Se l’amore è da sempre argomento fondamentale della letteratura, l’amore adolescente lo è in modo ancor più toccante e appassionato: quello tragico di Romeo e Giulietta, quello aulico e introspettivo dei giovani Werther e Törless, fino al nuovo romanticismo dei ragazzini fragili e moderatamente ribelli di Moccia o a quello gotico e magico di Harry Potter e Mercoledì. Marco Drago, classe 1967, scrittore, traduttore, conduttore radiofonico (per ascoltare il suo ultimo podcast cliccare qui Etere non etere | RaiPlay Sound e qui per l’iconica sigla Istituto Barlumen Band – Etere (Non Etere) – YouTube), in Innamorato, edito da Bollati Boringhieri, racconta il proprio amore adolescente e al tempo stesso quello che molti dei nati nell’intorno della sua generazione possono aver vissuto. Un liceo anni Ottanta, un sentimento a lungo vissuto e idealizzato dentro sé, poi finalmente realizzato quattro anni dopo, poi finito senza capire bene il perché, come d’altra parte spesso avviene. Un amore che però continua anche dopo la sua fine a vivere nell’animo dello scrittore, fino all’età matura, diventando una dolce ossessione.
Nel tuo libro ricorre spesso la parola “ossessione”, oggi associata per lo più a concetti negativi, stalking, amore tossico, a volte estreme conseguenze che finiscono nei casi di cronaca. Forse per questo sembra che ti affretti ad affiancarvi l’aggettivo “innocua”, fin dalla frase riportata in copertina, “la storia di un’innocua ma potentissima ossessione”. Ma un’ossessione può essere innocua? Da ragazzini forse sì, ma dopo?
Sulla persistenza in età adulta di questo genere di ossessioni direi che siamo fuori campo perché qui stiamo parlando di adolescenza, un periodo di pazzia, pieno di cose che ripensandoci ci lasciano sgomenti. I comportamenti, le sensazioni che avevamo a quell’età ci sembrano pazzeschi visti oggi, per lo meno se li prendiamo sul serio. Ecco, quello che voglio fare è prendere sul serio per un attimo quei noi stessi che siamo stati, provare a vedere che cosa c’era dietro certi comportamenti che adesso ci paiono inspiegabili. Da adulti è un’altra cosa, l’ossessione amorosa adulta si trasforma in violenza in molti casi. È ovvio che in una vita matura non si dedica a questo genere di cose la stessa energia che vi si dedicava da ragazzini, chi diventa violento per amore – chiamiamolo amore ma non lo è – chi si ossessiona per una persona e la insegue, la spaventa o la maltratta vuol dire che è rimasto un sedicenne. A sedici anni se avessimo avuto la malizia, i fallimenti sulle spalle che abbiamo adesso, se fossimo stati amareggiati dalla vita come si è da adulti e avessimo avuto quella carica di energia di allora e al tempo stesso i mezzi per far nostra quella persona con le buone o con le cattive probabilmente l’avremmo fatto. Ecco allora che mi viene in mente che questi uomini che fanno violenza siano profondamente immaturi – forse esistono anche nomi scientifici per definire questo genere di immaturità – che fondamentalmente siano rimasti degli adolescenti ma con i mezzi e con il vissuto degli adulti. Però non bisogna fare l’errore di trasferire la storia raccontata in Innamorato su una vita adulta, perché si tratta della cronaca minuziosa di avvenimenti che potevano succedere solo in quella fase della vita.
Racconti di aver trascorso gli anni del liceo in una classe quasi completamente femminile, in cui eri l’unico maschio. “Non è certo sufficiente la mia presenza a determinare un cambio di genere, i professori urlano “Ragazze!” ogni cinque minuti e poi mi rivolgono un sorriso ghignante di presa in giro affettuosa”. Questo brano fa sorridere pensando alle attuali discussioni sul linguaggio di genere, che secondo alcuni modificherebbe il modo di percepire sé stessi. In che modo crescere circondato da donne, come dici tu “completamente immerso nella femminilità”, ha influenzato il tuo percorso di vita?
