25 Luglio 2023

“Buon Dio, per te vorrei essere nuda, esposta agli sputi”. Margery Kempe: vita di una visionaria

Osava predicare vestita di bianco, come una suora, benché fossa maritata, per le vie di Lynn, ricco borgo del Norfolk dove era nata, probabilmente nel 1373, per lo più orientato al commercio. Alle donne era vietato parlare in pubblico del Vangelo: lei, per di più, era certa di poter intercedere per le anime afflitte, confitte in Purgatorio; diceva che è sensibile la prestanza dello Spirito. Nei volti degli altri, riconosceva il profilo dell’anima disobbediente, pesava innocenza e colpa. Ce n’era per dedicarle l’attenzione che si riserva agli eretici, con un sovrappiù di punizioni corporali: tutti in città conoscevano Margery Kempe, la moglie di John, alto ufficiale civico; in chiesa, spesso, al cospetto del Corpo, sbocciava in pianto – era esagitata, la sua fede pretendeva incoronazione d’urla. Di norma, dopo l’arresto, le milizie riconsegnavano Margery al marito.

Specie di Maddalena medioevale, Margery Kempe rifiutò i voti: preferì un cristianesimo proprio, escluso dalle ragioni monastiche e dai regimi clericali. Chiese consiglio a Giuliana, la mistica di Norwich; distava 44 miglia da Lynn, diede alle gambe contributo numerologico. Giuliana sigillò le azioni di Margery nello stigma del sacro: le disse che era nel vero, che il pianto è figura dell’esuberanza dello Spirito, le intimò di essere di “profitto ai compagni cristiani”. Era il 1413: la folle di Lynn aveva appena patteggiato con il marito una vita di condivisa castità. Gli aveva dato quattordici figli.

Le crisi di Margery, secondo il suo racconto, accadono a vent’anni, dopo la nascita del primo figlio. Credette di perdere la vita, cominciò a praticare estenuanti digiuni, disse di essere assillata dai diavoli, che “le ordinavano di abbandonare il Cristianesimo” e si mostravano quando la ragazza esplodeva in gesti rabbiosi:

“Disprezzò suo marito, i suoi amici e se stessa; si espresse con parole riprovevoli e dure; ignorò ogni virtù e bontà; desiderò ogni malvagità. Secondo quanto gli spiriti la trattavano, ella parlava e agiva. Avrebbe voluto molte volte commettere suicidio nei sui accessi ed essere dannata con quegli spiriti nell’inferno; e a prova di ciò si morsicava la mano così violentemente che ne portò i segni tutta la vita”.

Margery Kempe – a cui spesso i sacerdoti non danno accesso nel tempio – viveva la fede degli eccessi, la sequela nel fango. Inseguì Cristo nel lebbrosario degli ultimi, permise al credo di corrompersi nel suo opposto, amò – per esagerazione di luce – perfino le ombre. Difficile discernere nel suo dire ciò che è ispirato dal maledetto. La tentazione la insegue ovunque; di solito, è la tentazione del corpo che aliena se stesso nel sesso, sfrenato:

“Giacque con suo marito, ma il rapporto coniugale le fu così insopportabile che non poté resistere… la sua mente era occupata dal pensiero di peccare con quell’altro uomo, come lui aveva chiesto. Fu sopraffatta dalla singolarità della tentazione e dalla mancanza di discernimento… Fu tormentata da orribili tentazioni di lussuria e di disperazione per quasi tutto l’anno successivo”.

Analfabeta, Margery Kempe noleggiò uno scrivano di origine tedesca per dettare la sua vita, a mo’ di monito e di monile, sorta di via dalle profondità del peccato alla redenzione. Lo scrivano si rivelò inadatto; i suoi padri spirituali non accettarono il compito; per un po’ fu il primo figlio, che si chiamava John, come il padre, a scrivere il micidiale resoconto della madre. The Book of Margery Kempe è la prima autobiografia della letteratura inglese, più prossima a Dickens che a Sant’Agostino. Per gli storici è una leccornia: la vita comune, quotidiana, all’aperto rendono il testo prezioso per capire la società del Basso Medioevo. In particolare, il Book è il resoconto dell’esperienza mistica di una donna fuori dal reclusorio monastico, fuori da norma ecclesiastica. Scritto a partire dal 1430, Il libro di Margery Kempe – in Italia, esiste nella versione Sellerio e Ancora, stampata vent’anni fa; qui si dà nuova traduzione di un brandello – scompare dalla veglia editoriale per secoli, quasi fosse una sorta di libro proibito. Soltanto nel 1934 viene condotta un’edizione critica dal manoscritto originale e Margery Kempe entra di diritto nell’alto lignaggio dei protagonisti della letteratura inglese. Nel 2015 la Oxford University Press stampa una nuova versione del Book a cura di Anthony Bale.

