25 Settembre 2019

Ora vi spiego come funzionano i Servizi segreti. Con appendice sul romanzo che avrebbe potuto scrivere Cossiga e su quel grande romanziere (e agente) di Maugham. Dialogo con Marco Giaconi

Sull’ultimo numero del New Yorker Adam Gopkin si è rimboccato le maniche e ha messo sul tavolo tre libri di vario contenuto e incerta preparazione, per parlare di… intelligence. Ho provato a seguirlo nelle sue buffe argomentazioni, ma alla fine ho deciso di fischiare a Tornado e gli sono saltato in sella. Come Zorro. Il mio Tornado si chiama Marco Giaconi.

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Professore, che titoli ha Gopkin per parlare di intelligence, sia questa nordamericana o globale? Sul New Yorker lui ha tutti i crismi per ‘fare opinione’ perché occupa quello scranno da più di trent’anni e ha consegnato alla biblioteca di Babele alcuni libri dai titoli fantasmatici tra i quali Tante piccole sanità. L’avventura morale del liberalismo (che sembra pensato dal Vernacoliere) oltre a Parigi al chiaro di luna e Angeli del passato. Breve storia di Darwin, Lincoln e la vita moderna. Nell’articolo che vorrei commentare con lei, Gopkin fa di tutto: sfoglia l’ultimo lavoro di Andrews (The secret world) e si eccita a leggere le storie della CIA che negli anni Sessanta sperimentava l’LSD sulle sex workers per verificare la resistenza umana alla manipolazione. Insomma, capra e cavolo?

Non credo che Gopkin abbia qualche esperienza diretta di intelligence, ma ha la boria assoluta e comica dell’intellettuale, soprattutto di formazione letteraria. C’era un professorello, all’Università di Pisa, il quale diceva che, siccome tutti usano il linguaggio, allora noi professori di lettere sappiamo tutto, perché tutto si esprime con il linguaggio. Gopkin ha solo l’autorità dei salotti di Manhattan, e questo gli basta. Ecco, la droga lo eccita, ovviamente, come un vecchio sex worker di qualche università. Ma il progetto MK-ULTRA era una operazione di mind control della CIA che operava anche con l’ipnosi e altri farmaci. Una operazione, e altre simili le facevano i sovietici, peraltro allievi di Pavlov, per il controllo a distanza del pensiero, soprattutto dei leaders avversari. Cazzate positiviste cessate, grazie a Dio, alla metà degli anni ’70. I sovietici, comunque, erano più seri, poiché utilizzavano la parapsicologia. L’LSD era, poi, la molecola purificata dell’acido lisergico, la dietilammide, quella che rendeva la segale cornuta e soprattutto il suo fungo preferito, il Claviceps delle graminacee, così pericolosa per le popolazioni medievali. L’Ergotismo, l’infezione da claviceps, fu all’origine di migrazioni e rituali dell’Evo di Mezzo, tra streghe e visioni. Ecco, siamo ritornati proprio al punto di partenza.

Vorrei una definizione sommaria, caustica e cinica di questa escogitazione di Gopkin: “la regola è semplice – se avete molte informazioni segrete non per questo prenderete decisioni intelligenti. Per due motivi. Spesso, quando avete informazioni segrete, queste sono sovrabbondanti e non sapete quali contano e quali no. Inoltre, una volta trovato il modo di raccogliere informazioni, vi impuntate che i vostri nemici abbiano fatta la stessa cosa con voi e quindi vi abbiano rimpinzato di informazioni fasulle per portarvi a prendere decisioni sbagliate”.