Magari sì, chi lo sa. Ho anche avuto una madre e una sorella, con cui ho trascorso molto più tempo che con mio padre. Ho sempre avuto delle amiche, anche da molto piccolo. Amiche carissime, che ho ancora oggi. Con le compagne di scuola ho un rapporto speciale, ci vogliamo davvero bene, ci siamo divertiti tanto. Non oso immaginare come sarebbe stata la mia vita se avessi frequentato per cinque anni solo compagni di scuola maschi. Sicuramente peggio ma molto peggio di adesso. Quegli anni lì sono stati magici. Il mistero del femminile persisteva ma ero avvantaggiato perché sentivo i loro discorsi, capivo meglio di altri che cosa passava in quelle teste ingarbugliate. Ma non è che mi sia servito molto a diventare “popolare” come si dice adesso. Cioè sì, era uno che si distingueva, ero parecchio bizzarro, ma non avevo molte fan. Ero friendzonato in automatico. Avevo delle stranissime convinzioni in testa, tipo che non bisognasse essere troppo diretti. Giustissimo. Ma io esageravo e non ero MAI diretto. Se non mi fosse mai saltata addosso, esasperata, una ragazza ogni tanto, sarei arrivato al primo bacio a 25 anni. Quindi, vedi? Ero avvantaggiato ma non usavo il mio know-how, ero davvero un babbo.
“Le letture e i film veicolano una quantità incredibile di puttanate sull’amore che i ragazzi e le ragazze prendono per buone” e ancora “Dai poeti provenzali a Claudio Baglioni, passando per quel coglione del giovane Werther, è tutto un bombardamento di cazzate che non stanno né in cielo né in terra”. A un certo punto nel libro c’è questa divertente sbroccata, che sorprende in un testo nell’insieme molto romantico! Credi che libri, film, canzoni ci suggestionino e modifichino le nostre emozioni?
Sì, sono convinto che libri, film, canzoni ci spingano a provare emozioni non del tutto autentiche, o che comunque sono percepite come autentiche in quel momento ma sono comunque determinate in fondo dall’appartenenza a una cultura che ha sempre battuto il tasto su quello. Il concetto di amore romantico è un concetto profondamente falso, di solito a un certo punto te ne accorgi, ma qualcuno muore senza nemmeno accorgersene
“Quel che resta degli anni dell’adolescenza è in verità tutto, le impronte sul cemento fresco possono scurirsi, possono consumarsi, ma non possono sparire”, scrivi. Nell’incipit di Seminario sulla gioventù, Aldo Busi diceva “Che resta di tutto il dolore che abbiamo creduto di soffrire da giovani? Niente, neppure una reminiscenza”. Sembrate pensarla in modi opposti, o forse no, visto che anche lui, in modo diverso, ci ha scritto un romanzo. Nella tua adolescenza però la gioia sembra prevalere sul dolore, è così?
Non conosco Seminario sulla gioventù, peccato perché so che mi piacerebbe. Io sono convinto che purtroppo il passato è quel poco che ci resta, è un patrimonio a cui attingere. Il futuro è spesso speranza o illusione o attesa angosciante, non è un patrimonio. Il presente è un concetto vicino alla professione di fede. Forse sta davvero succedendo, questo presente, ma non me ne accorgo quasi mai. Me ne accorgo che è stato presente, quando ormai è passato, ma è una questione su cui si dibatte da secoli, quindi basta così. Io allora dico: il passato è tutto quello che abbiamo. Che ci piaccia o no. E noi siamo il risultato di tutto quel passato. Dei dolori che abbiamo creduto di soffrire da giovani magari non resta niente, ma restano le atmosfere, i colori, i suoni. Sono luoghi quasi fisici prodotti dalla nostra mente. Nella mia adolescenza c’è soprattutto gioia, la gioia delle scoperte quotidiane, delle persone straordinarie che frequentavo, e poi una situazione famigliare niente di speciale ma almeno tranquilla e permissiva a sufficienza. Erano tutti vivi, i genitori, mia sorella, i nonni, gli zii, i parenti, mi sembra incredibile aver vissuto anni in cui erano ancora tutti vivi. Come possono non essere, nella mia memoria, gli anni più belli della mia vita? Anche solo perché all’epoca avevo una famiglia. Quando arrivi alla mia età e ti accorgi che non se n’è salvato nemmeno uno, sei rimasto solo, ripensi a certe domeniche di tavolate piene di persone a cui volevi bene e ti sembra che quelli siano stati i migliori momenti della tua vita. È inevitabile.