Di fatto, alle spalle dell’autobiografismo femminile del Novecento anglofono – di esasperante lucidità – c’è il chiaroscurale Book, che svela ogni aspetto del ‘femminile’. Margery Kempe è lo spettro, per dire, che sta alle spalle di Un Raggio di Oscurità (Magog, 2023), il romanzo autobiografico della gallese Margiad Evans, racconto di una storia di redenzione dal cuore del male, l’epilessia – stigmatizzata come malattia ‘demoniaca’, si rivelerà segno ‘divino’ –, concentrandosi sul rilievo che, in questo percorso tra menadi e monache, ha la maternità.  

Margery Kempe, per la sua maltrattata solitudine, piaceva a Cristina Campo. Ne scrive, la Campo, ne Il flauto e il tappeto, in questi termini:

“Una visionaria, Margery Kempe, la cui prosa incantevole ignorano i trattati di mistica e repertori di letteratura inglese, alla fine della sua vita udiva la pronunzia dello Spirito Santo fatta simile al suono ‘di quel piccolo uccellino che è detto pettirosso, il quale cantava tutto gioioso al suo orecchio destro; e allora, dopo aver udito quel suono, ella era sempre certa di ricevere grandi grazie’”.

Elémire Zolla ne canonizza il genio spirituale inserendo Margery Kempe nei Mistici dell’Occidente, tra Giuliana da Norwich, Richard Rolle e La Nube della Non Conoscenza (nella versione frammentata di Roberto Calasso).  

Dal 1413, la Kempe visse l’esistenza del pellegrino: il primo viaggio fu, naturalmente, verso Gerusalemme; si fermò a Venezia e a Roma. Nel 1417 partì per Santiago di Compostela; nel 1433, insieme alla sorella, partì per Danzica, fermandosi presso la chiesa del Sacro Sangue di Wilsnack. Durante i suoi viaggi, non era raro che la arrestassero, insultandola, dandole “della bugiarda, dell’infame puttana”. In qualche modo, anche questo fa parte dell’assidua, assurda ricerca di Margery Kempe: essere un segno di contraddizione, uno scandalo, fomentare il frainteso per cui il giusto è preso per peccatore, il bene per il male. Abitare l’abiezione per redimerla. Terribile vastità degli specchi contrapposti: del volto non resta che una sventagliata di sicari.

***

Dal Libro di Margery Kempe

Desiderò spesso che le fosse spezzata la testa con un’ascia per amore del nostro Signore Gesù. Allora, Nostro Gesù sussurrò alla sua mente: “Ti ringrazio, figlia, che vuoi morire per amore mio; tutte le volte che sarai attraversata da questo pensiero sarà come se soffrissi la mia stessa morte, eppure, nessuno ti ucciderà. Stai certa, se mi fosse dato di soffrire ancora, sopporterei il dolore di cui ti fai carico per me, purché tu non ti allontani mai da me.

Figlia mia, in altro modo non si compiace Dio che ragionando continuamente del suo amore”.

Chiese dunque al nostro Dio in quale migliore e più perfetta forma avrebbe dovuto amarlo. Nostro Signore disse: “Ricorda la tua imperfezione, conficcati nella mia benedizione.

Figlia mia, che tu porti la corazza a mo’ di monito o ti tagli i capelli, che digiuni mangiando pane e acqua ripetendo ogni giorno migliaia di Pater Noster mi è indifferente: importante è il tuo silenzio, che tu mi dia un accesso per parlare alla tua anima.