L’intelligence non serve, quasi mai, a raccogliere singole e uniche informazioni segrete. Non c’è una perla nera e magnifica nascosta da qualche parte. Serve a comprenderle, le notizie, siano esse dati palesi o riservati. Non a caso, l’OSINT, Open Source INTelligence, è la maggiore area di attività di ogni Servizio moderno. Le operazioni coperte si fanno non per avere questa o quella notizia coperta da segreto assoluto, che non esiste, e se esiste è irrilevante, ma per condizionare e deformare gli strumenti, tutti, anche quelli palesi, dell’avversario. Le informazioni davvero segrete possono essere, comunque, anche misleading, perché hanno con la realtà lo stesso rapporto che con essa hanno le notizie comuni. Il problema non è la notizia, ma il ragionamento che ne viene fuori. È proprio quello che è esatto o meno. Questo Gopkin mi pare appartenga quindi alla setta di quelli che dicono che i Servizi non servono, tanto ci sono loro, scrittori del New Yorker, che già capiscono tutto, tra un Martini molto secco e un succo di papaya ecologico. Si calmi, comunque, Gopkin, tanto le notizie vengono verificate, e bene, non siamo mica dei giornalisti alla moda.

Secondo Lei perché adesso pure i ‘salami’ di Yale pretendono storie controcorrente che illuminino i segreti dietro le quinte, siano essi segreti di Stato o meno? Perché tanto chiasso attorno al libro di Andrews?

The Secret World di Andrew, il vecchio decrittatore, insieme a Mitrokhin, degli appunti del russo asportati dall’archivio del KGB, è una lunga e molto british storia della funzione dell’intelligence. Il “rapporto Impedian” fu poi trasferito, con tanta paura da parte degli italiani, da Servizi inglesi a tutti i Servizi collegati in Europa, almeno per quello che li riguardava direttamente. Apparve anche un vice-direttore del SISMI, un Carabiniere appena uscito dalla sua barzelletta d’ordinanza, che disse, per non avere fulmini da D’Alema, che non c’era niente di vero… Ci fu, e immagino che oggi negli Usa saranno tanti, quelli che diranno che il rapporto “era falso”, come sostennero fino alla noia anche i membri di estrema sinistra della Commissione ad hoc che il governo Berlusconi, nel 2002, riprese da un progetto del governo d’Alema. Probabilmente gli scrittori si accorgeranno, con un bagno di realtà prodotto dal testo di Andrew, che il mondo è infinitamente più complesso e, perfino, più divertente delle fesserie noiosissime che scrivono i giornalisti d’assalto per cento e cento pagine. Il problema, per chi legge Andrew, è che l’intelligence opera soprattutto come certe aziende private, crea una sensazione, uno stato d’animo universale, una idea fissa. Che diventa la verità. Ecco il vero mestiere: creare un mondo, ma non credere di arrivare alla sua verità profonda, che oggi nemmeno i massimi decisori conoscono bene. Ma, certo, l’intelligence è l’unico modo serio di semplificare razionalmente e realisticamente un sistema geopolitico.

Mi viene in mente che spesso Lei parlava di Cossiga in merito al suo culto di Botero e della ragion di Stato. Le chiederei di approfondire il punto prima di tornare a bomba ai nostri nordamericani piallati come racchette da ping pong. Ora, Cossiga era un raffinatissimo uomo di cultura: tutta, più storia che letteratura, ma la figlia avrebbe scovato nelle carte post-mortem un romanzo. Come se lo immagina, questo testo, posto che il Presidente Emerito era un battutiere e un conoscitore di uomini nel lampo di un secondo?

Me lo immagino come un Dumas sardo. Colpi di scena, un personaggio, ma non il principale, che tira le fila della storia e la spiega ai lettori, come in certi romanzi d’appendice, poi ammazzamenti, donne fatalissime (che a Cossiga piacevano molto, amava le donne, ma soprattutto quelle molto vivaci) e infine un prete che risolve i drammi di coscienza del cattivone, che poi si rivela buono come il pane. Mi correggo: non un Dumas sardo, ma un Manzoni con nonno pastore “balente”. È l’epoca, comunque, di Botero. Senza un grosso casino in ogni pagina, mi viene difficile immaginare un romanzo di Cossiga. Amava i caos, che sapeva ordinare. Probabilmente sarà anche un romanzo di quelli che si leggono d’un fiato.

