Quando Malcolm de Chazal venne al mondo, il 12 settembre del 1902, nelle proprietà ereditate vicino a Vacoas, sugli altipiani delle Mauritius – il terzo figlio di una famiglia che avrebbe accumulati tredici – nulla faceva intuire che una personalità fuori dal comune, attraverso la creatività artistica e il genio poetico, avrebbe ribaltato convenzioni assunte da secoli. La famiglia di Malcolm abitava lì da cinque generazioni, da quando François de Chazal de la Genesté, nel 1763, quasi cinquant’anni dopo la presa di possesso dell’isola da parte della Francia, aveva scelto di lasciare la natia Auverge per ritirarsi in quella lontana zona di mondo, nota all’epoca come Île de France.
*
Da bambino a ingegnere
Malcolm de Chazal passò un’infanzia felice a Curepipe, la città più alta dell’isola, che divenne, in pochi decenni, la seconda più grande delle Mauritius, in seguito all’afflusso di genti dalla campagna, alle prese con la malaria. Nella sua Autobiographie spirituelle (1976), Malcolm de Chazal racconta il suo percorso scolastico, culminato con la partenza per la Louisiana, insieme al fratello maggiore. A Baton Rouge, Malcolm terminò gli studi liceali e si iscrisse alla facoltà di ingegneria, per specializzarsi nella tecnologia degli zuccherifici. Avrebbe preferito, scrive, “diventare avvocato e partire per Londra”.
Durante il periodo americano, mantenne rapporti regolari con la comunità religiosa legata agli insegnamenti di Emanuel Swedenborg. Gli studi – “il supplizio della conoscenza fasulla”, come scrive – terminarono nel 1924 con un diploma in ingegneria agraria nel settore connesso alla lavorazione dello zucchero. Lavorò alcuni mesi in un’industria cubana dello zucchero, poi Malcolm optò per una vacanza: scoprì l’Europa, visitando Inghilterra, Francia e Svizzera, prima di tornare a Mauritius, il 27 aprile del 1925, a bordo del transatlantico ‘Général Duchesne’.
Dopo sette anni di assenza, Malcolm de Chazal trova un’isola politicamente vivace, economicamente fiorente, proprio a causa di un recente aumento del prezzo dello zucchero. Sul pianto letterario, il mensile “L’Essoir” era al decimo anno di vita; vi avevano il sopravvento due poeti: Léoville L’Homme, d’istinto parnassiano, che morirà nel 1928, e Robert-Edward Hart, il simbolista moderno, agli inizi della carriera. Con quest’ultimo, Chazal intratterrà rapporti regolari e fecondi, all’origine delle sue scoperte sull’isola e sull’oceano Indiano.
*
L’evoluzione professionale
Gli impieghi nell’industria dello zucchero tuttavia non lo soddisfacevano: né a Saint-Aubin né negli impianti di Solitude. Chazal era in forte disaccordo con la visione economica e politica dell’industria locale, che, a suo avviso, accumulava debiti senza reinvestire gli enormi profitti ottenuti negli anni Venti. Si allontanò – si estraniò, dovremmo dire – da questo settore, preferendo l’industria della trasformazione delle foglie di aloe in fibre e corde. Anche questo esperimento, tuttavia, fallì.
Non sappiamo di preciso quando Chazal rassegnò le dimissioni dall’industria tessile: probabilmente, nel corso del 1934, quando si oppose all’ampliamento di una fabbrica di borse per cui lavorava. A quel punto, decise di mettere in chiaro i presupposti che animavano la sua visione economica intorno all’industria locale. Nel 1935, su un quotidiano locale, “L’après-midi”, sotto la celata dello pseudonimo, MEDEC, Chazal scrisse una serie di articoli dal titolo generico, Une synthèse objective de la crise actuelle, che poi avrebbe raccolto in un opuscolo. Nello stesso anno, scrisse un testo intitolato Nouvel essai d’économie politique. Entrambe le pubblicazioni non sortirono l’effetto sperato da Chazal, cioè un’illuminazione da parte dell’oligarchia industriale del luogo e un cambiamento nella gestione economica. Nel 1941 Chazal pubblica Laboratoire central de contrôle, preconizzando la razionalizzazione dell’industria dello zucchero dai campi al porto, proponendo idee che si sarebbero realizzate molto dopo; ad esempio: un centro nazionale di analisi per migliorare la qualità dello zucchero e la meccanizzazione dei magazzini e dei docks.
