11 Giugno 2020

“Sono gli uomini che hanno le idee, che creano, che rischiano, che inventano…”. Dialogo con Marco Montemaggi, ovvero: il racconto poetico dell’Impresa

Conosco Marco Montemaggi a una serata di poesia due anni fa. Ci si ferma tutti insieme a cena, una bella compagnia di amici e di persone che stimo. Quando gli chiedo di che cosa si occupa mi risponde “Heritage marketing” e io da vera ignorante rispondo “eh?!”, insomma lo riempio di domande e lui pazientemente mi risponde. Quello che mi incuriosiva era che quando mi dicono marketing o impresa io penso sempre e solo – sbagliando enormemente – a un tipo di persona, forse meno sensibile, sono vittima e carnefice anche io del pregiudizio. Voglio dire, siamo a un incontro di poesia, tra la specie animale di poeti, e mi trovo un uomo seduto a cena davanti a me che fa musei d’impresa. Ero disorientata.

Marco Montemaggi in un ritratto fotografico di Lorenzo Cicconi Massi

Quando incontri Marco Montemaggi c’è una cosa che ti rimane impressa. Lo stupore. Marco ti passa di mano la meraviglia, è un uomo capace ancora tutti i giorni di emozionarsi per il nuovo, per il particolare. Ha questo sguardo, di antica innocenza, rarissimo. E te lo attacca addosso. Dopo che lo incontri dici a te stessa che devi riprendere a guardarti intorno, gli incontri e la bellezza sono una benedizione, ci salvano. Marco si approccia alla vita cosciente che tutti noi portiamo dentro una storia, si avvicina agli altri con la curiosità di un bambino. Montemaggi ama scoprire le storie, raccontarle. E lo fa per lavoro, ci racconta le storie delle imprese, di uomini che hanno creato, di cui ci resta il prodotto, ma non solo.

Ti occupi di heritage marketing, musei d’impresa. Spiegaci di cosa si tratta e come sei arrivato a questa idea dato che vent’anni fa non esisteva un “museo di impresa”.

Bè, in effetti vent’anni fa esistevano alcuni importanti Musei ed Archivi d’impresa (vorrei ricordare, ad esempio, il Museo Piaggio del mio caro amico Tommaso Fanfani, come uno dei primi esempi brillanti in questo settore). Questo concetto, che è anche il titolo di un mio vecchio libro che scrissi insieme a Fabio Severino (Heritage Marketing, il valore dell’impresa come vantaggio competitivo, Franco Angeli, Roma, 2007), vuole significare il ruolo del patrimonio storico di un’impresa in qualità di strumento identitario, di marketing e comunicazione per la stessa e per il territorio di cui fa parte. A questo approccio arrivai dopo aver curato il mio primo Museo in Ducati, quando capii che la storia di un marchio era molto di più che mera agiografia o autocelebrazione, ma poteva diventare uno strumento strategico. E oggi una forte identità è fondamentale soprattutto per i marchi a forte valore aggiunto (moda, design, automotive etc.).

Nel tuo lavoro racconti storie. Storie che nascono dall’uomo, dall’unione in società o famiglie con altri uomini. Quindi storie di vita che si intersecano. Raccontaci cosa cerchi quando ti approcci a una nuova impresa, se nel progetto parti dal prodotto o dall’origine, dall’uomo.

In questi vent’anni di lavoro sono partito sempre dagli uomini. Sono gli uomini che hanno le idee, che creano delle tradizioni artigianali, che rischiano per fare impresa, che inventano, producono, vendono. Le storie che si possono raccontare in un Museo o in un libro partono sempre dagli uomini e dalla loro curiosità di andare un passo più avanti…

In questo raccontare storie d’industria in realtà c’è molto di te, del tuo sguardo che continuamente ti stupisce. Quanto il lavoro ti ha plasmato o quanto tu hai plasmato il lavoro a te.

In effetti, da quando sono piccolo sono sempre stato affascinato dalle storie che ascoltavo, innanzitutto da mio nonno Walter, e da quelle che leggevo sui libri. Il lavoro mi ha certamente cambiato ma sono felice che ora, dopo tanti anni, sia riuscito a crearmi una dimensione lavorativa più consona ai miei ritmi e natura.

Quali sono le storie che ti hanno più colpito, gli incontri che ti hanno cambiato la vita.