“Non è un amore nato dall’amicizia, dalla frequentazione, dalla reale scoperta di affinità, è un amore generato dal nulla, dai tratti del suo volto, da quegli occhi, quei capelli, quegli zigomi, quelle movenze, quella dolcezza evidente in ogni suo gesto”. Da adolescenti è proprio così, ci si innamora tutto sommato di estranei, di qualcuno che vedi passare per strada, di una propria proiezione. Passare quattro anni ad amare una ragazza in silenzio, come hai fatto tu al liceo, è improbabile da adulti, anche per giusta razionalità e legittimo spirito di sopravvivenza, tu vuoi parlare a chi è ancora capace di farlo?
Questo è un libro che parla a tutti quelli che hanno conservato il ricordo di almeno una persona speciale dai tempi della propria infanzia e adolescenza, una persona speciale con cui non si hanno più rapporti, una persona che non ha partecipato alla nostra vita adulta ma che rimane nel nostro cuore, speciale e diversa da tutte le altre. Secondo me tutti abbiamo una persona così e questo libro parla proprio di questo. Quindi andando un po’ al di là della storia d’amore raccontata minuziosamente, mi sto accorgendo che il libro potrebbe essere preso anche un po’ come una parabola – forse esagerata, sennò non ci si scriveva un libro sopra – che ci insegna a prendere sul serio questo nostro sentimento verso queste persone, che magari dopo trent’anni ti scrivono e ti dicono sono nei guai, ho bisogno di te, e tu non ci pensi neanche un secondo e corri subito in loro aiuto. Sono rapporti che tutti abbiamo avuti, amici, fidanzati, persone per cui nutriamo un inspiegabile affetto.
“Dopo il sesso sbandierato sempre e comunque dei Settanta, eccola la nuova generazione di donne e uomini dal futuro marchiato AIDS”. Che percorso ritieni abbia fatto la liberazione sessuale, dagli anni ’70, ’80, ’90 ad oggi? Evoluzione o involuzione? Trovi che oggi ci sia, anche tra i giovani se ne conosci, più o meno libertà?
Non so niente dell’argomento ma secondo me si è sempre scopato, tra giovani, nei secoli dei secoli. Niente da fare: i giovani scopano. Quindi sospetto e temo che si sia sempre scopato tantissimo tranne che negli anni ’80 del XX secolo. Pensiamo al decennio successivo, gli anni ’90 del grunge e dei centri sociali. Negli anni ’90 abbondavano le storie a tre perfino tra gli ex dell’oratorio. Negli anni ’70 non parliamone nemmeno. Ai giorni nostri immagino che in seconda media girino già foto di nudo tra coetanei. Negli anni ’80 niente di tutto questo. Gli anni ’80 sono una macchia nera sulla mappa della storia delle scopate sulla Terra. E io me li sono cuccati tutti dall’inizio alla fine, sempre adolescente o appena post-adolescente. Tutti. L’Aids era davvero temuto, si poteva usare il preservativo, ma eravamo tutti vergini, pensa che casino. Piuttosto non si faceva. Capito che disastro? Quindi riassumiamo con: la libertà sessuale ha goduto di ottima salute per tutto il Novecento e oltre, tranne che negli anni ’80 del XX secolo.
