Ogni momento della vita di André Malraux è vissuto – così pare, e in forma sgargiante – per essere scritto, con la piena coscienza di avere un pubblico, di domare il leone della Storia e indirizzarne il ruggito verso la posterità. Pochissimi letterati hanno avuto un ruolo di potere – e un campo d’azione – vasto quanto quello di Malraux; nessuno ha vissuto con una totalità tanto entusiasta nel torbido politico, esclusivamente letteraria. Malraux, voglio dire, si inscriveva nella Storia scrivendosi: tutti i suoi gesti sono atti verbali, vissuti in favore di romanzo, secondo una analitica ossessione del sé che, senza adempiersi, fugge, inesorabilmente, nel niente. Se le Antimemorie – tanto meticolose quanto fittizie, dove ogni incidente assurge a simbolo, ogni incontro a momento definitivo, sull’apice dell’apocalisse – sono il ‘negativo’ di una vita, basterà leggere La Politique, la culture. Discours, articles, entretiens (1925-1975), edito da Gallimard nel 1996, per capire l’inquietante, completa ‘letterarietà’ di Malraux. Chi è, in effetti, Malraux? Avventuriero per imitazione, militare per esuberanza, politico in eccesso retorico, romanziere, sempre, comunque. Non lo stani, Malraux: si svolge come un paravento, ha la statuaria complessità di un mausoleo, di lui non resta che l’eco, una recondita fragilità.
I testi che qui si traducono testimoniano la gita africana di Malraux. È il 1960, il grande scrittore è stato eletto, l’anno prima, Ministre des Affaires culturelles dal Presidente Charles de Gaulle, di cui, di fatto, è il braccio destro, l’intelligenza armata, indisciplinata. Nel fatidico 1960 è lui, in rappresentanza di De Gaulle, a proclamare l’indipendenza delle antiche colonie francesi in Africa, a farne la Storia, quindi: il 10 agosto è in Ciad; il 12 nella Repubblica Centrafricana; il 14 nella neonata Repubblica del Congo. Malraux, in quest’ultimo caso, tiene il discorso a Brazzaville, la città fondata nel 1880 da Pietro Savorgnan di Brazzà, supremo esploratore italiano, a cui offre rigoroso e degno omaggio – non privo di sibilline considerazioni. Nato a Castel Gandolfo da nobili friulani, Savorgnan di Brazzà approfondisce i suoi studi a Parigi, ottiene la cittadinanza francese nel 1874, ed è grazie alla sua audacia – cioè alla capacità di capire le usanze africane e di accattivarsi, con il carisma, l’affetto delle tribù – che prende a costruirsi la cosiddetta Africa Equatoriale Francese. Prima acclamato a Parigi come un eroe, viene a poco a poco marginalizzato, poi sostituito nella gestione delle colonie. “Trasferitosi in Algeria nella bella villa Dar es-Sangha, nel 1901 tentò di pubblicare una relazione sugli errori e gli orrori del colonialismo europeo, ma il suo dossier venne insabbiato… Nell’aprile del 1905 venne inviato ancora una volta in Congo, dove gli indigeni si stavano ribellando a un sistema di tassazione molto pesante. Mentre stava ridiscendendo l’Oubangui e il Congo in battello, dopo aver concluso la sua inchiesta, che mise in evidenza la delittuosa connivenza esistente a danno degli indigeni tra le autorità locali e le società impegnate nello sfruttamento del territorio, si ammalò di dissenteria e ricevette l’ordine dal governatore Emile Gentil di tornare in Francia. Morì però a Dakar il 14 settembre 1905, sollevando dei dubbi fra i parenti, che ritennero sempre fosse stato avvelenato sulla nave per impedire che il suo rapporto su quanto aveva visto in Congo arrivasse a Parigi” (Francesco Surdich). Insieme a lui, Malraux onora Félix Éboué, sodale di De Gaulle, morto nel 1944, il primo governatore delle colonie – esercitò in Guadalupa e in Ciad – di colore. Il primo presidente della Repubblica del Congo, invece, fu Fulbert Youlou, già sindaco di Brazzaville, sacerdote. Durò poco: nazionalista, nel 1963 fu rovesciato da un colpo di Stato. Il discorso che Malraux tiene due giorni dopo, il 16 agosto, a Libreville, in Gabon, sintetizza la prestanza politica dello scrittore. Il primo presidente del Gabon libero, Léon M’ba, tentò di accentrare tutti i poteri nella sua persona, finché fu costretto a reprimere un colpo di Stato, nel 1964, con aiuto – e relativa tutela – francese. Le potenti giungle del Gabon furono esplorate, molti decenni prima, proprio da Savorgnan di Brazzà, autentico personaggio ‘da romanzo’ che a differenza di Malraux non aveva il physique dello scrittore, dell’anatomista epico, l’irreale.