E del segreto number one, di Moro? Cossiga ne aveva, all’inizio, un timore reverenziale. Poi ci dev’essere stata qualche critica, ma sempre in quel modo particolare in cui si critica un uomo che si stima. Forse Cossiga non aveva approvato il modo del ‘compromesso storico’ ma la sostanza gliel’era andata giù? Era pur sempre una fase in cui la DC avrebbe addormentato anche il leone comunista, con tanti soldi, molta corruzione, l’apparente piacere sommo e sublime del potere. Come era accaduto con il PSI. O dico male?

C’erano due problemi: evitare il condizionamento, per la DC, di un PSI che aveva, ormai, come unico progetto politico, il nuovo Fronte Popolare, ma al governo con i cattolici, che si sarebbero drasticamente ridotti. Il secondo problema: evitare che il PCI andasse al potere mantenendo i suoi links con Mosca. Non a caso, anche vedendo il Rapporto Impedian di Mitrokhin, il KGB penetrava preferibilmente i cattolici di sinistra. O certi ambienti di affari. I comunisti lavoravano già per loro, quelli dell’Est, non c’era bisogno di utilizzarli come corrieri. Cossiga ebbe dubbi seri sul compromesso storico quando si accorse che anche la gauche caviar, la più cretina di tutte, era diventata un asse di espansione del “K”. Sapeva, Cossiga, che i brigatisti venivano “selezionati” con il tramite dell’allora direttore della fighissima “Terrazza Martini” a Milano, che poi passava i fogli ad altri, che non vi dico di certo. E che la rivolta militarizzata di piazza e di sinistra, iniziata con l’aiuto del Patto di Varsavia, era diventata il piatto girevole su cui giocavano Servizi amici e nemici, ma soprattutto amici. E, mentre Moro era nella “prigione del popolo” di Roma, dopo qualche altro trasferimento, certi documenti viaggiavano dalla loro sede naturale verso bar e altri luoghi in cui, poi, i brigatisti li riprendevano, per passarli ad altri. Dopo la morte efferata di Moro, la NATO era “nuda”.

Però una cosa erano i socialisti, altra i comunisti. Dietro il PC c’era una grande potenza nucleare. Quindi da noi servì la pianificazione di una Forza di Intervento Rapido nucleare autonoma per il Mediterraneo. Lei che se ne occupò sa dirci se Cossiga ne fu contento? E gli altri?

La pianificazione di un “tridente” nucleare la feci io, su suggerimento velato, come sempre, proprio di Cossiga che, naturalmente, l’avrebbe verificata con i tecnici. Cossiga, appena vedeva una divisa (non la mia) si elettrizzava. Immaginate cosa sarebbe successo se noi avessimo avuto un’arma credibile di warning strategico come il nucleare, nel caso dell’invasione “democratica” della Libia gheddafiana. O come sarebbe cambiata la distribuzione dei poteri nel Maghreb, con o senza l’operazione USA delle “primavere arabe”. Potevamo unificare noi il Mediterraneo, con Spagna, Grecia, Francia, Balcani, magari perfino con la Turchia, che intanto stava diventando, come è ora, potenza terrestre verso l’Asia Centrale. Ma non si piange sul latte versato. Io avevo presupposto un nucleo di comando militare supremo nazionale, a seguito dell’Ok del Governo e del Presidente. Che si accordavano loro con la NATO. Ovviamente, non lo volevano né i britannici né gli altri, sarebbe stato un impedimento grave alla divisione del potere postbellico in Europa, una usucapione settantennale che, oltre a non essere contemplata dal diritto, mostra tutti i segni dell’irrigidimento cadaverico. Gli arabi, infatti, jihadisti o meno, questo almeno l’hanno capito.

Tempo fa mi disse che forse il vero romanzo che Cossiga stava scrivendo era il Servizio, argomento sommo da Tito Livio fino a Graham Greene e oltre. Caso strano, i grandi scrittori del Servizio (Maugham) erano anche ottimi agenti. Si veda il caso di Kipling o di Wodehouse, sbilenco agente infiltrato tra i nazisti. In Italia ci sarebbe qualche esempio per una storia della letteratura scritta da autori del Servizio sul Servizio?