Se è così, direi davvero una sfortuna! Meno male che sono nata qualche anno dopo. Nel tuo libro poi fai anche uno spaccato sociale di quei tempi, parli di lotta di classe, di differenze che non ti appartengono ma che inizi man mano a individuare intorno a te. “Non riconosco il baratro che separa certe compagne di città da altre di campagna, non mi rendo nemmeno conto delle differenze palesi di abbigliamento tra le une e le altre”. La scuola superiore è il primo vero incontro con le differenze di censo. A un certo punto dici che la questione delle classi sociali ha avuto grande peso nella fine della vostra storia: lei cattolica benestante, tu di famiglia socialista e soprattutto “un cazzo di artista”. In realtà più che due classi sociali mi sembrano due diverse declinazioni della borghesia, con una differenza rilevante di mentalità. Credi davvero che le differenze sociali vi abbiano diviso più di quelle individuali? E credi che oggi le classi sociali siano più legate a differenze strettamente di censo o culturali?
Il personaggio di Innamorato confonde la classe sociale con la compagnia di amici con cui si passa il tempo libero. È talmente sganciato da un’idea politica della vita privata che nemmeno si accorge di star scambiando una cosa per l’altra. Per lui, il fatto che la sua ragazza sia una brava ragazza vergine, che non fuma e non si ubriaca alle feste e che frequenta tutte persone come lei, discretamente fornite di beni di consumo che lui si sogna soltanto, significa che appartengono a due gruppi sociali distinti. Poi, certo, in realtà le due famiglie e i due contesti sono identici, fatte salve alcune micro-differenze, ma a 15-16-17 anni certe differenze si ingigantiscono. Le vere differenze erano tutte legate al contesto economico, non culturale, erano gli anni ’80, il denaro stava diventando sempre più protagonista dell’immaginario di tutti, ragazzi e adulti. Permettersi il weekend in montagna perfettamente equipaggiati per lo sci, a 18 anni, l’automobile, i soldi per l’hotel non era esattamente da tutti. E nella provincia del protagonista, più che altrove, ci si era scoperti ricchi (anche quando fondamentalmente ignoranti) abbastanza di colpo. Era la grande novità del momento. Operai ricchi, persone che avevano deciso di lasciare la medio-grande azienda che li aveva formati e avevano aperto un numero impressionante di piccole società quasi artigianali. Di colpo sono diventati anche molto ricchi. I loro figli ostentavano, inebriati, noi persone normali ci sentivamo molto sfigati, dal punto di vista strettamente materiale. Rimaneva un’unica forma di rivalsa, quella culturale. Ci si sforzava moltissimo di essere aggiornati su tutto quello che succedeva in UK (per la musica) e negli USA (per la letteratura e il cinema), si leggevano i classici della letteratura “per adolescenti” (“Siddharta”, “Opinioni di un clown”, Bukowski, qualcuno Burroughs, i più fricchettoni Castaneda e Kerouac), si ascoltava tutta la new wave che arrivava in diretta dal Regno Unito, raramente ci si concedeva delle scappatelle nel jazz o nella black music. I figli degli operai arricchiti invece la musica la ascoltavano solo in discoteca, qualche illuminato tra loro poteva avere degli LP a casa, roba tipo Genesis di Phil Collins, Alan Parsons Project, Toto, Chicago, ma non gliene fregava niente. Non si identificavano con la musica, come facevamo noi. Oggi è tutto molto mischiato, ma le differenze sociali sono soprattutto economiche, la provincia non ha più quel ritardo di 6 mesi/1 anno sulla città come succedeva ai miei tempi. Le mode adesso sono globali, immediate, rapidissime, difficile che un adolescente abbia tempo e pazienza di militare in una sottocultura. Gli anni ’80 sono stati gli anni in cui le sottoculture cominciano a essere più interessanti del mainstream, ed è quindi il momento in cui il mainstream comincia a fagocitare le frange anche più estreme ed avanguardistiche dell’arte underground. Pensiamo a Keith Haring, Robert Mapplethorpe, la filosofia warholiana trionfa, gli artisti diventano ricchi e tutto diventa pop. Gli influencer dell’epoca, per quelli del mio giro, erano proprio persone come Andy Warhol. Alla sua morte ci siamo messi a frignare come se fosse morto uno zio. E così colmavamo il gap con i ricchi. Sapendo più cose.
