28 Luglio 2018

Mappa letteraria – e storica – dei Balcani: topografia dal terremoto. Un libro necessario di Diego Zandel che colpisce al cuore la crisi delle nostre democrazie

Diego Zandel, tra gli altri libri, ha dato alle stampe i romanzi Massacro per un presidente (Mondadori 1981); Una storia istriana (Rusconi 1987); Crociera di sangue (Mondadori 1993); Operazione Venere (Mondadori 1996); I confini dell’odio (Aragno 2002); L’uomo di Kos (Hobby&Work 2004) e Il fratello greco (Hacca 2010). Si presenta così nel sito personale che ne illustra la biografia: “Sono nato nel campo profughi di Servigliano da genitori fiumani nel 1948, ma sono cresciuto al Villaggio Giuliano-Dalmata di Roma, dove sono arrivato con i miei genitori, Carlo e Maria (Ucci) Zorco e la mia nonna paterna Maria Miculian all’età di tre mesi. Queste origini influenzeranno, sia in maniera diretta che indiretta, gran parte della mia opera letteraria, così come l’aver sposato una donna di madre greca, dell’isola di Kos, che diventerà l’altro mio luogo eletto”. Zandel ha da poco pubblicato Balcanica (Novecento Libri 2018), un’opera giornalistico-narrativa, ma con uno sfondo saggistico, che referta e indaga velocemente (non semplicisticamente) nella panoramica letteraria di autori e storie, a volte tragiche, estese tra l’Adriatico e il Mar Nero, dove sono collocati i Balcani. Dall’altra parte dell’Italia, dunque affacciati sulla stessa sponda, il mondo ha un’unità di fondo completamente rovesciata rispetto alla nostra. Eppure di questi paesi, della loro conflittuali vicende, come dei loro romanzieri e poeti, sappiamo ben poco. Le guerre nella ex Jugoslavia degli anni Novanta, l’eco delle atrocità commesse, l’odio che i popoli tra essi hanno espresso attraverso le armi e le cronache della ferocia (l’assedio di Sarajevo, il genocidio di Srebrenica, la lunga battaglia di Vukovar, i tanti crimini), come evidenziato nella quarta di copertina di Balcanica, sembrano dare l’impressione di una terra selvaggia e violenta. Ma cosa è successo in quell’universo così vicino e lontano tanto da sembrare invisibile, irrintracciabile? Cosa ci consente, eventualmente, di capirne l’anima, i risvolti antropologici, le convulse fasi che hanno determinato un nuovo assetto istituzionale e politico, di fatto modificando solo le strutture pubbliche, ma non il cuore della gente, le aspirazioni, le delusioni, le conquiste e le aspettative, in questi ultimi trent’anni? La mappa orientativa di Diego Zandel è topografica, in una geografia terremotata, mossa da un itinerario scritto sulla carta e varcato nel viaggio reale e mentale in questo sud-est europeo travolto dagli eventi della fine del secolo scorso. L’autore che conosce il serbocroato e il ciakavo, si nutriva e si nutre ancora di soggiorni (la Fiume di sua madre è una patria elettiva irriconoscibile dai lontani anni Cinquanta). Tra la Slovenia, la Croazia, la Bosnia, la Serbia, la Bulgaria, la Romania, l’Albania, la Grecia, la Turchia e l’Ungheria, in un quadro d’insieme dove confluiscono aneddoti e fasi cruciali di un secolo di sangue, si staglia una galleria di scrittori popolari, visionari, talvolta inevitabilmente crudi. L’altra faccia della nostra Italia opulenta fino agli anni Duemila, dominata dal capitalismo imprenditoriale e dall’edonismo disimpegnato e supponente, dal consumismo di massa e dalla fallace convinzione di un benessere materiale che non avrebbe avuto fine.

