29 Novembre 2022

“La gente dice che sono pazza…”. La storia d’amore tra Margot Ruddock e W.B. Yeats

Fanno il rumore dei voti infranti, le poesie di Margot Ruddock. Lapilli di tormento, schizzi d’estasi, vagano spericolati e acerbi fra le dita. Anelli di spine.

Creatura disallineata a sé stessa, giovane e ardita Calliope, nell’ultima stagione della sua esistenza, W.B. Yeats ritrovò in lei l’armoniosa voce della Poesia. La elesse a sua musa.

Immaturo talento o sublime nullità, non è dato sapere. Naufraga della propria inadeguatezza, insofferente alla beatitudine, atterrita dalla passione, Margot fu oltre ogni canone. A consacrarla ci pensò lui. I versi li iscrisse nella Oxford Book of Modern Verse, insieme ai nomi più solenni del suo tempo. La donna l’amò con la protervia del maestro e l’innocenza del poeta, eterno fanciullo.

Nel 1934, a Londra, l’incontro. All’epoca Yeats intrattiene una folta corrispondenza sentimentale con diverse dame, da Dorothy Wellesley a Iseult Gonne – la figlia di Maud, che amò anche Ezra Pound e a cui aveva chiesto la mano prima di sposare Georgie Hyde-Lees. Attrice, cantante di provincia, Margot Ruddock, appena ventisettenne, irrompe nella capitale con ambizioni da palcoscenico. L’intreccio si rivelerà letale. Sinuosa, la complicità che li folgora, li muterà in un’unica serpe a due teste. Gioventù e vecchiaia si specchiano una nell’altra, si cercano, si trovano, si faranno a pezzi. A benedire l’unione, sulle loro teste, lo spirito, sempre presente, della Poesia. Primigenia fonte di gioia e conforto, si rivelerà poi causa di angoscia, follia.

Così, W.B., il 26 novembre 1934:

Mia cara, […]

Ecco una prima poesia dedicata a Margot. Domenica ho scritto la prima strofa ma non sono riuscito ad andare oltre. Troppo eccitato per dormire, ho dovuto prendere un sonnifero. Mi sono alzato in preda all’angoscia. “Nonostante tutto” ho pensato “questa sorta di inibizione non mi ha abbandonato” – ho dipinto una Margot insoddisfatta e persa. Ma come avrei potuto portare a termine la poesia? Come avrei potuto finire alcunché?  

[…] I versi che mi hai inviato sono meravigliosi, quando scrivi “schiuso, divelto”, quando fai uso di quell’“osso scheggiato”, è lì che sei un vero poeta. Ho cercato di districarli da una confusione generata dalla mancanza di pratica. Se non riesci a venire a capo di queste poesie, inventiamo uno pseudonimo o rivediamole insieme. Penso abbiano bisogno di vivere. […]

Tuo, W.B.Y.

Margot

I

Divorato dalla fame mi arrestai, poi
Quegli occhi grondanti sui miei,
Assiso come un vecchio
Smarrito, lo sguardo al passato
Sembrava fatto di
Occasioni perse per amare.

II

Oh, come tenere vivo quel trasporto?
Cosa offrire ad occhi vispi?
Lo spirito ringiovanisce e la carne invecchia;
Mentre le sue palpebre giacciono semichiuse
Una sorta di estasi velata
Discende da queste spalle curve.

III

L’Era dei Miracoli si rinnova,
Amami come fossi ancora giovane
O lasciami sognare che lo sia,
Quando i miei ultimi anni si saranno esauriti
Avrai il tempo di congedarti
E riempire gli occhi con il giorno.

Dei primi undici mesi della loro conoscenza non è rimasta traccia delle lettere di Margot, ma solo di W.B.; Mrs Yeats suppone siano andate perdute o distrutte durante il loro soggiorno a Maiorca. Forse fu lei stessa a farle sparire, a seguito dell’“incidente” che vide la Ruddock volare giù da una finestra a Barcellona e la conseguente eco mediatica che ne seguì. 

Il carteggio, che va dal 1934 al 1937 – di cui il volume Vita, l’assalto (Magog, 2022), insieme alle poesie della Ruddock, riprende in appendice una selezione (tutti i testi sono tradotti per la prima volta in italiano) – è integralmente pubblicato nel volume Ah, Sweet Dancer (Macmillan, 1970), a cura di Roger McHugh.

Dall’epistolario emerge la storia di un apprendistato esistenziale, poetico, passionale, scandito dalla grazia d’una tragedia annunciata. Alcune lettere di Margot sembrano splendere di luce riflessa, altre paiono illuminarla dall’interno, come quelle in cui figurano le bozze dei suoi componimenti – sovente emendati da Yeats –, conditi dalla sua aspra sensibilità.

Ancora Yeats, il 23 novembre 1934:

Mia cara, Spero che la tua depressione non sia altro che il risultato del tuo raffreddore. […] Ho sempre davanti a me la tua immagine, quella visione di grazia, dolcezza, beltà. Fra le poesie a cui stai lavorando, sono rimasto colpito dalle due in cui ho rivisto me stesso, drammatizzato in veste di uomo, Broken Dreams, May God be thanked for Woman. Dovresti prediligere, per quanto possibile, dei versi in cui a parlare sia una donna o in cui non risulti chiaro se l’oratore sia maschio o femmina. Se parli da uomo, il tuo fascino femminile finirà per sfiorire, come se sul palco recitassi la parte di un maschio. […]

Dio ti benedica amore mio, W.B.Y.