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Brazzaville, 14 agosto 1960, pochi minuti prima della mezzanotte
Questa notte risuonerà la solenne salva che saluta l’indipendenza dei popoli, che rimbomberà nella memoria dei vostri figli, pari ai colpi che un tempo celebravano la nascita dei re.
È questo uno dei giorni più grandi che la vostra storia ha conosciuto, un giorno tanto più commovente per noi perché il destino dell’Africa Equatoriale di ieri e quello di France Libre si sono compiuti, fianco a fianco. Brazzaville, come ha detto il generale de Gaulle, è stato uno dei luoghi cruciali della Francia combattente. Ieri, con il presidente della Repubblica del Congo, abbiamo deposto una corona di fiori ai piedi del monumento a Félix Eboué, che ha saputo unire la fedeltà alla più feconda fiducia nelle qualità africane, e a quelli del monumento a Savorgnan di Brazzà, che affermava, con una speranza spesso sconfessata dai fatti, che chiunque avesse toccato la bandiera sarebbe diventato un uomo libero. La radio lo ha ricordato questa notte: ciascuna di quelle due morti esemplari e fraterne, il cui dialogo prefigura il nostro, è onorata con una ghirlanda a forma di V, la vittoria e la croce di Lorena; la corona è stata trasportata da un lato dal presidente della Repubblica del Congo e dall’altro dal generale de Gaulle.
Occorre parlare in modo inequivocabile. L’era coloniale, a cui lei, Signor Presidente, ha accennato con l’autentica dignità di un capo di Stato, che non dimentica quella che è stata definita dote di fidanzamento, ora è finita. Né io né voi abbiamo fatto la storia del XIX secolo, ma nella misura in cui il generale de Gaulle ha raffigurato la nostra storia comune, è proprio in questo giorno dell’Indipendenza che dobbiamo gridare che qui non ci sarà altra storia che quella della fraternità: il generale de Gaulle è venuto a Brazzaville per proclamare la Carta dei Diritti dei Popoli Africani, è tornato per proporre una Comunità, e io sono qui oggi in suo nome a celebrare l’Indipendenza. Benché le condizioni della Storia siano state, a volte, al mondo – e per molti anni – terribili, la Francia può essere orgogliosa almeno di questa giornata storica: per voi, per noi, per il mondo, perché corona i nostri incontri di speranza e libertà.
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16 agosto 1960, Libreville
Lei ha detto, Signor Presidente, “siamo pronti ad accettare la collaborazione di tutti quelli che verranno, pieni di buona volontà”. Sa cosa le dico? Susciti le buone volontà, è il suo dovere di Stato! La parola governare d’altronde ha lo stesso significato di navigare e nella storia, ora, dovrete governare tra accordi fecondi e accordi mortali, come tra chi crede che l’indipendenza non cambi nulla e chi crede che cambi tutto. Ma fate attenzione agli accordi mortali.
La prossima storia dell’Africa sarà quella dei suoi Stati. Tuttavia, è chiaro che la vittoria non andrà agli Stati che sottometteranno la volontà personale ai propri interessi, ma gli interessi alla propria volontà.
Eccoci dunque, signori, di fronte al problema millenario posto dalla Storia a coloro che ricevono il terribile e vertiginoso compito di farla. Eccovi di fronte all’indipendenza. Ho conosciuto, nelle vaste ore di gioia africana, la festa delle vostre Repubbliche, nell’eccitazione e nei balli, nell’entusiasmo dei tamtam, l’ora abbagliante che farà dire, nei momenti d’angoscia: “quel giorno abbiamo vissuto secondo il nostro cuore”, secondo il loro cuore, secondo il vostro cuore, e secondo il nostro, Signori.
André Malraux