A questo punto, chi meno sa, più sa. Per Manuel Puig vale il motto ‘romanziere per mettere in crisi gli esperti’. Borges non voleva leggerlo perché i suoi romanzi avevano titoli troppo trash. Le femministe lo accettarono solo fino a Il bacio della donna ragno, poi si fermarono arrabbiatissime. Foster Wallace, da par suo, ne ammirava le doti di shakeratore di linguaggi.
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Puig sfornò un titolo per la sua opera d’esordio che metterebbe in imbarazzo chi lo lanciasse anche oggi visto che andrebbe sotto il monopolio di Fabio Volo una cosa come Il tradimento di Rita Hayworth. Oggi i suoi conterranei lo definiscono come “un musical di Lars von Trier con Bjork come protagonista”. Come si ricorderà, Bjork fu molestata dal suddetto. In effetti Puig dà voce ai perseguitati, almeno in un paio di romanzi fa ronzare la voce e il colloquio dei protagonisti nell’abbandono di una cella (Il bacio della donna ragno) o di un ospedale (Pube Pube angelicale) senza che noi si riesca a scorgere tutta questa differenza tra le due strutture posto che dove viene torturato il corpo lì c’è anche il supplizio interiore. E viceversa.
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E però c’è un richiamo fascinoso nel nostro hombre, in Manuel Puig che è stato romanziere popolare a tutto tondo. Era nato nel 1932 e non sconfessò mai di dover molto, quasi tutto al cinema. Per fortuna come romanziere è godibile e Sur si sta mobilitando per rimetterlo in circolazione.
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Sur deve aver ingaggiato un mefistofelico creatore di copertine perché con Puig ha fatto miracoli. Prendete Una frase, un rigo appena: quando lo leggevano nella Bompiani borghesotta le nostre ave, c’era una copertina scipita che celava tutto sotto un grigiore uniforme da rotocalco. Forse anche per questo il romanzo non riusciva ad eccitarmi ma chissà che ora Sur non riesca a gettare un bel fascio di luce su questo autore… Quanto al Puig privato, basterà dire che era omosessuale in anni in cui era difficile tentare questo istinto ma al tempo stesso non c’era spazio per farsene un vanto. Puig se ne andò nel 1990.
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Per quanto riguarda la sua eredità, la sua voce, la si ritrova nelle interviste. C’è el clasico. Il pezzo forte sulla Paris Review gli fu elargito in articulo mortis sul numero del 1989, ed ecco a voi la punta di diamante: “Uno dei primissimi libri che lessi fu Sinfonia pastorale di Gide. E nel 1947 lui vinse il Nobel. Nello stesso periodo fu fatto un film di quel libro quindi Gide entrò subito per me in un terreno interessante, entrò nella filmografia. Lessi il romanzo e ne fui subito tramortito. Di lì a poco ricordo che mi piacque Palme selvagge di Faulkner, c’era la traduzione di Borges. Ma che autori contrastanti, Gide tutto misura ed economia, Faulkner disinvolto lungo tutta la pagina”.
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Diciamo che se si è abituati a leggere latinoamericani oggi Puig non sconvolge più di tanto, certo è una montagna rispetto al cosiddetto esperimento linguistico Conversazione nella Catedral di Vargas Llosa e soprattutto con Pube angelicale restituisce voce e credito a un vissuto femminile per interposta figura. Se ci arrivate senza aver letto la scorciatoia Molly Bloom, siete dei talenti…
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Per il resto, Puig era amato (in tutti i sensi) da Angelo Morino che fu grande ispanista e traduttore di cose letterarie tra anni Settanta e primissimi del Duemila. Peccato però che quando Puig se ne andò da noi ci fu il solito monologo interiore della Bignardi sulle colonne di Repubblica.
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Cerchiamo di mettere una toppa a quasi trent’anni di distanza. Ecco intanto un’intervista carina che Puig rilasciò durante una delle sue lunghe permanenze in Italia e che uscì sul glorioso Paese sera.
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Puig aveva origini italiane per parte di madre e, nomen omen, il suo cognome per esteso è Puig Delledonne – ah, se solo Einaudi all’epoca l’avesse stampato così… solo che era difficile vendere alle lettrici femministe un autore (popolare, poi!) col doppio cognome. Del resto, ci aveva rinunciato lo stesso Puig a usare il doppio cognome che comunque è bellissimo nella sua semplicità evanescente…
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Infine una scelta di pensieri acuminati da una sua intervista del 1979 quando era nel pieno fulgore creativo dopo Il bacio della donna ragno. (Andrea Bianchi)
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Mi piace Faulkner per la sua poesia ma non per i suoi argomenti. Pensi che ho letto Mentre morivo solo quest’anno perché una mia studentessa al City College di New York mi ha fatto una domanda proprio su quel libro.
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Non sono un best-seller ma con le traduzioni ho fatto qualche soldo. In Una frase, un rigo appena ho dovuto riscrivere io per le versioni francese e inglese il pezzo sulla lettura dei tarocchi per trovare un equivalente linguistico dei tarocchi spagnoli nel poker.
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Come la protagonista di Buenos Aires Affair, mi sento un relitto e riesco ad amare solo altri relitti come me. Non oso amare gli altri.
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Con quali contemporanei condivido uno stile? Mi perdoni ma non so molto di letteratura.
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Scrivo romanzi perché c’è qualcosa che non capisco dentro la realtà. Io metto allora un certo problema dentro un personaggio e tento di capirlo. Inizia così. A causa delle mie difese a livello inconscio sono incapace di affrontare il problema direttamente. Ci sono degli ostacoli di mezzo. Però usando un personaggio ce la posso fare. È più facile! E siccome tutti i miei problemi sono abbastanza complicati ho bisogno di un intero romanzo e non di un racconto o di un film. È come se mi curassi. Ma non c’è libertà, non sono un eletto. Non l’ho scelto io ma sono forzato a farlo. Deve essere un romanzo perché serve molto spazio. È una cosa analitica e non sintetica.
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Ritengo che Kafka illustri per davvero l’ambiente che opprime l’individuo. Mostra come l’inconscio controlli le nostre vite. E parla delle prigioni interiori che ci portiamo dentro. Ma contrariamente a Kafka io amo far riferimento sia nei libri che nei romanzi alla realtà mentre lui lascia la creazione sul piano immaginario.
Andrea Bianchi
*In copertina: Manuel Puig nel 1979 in un ritratto fotografico di Deborah Feingold