Dire molti rosari è ottimo per coloro che di meglio non sanno fare. Via buona per la perfezione, che tuttavia è ancora lontana. I grandi digiunatori, i grandi operatori di misericordia sono ancora distanti dalla perfetta via. Chi si dedica a innumerevoli devozioni è distante dalla perfetta via. Molte volte, figlia mia, ti ho detto che il pensiero e il pianto e l’alta contemplazione sono la vita perfetta su questa terra: meriterai il cielo se mi pensi per un anno piuttosto che se mi preghi con la bocca per cento.

Se sapessi, figlia, quanto ti amo, non faresti che amarmi.

Figlia, se mi vuoi accanto, in cielo, tienimi a mente, sempre, pensami costantemente, perché il tuo cuore è il mio trono e soltanto io conosco tutti i tuoi pensieri.

Figlia, ho patito molte pene amor tuo: per questo, amami perfettamente – a caro prezzo ho comprato il tuo amore”.

*

Quando vedeva il Crocefisso, o se vedeva un uomo ferito, una bestia claudicante, se un uomo picchiava davanti a lei un bambino o colpiva con la frusta un cavallo o qualche altra creatura, credeva di vedere nostro Signore picchiato, vilipeso, offeso come quell’uomo o quella bestia.

Tanto più aumentava il suo amore e la sua devozione, tanto più compiva un’ascesi nella contrizione e nell’umiltà: il santo timore di nostro Signore Gesù le dava coscienza della sua debolezza. Se vedeva una creatura punita o castigata, voleva sostituirsi a lei, ed essere punita o castigata per le sue cattiverie contro Dio. Allora piangeva: per compassione verso il punito e per il proprio peccato.

E nostro Signore le disse: “Se potessi piangere al tuo fianco, piangerei con te, per la compassione che ho di te”.

Il nostro misericordioso Signore Gesù Cristo aveva attratto a sé questa creatura, conficcandole nella mente la sua Passione, così che potesse sopportare la vita del lebbroso, la vicinanza con il malato: e lei piangeva, perché nel malato e nel lebbroso vedeva le ferite sanguinanti di nostro Signore Gesù. Vedendo l’infermo, la sua mente era conquistata da Gesù; quando si avvicinava al lebbroso, per amore di Cristo, voleva baciarlo. Compiva gesti che contrastavano con la sua giovinezza, con l’epoca della sua prosperità, quando aborriva il demente, quando scacciava il malato.

*

“Buon Dio, per amor Tuo vorrei essere esposta, nuda, in un recinto. Gli uomini si scandalizzerebbero per me, mi getterebbero nel sudiciume, mi riempirebbero di sputi; di città in città, ogni giorno della mia vita, sarei trascinata, schifata. Se ciò ti compiace, saprei affrontare la lascivia dello schifo, perché la tua volontà deve essere adempiuta, non certo la mia”.

Non era felice se non soffriva per nostro Signore, se qualche dolore non la confortava nel suo amore.

Nostro Signore Gesù le sussurrò: “La pazienza vale più del miracolo. Figlia mia, mi è grato che tu sappia soffrire e sopportare la vergogna, il disprezzo, il torto e il male, come se la tua testa fosse spiccata e spaccata tre volte al giorno, ogni giorno, per sette anni”.

“Signore, dal tuo grande dolore abbi pietà del mio piccolo soffrire”.

In un giorno di grave difficoltà, nostro Signore le disse: “Figlia, è giunta l’ora che ti consoli, perché tu percorri la via paradisiaca. Quella è la via percorsa da me e dai discepoli: soltanto ora capisci il dolore e la vergogna che ho sofferto per amarti, soltanto ora avrai compassione della mia passione”.

“Mio caro perfettissimo Dio, queste grazie mostrale ai religiosi e ai sacerdoti”.

Nostro Signore le disse, ancora: “No, figlia mia, perché io amo ciò che loro disprezzano: io amo la vergogna, il rimprovero e il disprezzo, amo l’umiliato e il reprobo, non il cortigiano e il potente; dunque, non avranno la grazia perché chi teme di essere uno scandalo per il mondo non ama Dio con perfezione”.

Finisce qui il breve trattato della devota Margery Kempe di Lynn

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