Jean-Paul Manganaro ha tradotto oltre duecento libri dall’italiano al francese, da Gadda a Pirandello a Tabucchi a Mari a Del Giudice a Bene e via di seguito. Di Carmelo Bene è stato anche un grande amico, come racconta lo stesso Bene nella sua autobiografia “parlata”, Vita di Carmelo Bene, definendo Manganaro un uomo di “strepitosa cultura” e l’unico vero grande amore della sua vita. Questo mese Manganaro pubblica un libro proprio su Bene, Oratorio Carmelo Bene, edito da Il Saggiatore, che gli ammiratori di Bene aspettano con impazienza. Anni fa visitai Manganaro nella sua casa di Parigi, un piccolo appartamento nel II arrondissement pieno di quadri di Piranesi e dischi di musica classica e libri e fotografie. Jean-Paul si stupì che non bevessi vino, però parlammo gradevolmente – di Gadda e di Bene e di tanti altri autori italiani, da Mari a Tabucchi a Del Giudice a Moresco. Tornai a casa pensando che Manganaro, grande lettore e traduttore e fine saggista, era una piccola isola di letteratura italiana a Parigi, un luogo prezioso e nascosto in cui rifugiarsi, anche solo nel ricordo. Oggi, in attesa che esca Oratorio Carmelo Bene, ho deciso di porgli qualche domanda. (Edoardo Pisani)

Edoardo Pisani con Jean-Paul Manganaro a Parigi

Qualche anno fa hai ritradotto il Pasticciaccio di Gadda, un libro che mancava da tempo nelle librerie francesi. Che accoglienza ha avuto in Francia? E quale difficoltà hai riscontrato nel traslare la lingua gaddiana? 

Accoglienza di stima abbastanza importante, con qualche passaggio critico interessante, soprattutto in radio, e anche qualche testata di giornale. Non un dilagare popolare, ma comunque un certo rispetto, senz’altro. Per le difficoltà inerenti alla traduzione, è inutile enumerarle, il discorso non può essere che generale: diciamo che è stato possibile tradurre il Pasticciaccio perché c’erano dietro cinquant’anni di esperienza e sette-otto titoli di Gadda già tradotti da me, quindi una responsabilità conscia dei problemi da affrontare e da risolvere. Per tradurre il Pasticciaccio ho lavorato dieci-dodici ore al giorno, finché è finito.

Qual è finora il tuo maggior rimpianto o desiderio, come traduttore? Quale libro italiano ti piacerebbe tradurre? Hai tradotto Mari, Del Giudice, Tabucchi, Calasso, Pasolini, Gadda e tanti altri. Tempo fa parlavamo della difficoltà di portare Fratelli d’Italia in Francia…  

Nessun rimpianto, tanti desideri. Non mi interessano molto gli autori del passato. Ma come puoi esprimere questi desideri se si confondono con la vastità degli oceani? Ho tradotto molto Pasolini, Dolores Prato, Rodari, Del Giudice, Michele Mari. Posso tutt’al più rimpiangere di non poter tradurre quanto avverrà, ciò che avrà luogo… l’inconnu attuale.

Il tuo Cul in air – edito nel 2014 da P.O.L. – è un ricettario amoroso della lingua e del cibo, che unisce la lingua scritta e la lingua fisica, cioè la parola e il gusto e l’appetito. Se dovessi scegliere degli invitati a cena fra scrittori e attori (anche morti) chi sceglieresti? Quale piatto del Cul in air dedicheresti a Carmelo Bene? E a Gadda? 

Carmelo Bene ha cenato diversissime volte a casa mia, a Parigi: mangiava cose abbastanza semplici ma cucinate “bene”: pasta con salsa, arrosto di manzo e contorno e l’unico dessert che abbia mai mangiato – disse un giorno – una mia Reine de Saba, un dolce di pura cioccolata. Non credo che oserei invitare Gadda… Il mio miglior avventore è stato Gilles Deleuze; anche Roland Barthes non scherzava.

Sei un grande appassionato di cinema. Hai scritto un saggio su Fellini e un libro che definirei d’amore su Liz Taylor. Quali sono i film del tuo cuore? E in questi ultimi anni ti piace qualche regista in particolare? 

I film sono tanti e tantissimi i registi: mi limiterò a citarne pochissimi: Almodóvar, Tarkowski, Tarantino, Scorsese, Kiarostami, Fassbinder, Ozu, insomma una cinematografia forte…

Torniamo alla letteratura. Molti scrittori italiani novecenteschi non sono più letti, né in Francia né altrove. Penso a Ferdinando Camon, che credo sia stato il tuo primo autore tradotto in francese; in Italia Un altare per la madre si trova soprattutto nei mercatini dell’usato. Come vedi il futuro del libro? La fortuna – postuma e non – di ogni scrittore è davvero affidata al caso? Alcuni autori più “sperimentali” e dunque forse meno leggibili saranno via via dimenticati?

È un grande torto del gusto del pubblico – ma che cos’è il gusto del pubblico? – non apprezzare più Ferdinando Camon, perché ha scritto tre/quattro libro che sono capolavori. Il futuro del libro mi sembra in sintonia con le difficoltà di sempre: ne sento parlare da quando ho superato l’età della ragione, e dunque da tanto tempo. Poi si vedrà, sempre in futuro, ma non credo che ci sarò. È normale che si dimentichi, anche perché c’è troppa roba da smaltire e non si può rischiare la salute…

Ricordo, visitandoti anni fa nella tua casa di Parigi, degli splendidi quadri di Piranesi e una collezione di dischi di musica classica. Cosa ascolti traducendo o scrivendo? E cucinando? 

Non ascolto musica quando lavoro o cucino, preferisco bere, eventualmente. Ascoltare musica non è cosa che possa essere mimetizzata o confusa con altre attività, è in sé e per sé un affare completo e totale.

Un libro postumo di Antonio Tabucchi, che pure amava molto Fellini, si intitola Di tutto resta un poco. Tu hai vissuto molta letteratura, sulla pagina e nel cuore. Cosa resta di tutto quanto? 

Restano tantissime cose difficilmente elencabili anche perché sono in disordine e questo disordine è connaturale o connaturato alla condizione di ciò che resta, che resiste, che deve farsi un posto suo, una propria dimensione che non può essere organizzata come il presente o chi per esso…

Chiuderei con un tuo divertissement, riprendendo un paragrafo da Cul in air. Preferisci le omelettes o gli hom-de-lettre? 

Decisamente le omelettes!

 

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