Zandel_Balcanica_copertinaDiego Zandel ci informa, fornendo una documentazione diretta, estrapolata dai suoi resoconti e articoli, di un dato di partenza tutt’altro che scontato: dopo la caduta dei regimi comunisti le condizioni del substrato socio-economico, nel Balcani, non sono granché cambiate, specie nella grandi città dove adesso girovagano clochard e donne che offrono il loro corpo in strada. La molteplicità di guerre che nel decennio 1991-2001 si sono registrate, venivano sostenute con il traffico di armi, di organi umani destinati ai trapianti e con la prostituzione. Una ad una ecco le varie corrispondenze dei territori. La Slovenia, che preferisce sentirsi intimamente una nazione mitteleuropea in una collocazione geopolitica sempre difficile quando si tratta di specificare un’entità sovranazionale, esprime letterati di primo piano. Tra questi Drago Jančar, capace di sondare “l’arbitrarietà del destino che lo sovrasta” con un approccio tanto immaginifico quanto delirante. La lotta partigiana di Tito viene inquadrata nei suoi aspetti nefasti e lo scrittore evidenzia un temperamento sovversivo in nome della libertà artistica. Boris Pahor ha raccontato la visita ad un campo di concentramento nel quale era stato rinchiuso, con il suo capolavoro Necropoli tradotto molto tardivamente in Italia. “Era come se qualcuno cercasse di inoculare cellule fresche e viventi in un putridume morto… Ero per l’intangibilità della dannazione”. Per la Croazia si distingue Vedrana Rudan con Odore di madre, in cui narra la complessità dei rapporti tra genitori e figli, l’egoismo di chi vuole la libertà sopra ogni altra cosa, infrangendo anche le elementari regole familiari. Si snodano il senso di relativismo dell’individuo, l’ipocrisia e l’intolleranza che caratterizzano anche i libri di Tatiana Gromača. Zandel tratta l’avvento degli Ustascia, i nazifascisti croati seguaci di Ante Pavelić, che ancora condizionano, in parte, la svolta indipendentista dei croati (specie di estrazione contadina), così come determinò l’appoggio anticomunista ricevuto alla vigilia della Guerra Fredda per coloro che cercavano una via di fuga lontano dall’Europa. Quindi la Bosnia, segnata dallo schiacciamento fatale tra la Croazia e la Serbia, con numerosi profughi che si sono diretti specie in Francia e negli Stati Uniti. Alexandar Hemon, uno di questi, narra il mancato rispetto dei vinti e il desiderio, sarcastico, di ristabilire la verità politica attraverso testimonianze dirette. La Serbia, grazie all’impegno dell’editore Zandonai, ha avuto diversi scrittori tradotti in Italia. Tra questi Dragan Velikić, giornalista, narratore, ambasciatore. Autore di La finestra russa, racconta il solipsismo di un uomo che vuole sfuggire da ogni responsabilità e missione, che si lascia vivere fino a diventare imbalsamatore di defunti. Donnaiolo senza scrupoli, non lascerà traccia di sé. Tra i paesi balcanici spicca la Romania e l’opera della giornalista e scrittrice Tatiana Niculescu Bran, che ha pubblicato Confessioni a Tanacu, in cui una ragazzina cresciuta in brefotrofi finisce in un monastero di monache ortodosse dove risiede un prete che pratica esorcismi. Tra i suoi trascorsi dei viaggi organizzati a scopo pedopornografico, le crisi di nevrosi culminate con la somministrazione massiccia di sedativi e una morte che ha portato a processo alcuni religiosi. Interessante il capitolo riservato alla Grecia. Diego Zandel scrive: “Uno spettro si aggira per l’Europa, ed è la Grecia. Il Paese dove l’Europa, nelle sue vesti mitologiche, e perciò culturali, è nata, ma che l’Europa, una volta compiutasi in qualche modo ha disconosciuto come figlia ingrata, accampando ragioni che possono suonare come sacrosante”. Una storia recente controversa, dove la Grecia ha dovuto garantire fedeltà all’occidente, ma senza avere nulla in cambio sul piano dello sviluppo commerciale e industriale. La Grecia dei colonnelli e la Grecia della democrazia con un passato ineguagliabile, è sondata secondo il pensiero di Maurizio De Rosa, consulente per la letteratura neogreca presso vari editori, che mette in luce la “prospettiva del privato” degli scrittori greci a partire dagli anni Ottanta e la tenuta dell’editoria di fronte alla perdurante crisi generale. Si segnala Ioanna Karistiani, che ha ottenuto il premio per il miglior romanzo greco dell’anno 2007, con Le catene del mare. Il mare, le donne, il ritorno a casa costellano un libro ricco di episodi e di sentimenti autentici. La Turchia di Burahn Sönmez, esiliato in Inghilterra, è concentrato nel ritorno nostalgico al passato, all’infanzia. Il presente proiettato in avanti sembra lasciarsi condizionare, negli scritti dei narratori turchi, da ombre e nebulose ineliminabili.

Balcanica non è un libro d’intrattenimento, non ha nulla di velleitario e non ci fa passare ore di svago. Serve ad uno scopo preciso, sdoganandosi della banalità imperante e colpendo in presa diretta la crisi delle nostre democrazie. Contro uno sistema che spettacolarizza i fenomeni, Zandel manifesta, subliminalmente, che la crisi dell’Europa, spesso inserita in un contesto occidentale ristretto, che include Germania, Francia, Spagna e Italia, ha radici che poggiano altrove, spostate in nazioni che non sono al vertice di un’organizzazione transnazionale, ma ai margini. L’idea di una federazione, se non di un’unione di stati, è fallita quando non si è riusciti a dare un assetto in chi cercava già, nella guerra, un’identità da formalizzare. La diserzione e la dissipazione di valori di riferimento simbolici per tutti, senza confini, dopo la caduta del Muro di Berlino, hanno accentuato la decadenza del vecchio continente che i Balcani avvertirono prima che la prospettiva ambiziosa costruisse un apparato, l’UE, oltre la moneta, la tradizione, la cultura, i costumi e la religione delle nazioni, immaginando frettolosamente un progresso comune di civiltà. Il sentimento pregnante degli scrittori di Diego Zandel resta nel terreno persuasivo di una dolorosa resistenza. Popoli e narratori si sovrappongono perfettamente in una fase interminabile di instabilità e divisioni autoctone, come se la parola razza avesse davvero una base scientifica, per dirla con il marocchino Tahar Ben Jelloun.

Alessandro Moscè

Gruppo MAGOG