Anche nel libro parli molto di musica (hai persino creato una sorta di colonna sonora, una playlist su Spotify, che si può ascoltare qui INNAMORATO – la playlist – playlist by Marco Drago | Spotify ), tanto che a un certo punto definisci addirittura la letteratura “una parente povera della musica”. È un’affermazione impegnativa, quasi offensiva nei confronti della letteratura, specie per uno scrittore, anche se sappiamo che sei anche musicista e speaker radiofonico. In qualche modo la musica influenza anche il tuo stile di scrittura?
Non so. La musica è tutta la mia vita. Ma non credo che la mia scrittura (sia quella pensata per la radio sia quella pensata per i libri) rispecchi poi molto i miei gusti musicali. A volte mi piace usare versi di canzoni dentro le cose che scrivo: certe canzoni sintetizzano in modo efficacissimo un concetto o uno stato d’animo in un solo verso e – conoscendone davvero migliaia – mi succede a volte di infilarne uno così, un po’ per gioco e omaggio e un po’ perché suona bene. Mi piace molto scrivere di musica, a volte mi diverto su Facebook a scrivere dei piccoli articoletti a commento di una canzone, spesso di Zappa. È un genere che mi piace, quello del giornalismo musicale o comunque dello storytelling musicale. Mi vedrei bene a fare dei podcast dedicati a certi dischi, ma ci sono problemi di diritti per cui la musica, nei podcast, è un casino.
Innamorato credo si possa annoverare a pieno titolo nell’autofiction, oggi sempre più affermata, tanto che spesso rischia di diventare quella che tu stesso chiami “disdicevole narrativa ombelicale”, insidia che aggiri con una scrittura solida e vivace e un’ambientazione molto curata nella provincia italiana degli anni 80/90, conferendo così universalità a una storia personale. Si dice che la scrittura autobiografica sia in realtà la più ingannevole, perché l’autore vuol far fare bella figura a sé stesso. Tu risulti molto sincero e a volte spietato nel narrare le tue stesse debolezze, ma non posso non chiederti, c’è qualcosa su cui hai mentito, consapevolmente o inconsapevolmente?
Innamorato è pieno di bugie, pieno di omissioni, di falsi ricordi, di errori veri e propri (probabilmente), chi lo sa. Non ho il pieno controllo di quello che scrivo, a ogni singola frase che può essere l’esposizione fedelissima di quanto è davvero successo può seguirne una che invece espone solo pura invenzione. Ma è così sempre, per tutti, indipendentemente dal genere del tuo testo. Puoi anche scrivere di fantascienza e mischiare senza nemmeno quasi accorgertene interi paragrafi di tua vita vissuta e assurdi trip del tuo cervello. Su parecchie cose ho mentito consapevolmente, se no non avrei scritto un romanzo ma qualcos’altro.
In realtà non sei nuovo all’autofiction. In un tuo romanzo precedente, La prigione grande quanto un paese, edito da Barbera nel 2013, parli già della ragazza del liceo, anzi ne riveli persino il nome, Ale (ammesso che sia il nome vero), mentre in Innamorato la chiami soltanto “lei”. In più, si tratta di un romanzo molto divertente e ironico e soprattutto di uno spaccato storico della vita nella Germania dell’Est prima della caduta del muro. Che ne diresti di provare a ripubblicare questo romanzo, dopo il successo di Innamorato?