Già, Cossiga amava l’intelligence come pochi, e la capiva benissimo. Anche quella altrui. Con questi politici cachettici, educati al moralismo ipocrita anglosassone e alla storiella dei Servizi “deviati” (ma da altri) il cappello politico sull’intelligence o è stupido o troppo oppressivo. Cossiga lo amava, il Servizio, perché la politica estera è l’anima della politica interna, e perché l’anima della politica estera è l’intelligence. Un sillogismo ancora valido. “Intellettuali” famosi contattati dal Servizio come “agenti di influenza” e che operano con Servizi collegati e amici, ce ne sono diversi, in Italia, ma nessuno, che io sappia, ha mai scritto qualcosa di romanzesco sul Servizio. Passerebbe, certamente, per “fascista”, qualunque cosa si intenda con questo termine. La Storia, probabilmente, nella quale i romanzieri non eccellono quasi mai. Qui ci vuole il british style.

Ci dà la sua top five per i romanzi di Maugham? Io propongo: In villa, Storie ciniche, Acque morte, Lo scheletro nell’armadio, La luna e sei soldi.

In Villa mi piace molto, con questo plot da Firenze anglicizzata, dopo secoli che la famiglia reale di Londra fece fallire le banche dei Bardi e dei Peruzzi, e mi viene in mente il film di propaganda “Il Re d’Inghilterra non paga”, pellicola di propaganda fascistissima, ideato dal librettista preferito di Puccini, Gioacchino Forzano. Qui, con Maugham, solita signora british un filino mignotta. Lo scheletro nell’armadio è sapiente, una analisi perfetta del sistema letterario e della naturale, e perfino prevedibile, cattiveria umana. Acque Morte, il medico drogato e sapiente. Il Beau Monde di Storie ciniche, che riesce a rendere piacevolissima alla lettura l’inutilità assoluta di certe persone. Infine la Luna e sei soldi, la storia di un piccolo borghese che va a fare il pittore, mediocre, a Parigi e poi a Tahiti, come quell’altro. Che, magari, era mediocre anche lui. La mano comune che si intravede, nel Maugham del Servizio e in quello dei romanzi, è la capacità di leggere tutti i contraddittori e sottilissimi aspetti di un personaggio.

Come commenta il modo sfuggente di Maugham di eliminare le sue opere a bruciapelo? Abbiamo la nota preziosa di le Carré che dice di un Maugham piromane: distrusse almeno sedici novelle regnante Churchill quando stavano per imbastirgli un processo stile Wilde. E poi c’è quest’altra impresa dalla biografia che Ted Morgan gli dedicò nel 1980: insieme al segretario Alan Searle, Maugham era impegnato in una sessione di falò notturni nel salotto della Villa Mauresque vicino Nizza, nel 1958. Pile di lettere finivano nel mucchio, insieme a bozze e altri manoscritti. Searle doveva provare orrore per quei materiali preziosi andati in fumo e provò a salvarne alcuni; ma la mattina dopo, trovato Maugham a colazione, questi gli disse: ‘Notte buona per lavorare, ieri. Ma ora tocca bruciare quel che hai nascosto sotto il sofà’. Che dire? Maugham sembra faccia il paio con gli avventurieri della Russia zarista, o magari con Barry Lyndon…

Snobismo. Dal quale gli anglosassoni tentano di sfuggire e tanto più ci entrano con tutte le corna. Forse qualche documento da far sparire, ma qui mi riferisco al settore Wilde, non al Servizio, qualche nevrastenia rimasta, la sua mania di perfezionismo, roba da college in cui si impara, al massimo, ad essere come Wilde. Sì, Maugham voleva essere un avventuriero, ma gli mancava la faccia tosta. E la rapida semplificazione dei caratteri.

Andrea Bianchi

(To be continued)

*In copertina: William Somerset Maugham (1874-1965), grande scrittore affratellato all’Intelligence

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