Yeats, come sempre vive di visioni. E si dimostra impreparato a gestire l’eterea, vacillante giovinezza della Ruddock. Non ha più l’età. Intanto la introduce nel mondo, le presenta, forse per placarne le brame con più spirituali pratiche, Shri Purhoit Swami, con il quale sta traducendo le Upanishad. A quest’ultimo Margot si ispirerà per alcuni brani rinvenibili nei suoi manoscritti, denominati Songs of Silence (Shri pubblicò in inglese il volume The Song of Silence che conteneva circa un centinaio di versi).

La prima lettera della Ruddock di cui risultano notizie risale al 15 settembre 1935:

“Mio caro Yeats,

Ho inviato l’ultima versione dell’opera a Nancy Price, e ho ricevuto una lettera dalla sua segretaria che diceva che sarebbe stata fuori città per alcuni giorni, ma gliel’avrebbero inoltrata. Ti rimando indietro l’altra. Quali poesie di Tagore hai tradotto – tutte? Mi sto occupando di quelle di Swami ma senza ritmo. Non riesco a finire da sola. Di Like the year, in particolare, non riesco a venire a capo della prima strofa. È senza inizio e senza fine. Ma forse il senso è quello! Ci ragionerò su.

[…] Questa è una piccola poesia che ho scritto.

O latte di pace
Che scorre
Dal seno della Terra
Chi da te si abbevera lo sa
Non patirà la sete

O fato, o Respiro
Del destino
O poderoso vento
Chi soffia con te troverà
Il suo sentiero

O Corpo, tu
Deserto di piacere
Nessuno rincorre
L’estasi se ha trovato
Sazietà

Alla presente lettera, Yeats fa seguito così: «La tua breve poesia è un componimento anche grazioso, ma non è ancora una poesia. Penso che dovresti scrivere in rima e usare delle regolari strofe per il presente. Non riesco a decifrare l’ultimo verso. […] Questi versi non in rima sembrano semplici ma sono piuttosto complessi. C’è bisogno d’altro, al di là della rima stessa. Nella mia antologia troverai degli esempi. L’oscurità della rima ti farà scendere nei tuoi abissi».

L’ultima frase suona come un presagio. Per Margot, è l’inizio della catabasi. Il dolore sgorga e si dissolve attraverso la poesia, passa dalla lucida follia alla rassegnazione più cupa. Dalle lettere che a quest’ultima fanno seguito, affiora una graduale perdita di controllo di sé, fino alla piena instabilità mentale. La Ruddock inizia a disattendere ogni forma di buonsenso. Lascia marito e prole per precipitarsi da Yeats e ricevere rassicurazioni in ordine alla sua poesia e più è costretta ad allontanarsi fisicamente da lui – è convalescente, nel 1936, a seguito dell’ennesimo malore – più sembra perdere la terra sotto i piedi.

Finisce murata in un labirinto di paranoie, allucinazioni, angoscia per le incombenze domestiche. La forte frustrazione culminerà nell’esaurimento nervoso descritto nell’introduzione di The Lemon Tree (riportato in Vita, l’assalto). Quindi l’“incidente”, l’andirivieni psichiatrico, il lento dissolversi della dolce danzatrice di Yeats. Ah, Sweet dancer.  

W.B. Yeats e consorte

*

Alcuni frammenti dall’epistolario:

17 ottobre 1935, Yeats: “Mia cara Margot, non riesci a dare il meglio sul palco perché, troppo presa dagli aspetti spirituali, stai perdendo la percezione di quelli concreti, della vita”.

29 ottobre 1935, Yeats: “Ieri sei stata magnifica. Appena ti sei avvicinata all’attrice protagonista, la sua bellezza è appassita. Devi proseguire – diventerai una grande attrice, una grande artista, sei sulla buona strada. Hai dalla tua talento e passione”.

2 gennaio 1936, Ruddock: “Sto scrivendo un racconto intitolato Curtis YEAST, la storia di un contadino che diventa un cantante. Una donna lo sente cantare nei campi e va a incontrarlo. Ma lui non vuole lasciare la fattoria, è felice così, a parte alcuni momenti di estasi angosciosa”.

“In questo momento la poesia mi deprime, mentre prima era un conforto. C’è qualcosa di profondamente triste in tutta la grande poesia e penso che non dovrebbe essere così. Perché?”.

21 febbraio 1936, Ruddock: “Niente di ciò che scrivo mi sembra avere un senso, forse nulla di ciò che faccio. Spero di liberarmi da questa sensazione di futilità dell’essere ancora viva”.

9 aprile 1936, Ruddock: “È come se vivessi in un perenne stato di sogno e la cosa mi rende più sveglia che mai. La gente dice che sono pazza, non importa, l’hanno sempre detto dal mio primo marito in poi”.

24 aprile 1936, Ruddock: “Yeats, non dirmi che non sto lavorando, sto seduta da mane a sera sulle bozze di una poesia piuttosto brutta, brutta, brutta. Lo sai vero, che hai reso la poesia, mia gioia e conforto, una ferita sanguinosa, che odio!”.

30 luglio 1936, Ruddock: “Trovo difficoltà a concentrarmi sui versi. È piuttosto difficile badare a un bambino e non pensare a qualcosa di preciso, la mente vaga e ci si deprime”.

Fine ottobre-inizio novembre 1937, Ruddock: “L’ultima volta che ti ho visto sono rimasta impressionata dalla virtù che divampava in te, e che siamo costretti a mettere a tacere in questo mondo di lotta”.

L’articolo, la scelta e la traduzione dei testi sono di Fabrizia Sabbatini

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