02 Giugno 2022

“Naturalmente ci sono ombre e ombre, come uomini e uomini”. In memoria di Maria Corti

Era un giorno del maggio 1980, quando Maria Corti, all’ingresso della casa editrice Bompiani, in via Mecenate al numero 89, vedeva un camion stipato di pacchi. In verità, si squadernava, davanti ai suoi occhi attoniti, un piccolo tesoro letterario destinato alla dannazione. “Vede quel camion? Tutti autografi di scrittori della Bompiani che vanno al macero. Dattiloscritti postillati a mano, bozze di stampa con interventi a mano di autore, tutti diretti al macero”. L’ideatrice del Fondo Manoscritti di autori moderni e contemporanei dell’Università di Pavia – dove sono stati raccolti (e salvati dalla dannazione eterna) testi autografi dei maggiori scrittori dell’Otto e del Novecento, nella città dove ha Maria Corti ha insegnato per molti anni Storia della lingua italiana – lo racconta nella preziosa opera Ombre dal Fondo, Einaudi 1997, ristampato oggi in una curiosa copertina fucsia con una prefazione di Mauro Bersani.

Tuttavia resto nostalgica della prima edizione (1997) che aveva, in sopracoperta, un bellissimo disegno di Franco Fortini emerso dal Fondo pavese rielaborato da Emilio Tadini. Alla studiosa, “signora degli archivi”, dopo vent’anni dalla scomparsa, è stato dedicato anche il libro, fresco di stampa, di Benedetta Centovalli: Viaggiatori del cielo. Omaggio a Maria Corti (Mattioli 1885). Si dice che la Corti abbia avuto molte patrie: la Val d’Intelvi, il Salento, Milano e Pavia, dove è nato appunto il Fondo Manoscritti. Ma torniamo a quel lontano episodio che ha il suo forte significato ancora oggi.

Maria Corti aveva nella borsetta centomila lire: avrebbe dovuto comprare una gonna. Con quegli stessi soldi, spedì l’autista a mangiare. E l’autista: “- Ma per quale ragione devo andare a mangiare adesso? Di colpo inventai: – Sono un dirigente della casa. C’è stato un errore nel carico; in mezz’ora sarà a posto”. Così vennero scaricati dal camion e presero corpo nel Fondo i “Racconti romani di Moravia, ritoccati in senso dialettale romanesco sui dattiloscritti, Età breve di Corrado Alvaro, testi di Marotta e di Tonino Guerra”. I manoscritti e i dattiloscritti di molti scrittori oggi occupano i grigi armadi blindati all’interno delle silenziose stanze dell’Università di Pavia. Qualcuno potrebbe pensare che siano ombre tra le ombre. Un cimitero di quelli ottocenteschi e pieni di fascino. Un cimitero a cui nessuno porta un fiore, ma su cui si getta uno sguardo attentissimo, si tenta disperatamente di rubare quel passato che non tornerà più.

Come tutti i cimiteri, anche questo strano luogo di memorie ha una sua storia, una sua vita sotterranea, sommersa. È Sartre a dire che i critici sono custodi di cimiteri, ma è Calvino a dire che nella città di Ipazia “i suonatori si nascondono nelle tombe e da una tomba all’altra si danno la voce con flauti e arpe”. Se non ci avete messo piede, lasciatevi guidare dalle parole di Maria Corti, quello che lei disegna nel libro è una guida ideale.

“Naturalmente ci sono ombre e ombre, come uomini e uomini. Alcune, particolarmente inquiete, considerano sbagliata la vita trascorsa coi piedi per terra: avrebbero potuto realizzare grandi cose e invece queste grandi cose non ci sono state, tanto che il mondo continua a sentirne la mancanza”.

Avidi lettori aprono furtivamente questi “armadi-cassaforte” dentro cui rifulge, nell’ombra, in modo sempre nuovo, attraverso occhi sempre nuovi, tutto un tesoro letterario.

“Forse le ombre notano il turbamento di chi le trova un po’ dentro e un po’ fuori dei ritratti noti. Se potessero sorriderebbero, ma le ombre non sorridono, sono al di là del tempo della vita in cui si sorride”.

La comunicazione con queste ombre è sia spirituale, che materiale e anche un po’ spiritica.

“Chi frequenta d’abitudine il Fondo sa che la comunicazione dura magari, come accade nei sogni, pochi intensissimi minuti dopo di che tutto si perde in quartieri sconosciuti. Non esiste una mappa del mondo sotterraneo, di quell’ignoto da cui tutti i fantasmi provengono, profondo come un abisso, che esercita su di essi un’attrazione cosmica diversa da quella a cui sono soggetti i viventi. Per questo i fantasmi sono instabili, erranti, fuggitivi”.

Chi c’è stato lo sa, custodisce nelle pieghe della memoria questa fascinazione, questo turbamento. E pochi istanti dopo l’immersione nelle carte, è già buio fuori dalle finestre. È scesa la sera.

“Muovendosi per le sale, indugiando presso il grande tavolo della Sala Manganelli, dove alcuni studiosi, immobili come fossero dei morti, leggono manoscritti, le ombre non possono scommettere su ciò che avverrà o non avverrà. Per loro l’avvenire è come se non esistesse. Forse per questo sono inquiete. Il futuro si confonde con il nulla, il che fa loro trovare una privata direttiva di fuga: l’umido della rugiada, il giardino coltivato a ortensie, la lampada che faceva luce sul tavolo da lavoro, dove le dita si erano mosse sui fogli bianchi, avevano scritto, cancellato, si erano sporcate a volte di inchiostro. Su quei fogli l’ispirazione d’un tratto si era arrestata, immobile come la lucertola di Ponge sul muro bianco e con la velocità della lucertola era guizzata via nelle crepe del cervello”.

Le cancellature, l’inchiostro, le varianti. Sarebbe pensabile la creazione di un Fondo manoscritti, oggi? “Scrutare nel futuro non è mai agevole”. Il passato, però, non è mai morto, scriveva Guido Morselli, un’ombra, fra le ombre, del Fondo pavese. Nella storia del Fondo risuona questo odore di morte. Nel luogo in cui si trova il Fondo Manoscritti, all’interno del cortile sforzesco, nel corso dei lavori di scavo e di recupero delle strutture quattrocentesche, erano affiorati qua e là cranietti e ossicini vari di neonati: “nel Seicento in quell’area c’erano le monache dell’ospedale”. L’odore di morte e la sua ombra, dunque, proviene da lontano.

In questo suggestivo luogo si leggono manoscritti di Montale e Bilenchi donati dagli autori a Maria Corti, l’autografo della gaddiana Madonna dei filosofi portato da Gian Carlo Roscioni, Arbasino e Manganelli, i manoscritti di Saba e Carlo Levi e Merini, Amelia Rosselli, il carteggio di Italo Calvino con Elsa De Giorgi. Le ombre del Fondo pavese, insomma, sono tra le più luminose del panorama letterario italiano. Ma sia il Fondo Manoscritti che Ombre dal Fondo ci ricordano che le carte, con la loro fragilità, ci sopravvivono, in lacerti.

“D’altronde le cose del passato vanno sempre così: nulla di ciò che sopravvive è completo. Ma appunti, note storiche, programmi, proposte sono arrivati invece al Fondo. Al di là degli eventi che passano, le Carte durano, ciascuna con la sua minuscola storia e vivono in quella che Borges chiama la nostra «quarta dimensione», la memoria. E quando anche noi ce ne andremo, loro le Carte resteranno lì e non sapranno mai che noi non ci siamo più”.

Ombre che non gettano più luce.

Gruppo MAGOG