino del suo venire al mondo. Per Maria Montessori non ci sono dubbi, è il bimbo a nascere, non la madre a darlo alla luce. La rivoluzionaria Montessori nella sua Prefazione, L’infanzia, questione sociale lo scrive nero su bianco:
“Che cos’è l’infanzia? Un disturbo costante per l’adulto preoccupato e stancato da occupazioni sempre più assorbenti. Non c’è posto per l’infanzia nelle più ristrette case della città moderna, dove si accumulano le famiglie. Non c’è posto per essa nelle vie, perché i veicoli si moltiplicano e i marciapiedi sono affollati di gente che ha fretta. Gli adulti non hanno tempo di occuparsene poiché i loro obblighi urgenti li opprimono”.
E ancora:
“Padre e madre sono entrambi costretti a lavorare e, quando il lavoro manca, la miseria opprime e stronca i bambini come gli adulti. Anche nelle migliori condizioni, il bambino resta confinato nella sua stanza, affidato ad estranei salariati, e non gli è permesso di entrare in quella parte della casa dove dimorano gli esseri a cui deve la vita”.
L’affondo è sociale e politico:
“Nell’elaborare le sue leggi, l’uomo ha lasciato il proprio erede senza leggi, e quindi fuori delle leggi. Lo abbandona senza direzione all’istinto di tirannia che esiste in fondo ad ogni cuore d’adulto”.
Persino della madre migliore del mondo. “Ecco quello che dobbiamo dire dell’infanzia che viene al mondo portando nuove energie, energie che dovrebbero essere invero il soffio rigeneratore, atto a dissipare i gas asfissianti accumulati di generazione in generazione durante una vita umana piena di errori”. Maria Montessori salutava una nuova era rivoluzionaria di cure per l’infanzia, annunciava che “il bambino è una personalità che ha invaso il mondo sociale”.
Quel che ho spesso notato nell’opera di Maria Montessori è la crasi tra la sua visione bambinocentrica e il fatto biografico ai miei occhi estremamente doloroso della privazione di suo figlio, quell’unico figlio che lei ha avuto in quanto generato, Mario. Una delle prime donne a laurearsi in Medicina e chirurgia, nel 1896, due anni dopo partorisce il figlio segreto del suo amore: il dottor Giuseppe Ferruccio Montesano con cui ha fondato e diretto la Scuola Magistrale Ortofrenica per bambini con ritardo mentale.
Nella biografia dedicata alla Montessori leggo: “Maria era ormai prossima al parto. Da alcune settimane alloggiava insieme a Renilde in una casa di campagna nei pressi di Roma. Nessuno dei parenti sapeva di preciso dove risiedessero le due donne. Sapevano che Maria si stava riposando dai faticosi mesi di lavoro dopo la laurea. Era questa la versione ufficiale dei fatti. L’altra, quella vera, era un po’ più complessa. I giorni precedenti il parto scorrevano lenti, tediosi. Abituata a condurre una vita quasi frenetica, Maria faticava ad accettare quella specie di esilio. Renilde cercava invano di distrarla. Nella testa di sua figlia si affollavano milioni di pensieri, molti legati al lavoro, altri di carattere più intimo e personale. Stava per avere un figlio da Giuseppe, ma non avrebbe tenuto con sé quel neonato: l’avrebbe affidato a una nutrice perché lo allevasse come suo. Era questo il piano. Maria si era presa tutto il tempo per riflettere e decidere, ma ora che si avvicinava il momento si chiedeva come avrebbe messo al mondo quel figlio sapendo che non l’avrebbe allattato, né cullato, né avrebbe consolato i suoi primi pianti. Sarebbe stato difficile, forse anche impossibile. Quali fossero stati i motivi che avevano spinto lei e Giuseppe a una simile decisione di fatto ancora oggi rimane un mistero. La maggior parte degli studiosi che si sono addentrati nella vita e nell’opera di Maria Montessori ha concluso che Renilde, e soprattutto Isabella, ebbero un ruolo importante nello svolgersi dei fatti. A quanto pare la duchessa Schiavone, madre di Montesano, era una donna molto orgogliosa e non tollerava affatto l’idea che suo figlio sposasse una ragazza così fuori dagli schemi come la giovane dottoressa. Lei aveva cresciuto fanciulle dolci e caste, perfette ragazze da marito dell’alta società romana”.
È da domandarsi dunque se la scelta di non crescere il figlio sia stata dettata dalle ambizioni lavorative della Montessori oppure dovuta a una suocera invadente e retrograda. Altri tempi? Giustamente, nella biografia emergono legittimi dubbi: “Che cosa stava succedendo a quella ragazza che appena pochi mesi prima aveva difeso i diritti delle donne al Congresso di Berlino? Davvero era d’accordo con sua madre e con la mancata suocera, oppure semplicemente lasciava fare? Si comportava da donna rivoluzionaria o da figlia sottomessa, costretta a rinunciare all’amore di un uomo e un figlio?”. Maria Montessori partorì il 10 marzo 1898. Al figlio il nome Mario, il suo. Maria al maschile.
