La copertina dell’ultimo libro di Marco Presta, Fate come se non ci fossi, uscito per Einaudi, ricorda una vecchia vignetta di Quino.
Nella vignetta del disegnatore argentino noto per essere il papà di Mafalda, tutto lo spazio a disposizione è occupato da una valanga di faccette disegnate che appaiono imbronciate all’unisono. Fra le centinaia di volti corrucciati tratteggiati in superficie, spunta un ovale con un sorriso a trecento carati. È a lui che un omino con il distintivo in petto e il cappello calato si avvicina, per sussurrargli: «Servizio normalità: i suoi documenti, prego».
Nella copertina di Presta, un foglio bianco si srotola, lasciando scoprire ancora una volta un mare di faccine, con occhietti segnati da puntini di spillo: è la normalità più pura spalmata a tutto campo con pochi tratti di matita.
L’«anormalità» in questo caso è data dal soggetto osservatore: un omino vestito di rosso, ben visibile, che si accinge a buttarsi a capofitto dentro il foglio, rimanendo un po’ dentro un po’ fuori, a metà strada fra realtà e rappresentazione.
Cosa sta facendo, esattamente? Sta tentando di infilarsi oppure di scappare dalla marmellata indistinta dei luoghi comuni che lo cingono da ogni parte?
Il sottotitolo del libro, che accompagna l’immagine sulla destra, pare un monito puntuto diretto al Signor Nessuno: «Per sparire bisogna esserci».
E Marco Presta, da parte sua, dentro ci sta tutto, in questo libro-taccuino – «diario-minimo del nostro tempo» – con un sapiente uso di ironie e paradossi sfruttante per raccontare l’ordinario.
A lui, alla copertina del suo libro, ben si addice la riflessione che fece Calvino sull’ironia: «Quella speciale modulazione lirica ed esistenziale che permette di contemplare il proprio dramma come dal di fuori e dissolverlo in malinconia». Fate come se non ci fossi, ci dice Presta, a suon di garbatissimi ruggiti di coniglio.
Elena Paparelli