Da un punto di vista lavorativo sicuramente il primo incontro che ha segnato un punto di svolta è stato quello con l’allora Amministratore Delegato di Ducati Motor Holding, Federico Minoli. Era il 1996 e questo signore mi volle vedere a pranzo al Circuito di Misano, durante una gara del mondiale Superbike. Io all’epoca ero molto giovane e venivo da un periodo di studi post laurea in Inghilterra. Minoli, con grande audacia, mi propose di fare il Museo Ducati, cioè il difficile (e responsabilizzante) incarico di ricostruire e mostrare la storia di una delle più importanti aziende di moto del mondo. Una sfida vera e propria, con tanto di scadenza molto ravvicinata. Ci riuscii, e penso che quell’incontro cambiò letteralmente il corso della mia vita. Poi, in questi vent’anni, ricordo molte persone (a volte frequentate per anni, altre per periodi brevissimi) che mi hanno insegnato a lavorare e raccontato storie straordinarie che poi ho cercato in qualche modo di valorizzare. Oltre al già citato Minoli, Pietro Bellasi dell’Università di Bologna, Bruno Cavalieri Ducati, Roberto Gallo della Borsalino, Carlo Riva, Walter Verlicchi della Regione Emilia-Romagna, Giuseppe Guzzini, Carlo Camerana, Renzo Rosso sono solo alcune delle figure (responsabili di aziende o organizzazioni) che mi hanno scelto, sostenuto e aiutato a crescere professionalmente e, in alcuni casi, anche umanamente. Poi ci sono gli incontri della vita personale, gli amici, le compagne con cui ho condiviso un pezzo di strada, ma quello è un altro capitolo.

Poesia e musei d’industria. Che relazione c’è tra queste due tue passioni? Pensi che possano in qualche modo comunicare? Se ami la poesia te la porti addosso, tutti i giorni, ti espone in modo diverso agli eventi. Si può avere uno sguardo “poetico” sull’industria?

Devo dire che in maniera cosi esplicita non l’ho mai vista questa relazione fra due mondi apparentemente cosi lontani, ma penso che in fondo ci sia qualcosa di poetico nell’amore con cui un imprenditore lotta per la propria azienda o un lavoratore che fatica per qualcosa di più che un semplice stipendio sicuro o l’orgoglio di un’intera comunità di persone che si sente parte di una terra che ha costruito i violini più importanti del mondo o le macchine più belle. Spesso quando vengo invitato in giro per il mondo a parlare di cultura d’impresa, cito un episodio che mi è capitato all’inizio della mia carriera e che penso rappresenti questo binomio. All’inaugurazione del Museo Ducati c’era una grande foto anni Quaranta, in bianco e nero, con i dipendenti in fila davanti alla fabbrica. Vidi fra le tante persone, che c’erano quel giorno, un signore anziano con un bambino per mano (probabilmente il nipote, pensai). Quel signore si fece strada fra il gruppo di convenuti e una volta davanti alla grande fotografia, segnò una di quelle facce con il dito indice e disse al bambino “quello ero io, e sono stato qui per trent’anni della mia vita”. L’orgoglio che percepii nello sguardo di quel signore non lo scorderò mai e, devo dire, che mi restituì un senso alto di quello che avevo fatto.

Nella tua vita hai viaggiato e viaggi tantissimo. Si può dire che sei continuamente in transito. Raccontaci una tua storia, un viaggio che ti ha ribaltato l’esistenza, dopo il quale sei stato in grado di tenere ancora di più gli occhi aperti alla bellezza. Dopo il quale l’uomo per te è sempre una scoperta da rinnovare.

È vero, per attitudine personale e per mestiere ho sempre viaggiato tanto, ho conosciuto una bella fetta di mondo e avuto la fortuna di sentire tanti racconti, essere testimone di tanti fatti, per cui non so dire qual è il viaggio per me più significativo. Fra i tanti, però, uno mi ha cambiato una certa prospettiva di vita e aperto un’altra “pista” da percorrere. È stato il mio primo viaggio in Cile, su sollecitazione dell’allora responsabile per l’Italia del dipartimento per lo sviluppo economico di quel Paese (ProChile), una donna straordinaria che risponde al nome di Regina Rodriguez Covarrubias. Attraverso diverse conferenze in alcune Università cilene sui miei temi, che riguardano l’identità di marca, ho conosciuto un Paese meraviglioso che conserva le caratteristiche positive del Sud America unite a un pragmatismo europeo e a una buona qualità di vita. Un Paese che ho amato fin da subito e che mi ha regalato tante cose belle, molte soddisfazioni e la conoscenza di persone illuminate. Da quel primo anno non lo ho mai più abbandonato e ogni anno mi attira a sé come le sirene di Ulisse.

Clery Celeste

*In copertina: Raffaello, “Ritratto di Baldassarre Castiglione”, 1514-1515

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