Poco dopo, affidò il figlio segreto Mario alle cure di una famiglia laziale, per occuparsi soltanto dei suoi studi. A infanzia (del figlio) ormai conclusa, fatto a dir poco incredibile considerata l’opera della madre, la Montessori fece il suo ingresso nella vita del figlio, che aveva raggiunto ormai i 14 anni e, una volta scomparsa la famiglia adottiva, Maria Montessori ne assunse la tutela legale. Sempre all’interno del Segreto dell’infanzia, nel capitolo Intermezzo biologico racconta, con un linguaggio semplice e diretto, il mistero della vita. Un lavoro nascosto.
“È nell’insieme un lavoro nascosto: meraviglioso appunto perché si compie così da solo; è proprio il miracolo della creazione dal nulla. Quelle sapientissime cellule vive non sbagliano mai, e trovano in sé il potere di trasformarsi profondamente chi in cellula cartilaginea, chi in cellula nervosa, chi in cellula di rivestimento cutaneo e ciascun tessuto prende il suo posto preciso. Questa meraviglia della creazione, specie di segreto dell’universo, è rigorosamente nascosta: la natura l’avvolge di veli e di involucri impenetrabili. Ed essa sola può romperli: quando lancia fuori un essere maturo, che apparisce nel mondo come la creatura che è nata”.
Questo “lancio fuori” in orbita viene poi spiegato nelle pagine seguenti, proprio all’inizio del IV capitolo dedicato a Il neonato. La nascita è davvero una lotta senza quartiere per il bebè, uno “sconvolgente trapasso” e, come già rivelava Leopardi, occorre consolarlo di essere nato. “Lo sconvolgente trapasso della nascita, dovrebbe richiedere un trattamento scientifico del bambino neonato, perché in nessun’altra epoca della vita l’uomo incontra una simile occasione di lotta e di contrasto, e però di sofferenza. Ma non c’è provvidenza alcuna che faciliti questo tremendo transito; eppure nella storia della civilizzazione umana, ci dovrebbe essere una pagina anteriore a tutte le altre, dove si dovrebbe raccontare ciò che fa l’uomo civilizzato per aiutare l’essere che nasce: ma resta una pagina bianca. Molti penseranno al contrario che la civiltà si preoccupa molto oggi del bambino che nasce. Come? Quando nasce un bambino tutti si preoccupano della madre: si dice che la madre ha sofferto. Ma il bambino non ha pure sofferto? Si pensa di fare l’oscurità e il silenzio attorno alla madre perché è affaticata. Ma non lo è il bambino, che arriva da un luogo dove non lo raggiunse mai il minimo barlume di luce, né il più lieve rumore? Per lui, dunque, bisogna preparare l’oscurità e il silenzio. Era cresciuto in un luogo riparato da ogni urto, da ogni oscillazione di temperatura, nel liquido morbido e uniforme, creato apposta per il suo riposo, dove non lo raggiunse mai il minimo barlume di luce, né il più lieve rumore e cambia il suo ambiente liquido per venire all’aria così d’un tratto. In che modo l’adulto va incontro a lui, che vien dal nulla, e che si trova ora nel mondo con quegli occhi delicati che non hanno mai visto luce e con quelle orecchie inabissate nel silenzio? Come va incontro a quell’essere dalle membra tormentate che era rimasto, fino al momento della nascita, nel seno della madre senza contatto alcuno?”. Montessori prosegue paragonandolo a un girino che diventa rana e che passa improvvisamente da un ambiente liquido all’aria.
A mo’ di epigrafe al capitolo dedicato al neonato c’è una prosa poetica di Maria Montessori che merita la nostra attenzione. “Mi dissero di un uomo, vissuto nell’oscurità più profonda; i suoi occhi non avevano visto mai nessun più lieve chiarore, come in fondo ad un abisso. Mi dissero di un uomo vissuto nel silenzio: non un rumore, nemmeno impercettibile, era mai giunto al suo orecchio. Sentii parlare di un uomo che era vissuto realmente sempre immerso nell’acqua; un’acqua di strano tepore: e che d’un tratto spuntò fuori tra i ghiacci. E spiegò dei polmoni che mai avevano respirato (sarebbero lievi le fatiche di Tantalo a tale confronto!) ma visse. L’aria distese d’un tratto solo i suoi polmoni ripiegati fin dall’origine. E allora l’uomo gridò. E si udì sulla Terra una voce tremante che non si era mai udita, uscente da una gola che non aveva vibrato giammai. Egli era l’uomo che aveva riposato. Chi potrebbe immaginare che sia il riposo assoluto? Il riposo di chi non fa nemmeno la fatica di mangiare, perché altri mangia per lui; e sta nell’abbandono delle sue fibre, perché altri tessuti viventi fabbricano il calore necessario alla sua vita; e nemmeno i suoi tessuti intimi lavorano a difendersi dai veleni e dai bacilli, perché altri tessuti lavorano per lui. Suo solo lavoro fu quello del cuore, che batteva prima che egli fosse. Sì, mentre ancora egli non esisteva, batteva però il suo cuore, doppiamente di come pulsa ogni altro cuore. E seppi che quello è il cuore di un uomo. E ora… o lui che si avanza: e prende sopra di sé tutti i lavori: ferito dalla luce e dal suono, affaticato fin nelle più intime fibrille del suo essere: emettendo il gran grido: «perché mi hai abbandonato?». E questa è la prima volta che l’uomo riflette in sé il Cristo che muore, e il Cristo che ascende!”