Mi piacerebbe ridare una vita editoriale a LPGQUP, certo, è un libro che amo e che è anche molto simile a Innamorato, anzi, Innamorato è un prequel di LPGQUP. Chi ha amato Innamorato dovrebbe cercare anche LPGQUP e leggerlo. Purtroppo ha girato poco in libreria, chissà, forse non era il momento giusto. Anche in quel libro uso questa tecnica di non indugiare in psicologismi ma descrivere in modo piuttosto sintetico i fatti, i luoghi, le situazioni, una scrittura veloce, sicura, che ti porta di qua e di là senza esitazioni. La materia del libro è interessante di per sé, la DDR. L’anno dopo il mio soggiorno la DDR non esisteva già più. Ho visto i tempi supplementari del socialismo reale e ho usato la memoria e l’immaginazione per ricostruirli sotto forma di diario letterario dei miei giorni a Magdbeburgo, esattamente come per Innamorato.
So che ti hanno già chiesto se tua moglie si è ingelosita e hai risposto di no, d’altra parte, il libro è dedicato a lei e anche nel finale la definisci “l’ultima donna, quella che, con la sua luminosità, ha cancellato l’ombra della prima”. C’è anche chi ti ha dato scherzosamente del paraculo per questo, d’altra parte l’ultimo amore contiene tutti i precedenti che ci hanno plasmato, quindi in un certo senso l’ultimo amore è sempre il primo. O forse la vera paraculata è il disclaimer a inizio libro, “ogni riferimento a fatti realmente accaduti e/o a persone realmente esistite è da ritenersi puramente casuale”. Come dicevi prima, non è detto che sia tutto vero, anche se a noi lettori piace cascarci, oppure rimestare anche con un po’ di morbosità nel mix di verità e bugie che caratterizza la letteratura. Ad esempio, mica sono così convinta che tua moglie non si sia ingelosita, ho letto varie commentatrici dire che ti avrebbero rotto il libro in testa e confesso, sono tra quelle…
L’importante è sempre l’ultimo amore, quello è sempre il più importante, specie se è destinato a essere l’ultimo per sempre. Il libro è un romanzo sulle cose strambe che si fanno per amore quando si è adolescenti, il suo protagonista è visto con lo sguardo di oggi, c’è un gioco letterario di mescolanza e di voluta confusione, in tutto il libro come oggetto fisico. Se lo apri c’è subito una scritta che ti avverte che è tutto frutto dell’immaginazione dell’autore. In copertina c’è inequivocabilmente scritto che si tratta di un romanzo. Poi lo leggi e il narratore dice esplicitamente che non vuole inventare niente, che sta riportando tutte cose che sono successe. A un certo punto il narratore sposta tutta l’attenzione sul marito della sua fidanzatina del liceo, dipingendosi come un folle odiatore, un uomo arso vivo dalla fiamma del rancore. Tutto l’amore puro di cui ha parlato fino a quel momento sparisce. Siamo nelle ultime pagine del libro. A quel punto avrai capito che siamo in presenza di un vero e proprio personaggio, una creazione letteraria, che ha eseguito con diligenza quanto l’autore gli ha ordinato di fare. Sarà poi vero che io, Marco Drago persona reale, penso ancora oggi tutti i giorni alla ragazza del liceo? Siamo sicuri? Io, come lettore, propenderei per il no. Non so voi. Sarà poi vero che io, Marco Drago persona reale, ho una moglie che non è gelosa della donna descritta nel libro? Sarà poi vero che ho letto un mio tema in classe e mi sono preso l’applauso di 30 ragazze e un bel 10 come voto? Io non ne sarei così sicuro. Ma in fondo chi se ne frega. Se il personaggio di Innamorato è stato credibile abbastanza da farvi immaginare che fosse tutto tutto tutto vero, allora devo fargli i miei complimenti.
*L’intervista è a cura di Viviana Viviani; il ritratto fotografico in copertina è di Giovanni Giovannetti