Dovendo lavorare per vivere, Chazal scelse di diventare un funzionario. A 35 anni entra nel dipartimento pubblico per la telefonia e l’elettricità: gli uffici erano a Plaine Lauzun, all’ingresso della capitale, Port-Louis, con funzioni di ispettore di secondo grado e uno stipendio annuo di 3600 rupie. Nel 1954 diventa ispettore commerciale di primo grado, nel 1956 è ufficiale del traffico a Port-Louis. “Non avevo niente da fare. Ero atrocemente mal pagato. Ho fatto di tutto per dimostrare la mia incapacità. Mi hanno lasciato in pace”, scrive nella sua autobiografia. A 55 anni chiese la pensione; gliela concessero. Un dei colleghi di dipartimento, Emmanuel Juste, egli stesso poeta, rievoca il profilo del funzionario Malcolm de Chazal parlando “della meraviglia del quotidiano, del rituale dei colori e della luce, delle montagne geroglifiche che saldano l’amicizia tra gli uomini, dei misteri dell’alchimia”. A volte, ricorda, Chazal correva colto “da una sorta di trance, il volto preoccupato, il mento teso, in atto di sfida, forse intrappolato nel sortilegio di un’idea”.
*
Gli anni Quaranta: nasce un poeta
Gli anni passati come funzionario nella telefonia pubblica non sono vani. Fu durante questo periodo che Malcolm affinò il suo pensiero, cominciando a pubblicare con intensità. Il suo primo contributo letterario data al 1936: in una rivista culturale effimera, “Vivre”, Chazal pubblica una quindicina di pensieri, alcuni dei quali fungono da chiavi essenziali per comprendere il suo lavoro. Il primo è questo:
“Dante è grande perché ha capito ciò che troppi scrittori ignorano: che le parole sono creature viventi. Puoi mescolarle, scomporle, rimetterle al loro posto per disegnare armonie di suoni e di immagini, ma non dimenticare che una parola è una creatura. Quando scrivo stelle, con queste precise sei lettere non traccio segni morti. Esse contengono una sostanza reale ed organica. La parola è una magia della vita”.
La seconda definisce la missione di uno scrittore secondo Chazal:
“Con i suoi pensieri e la sua fantasia sempre accesa, il poeta è il profeta di una nuova era”.
Nel 1940, con la pubblicazione di un fascicolo intitolato Pensées I, Chazal raduna 204 aforismi scritti tra il 1937 e il ’38.
*
Le rivelazioni della pietra e del fiore
La fine degli anni Trenta e gli anni Quaranta sono un’epoca importante per la vita culturale, letteraria e politica delle Mauritius: l’Europa è sotto il tiro della guerra e gli intellettuali si incontrano, si raggruppano, pensano, dibattono. Il poeta Robert-Edward Hart introduce Chazal all’opera di Jules Hermann. In un libro intitolato Les révélations du Grand Océan, Hermann spiega come il gruppo delle isole del sud-ovest dell’Oceano Indiano, di cui Mauritius è parte, sono i ruderi di un continente mitico, Lemuria, in cui vivevano giganti protostorici che, tra l’altro, scolpirono le montagne. Questa rivelazione apre a Chazal orizzonti insospettabili: “Da quel momento non ho più potuto vedere la mia isola come prima. Il suo passato mi aveva saldato all’Impossibile”. Chazal condivide la scoperta di questo nuovo patto tra sé e l’ambiente con i suoi pari, raccolti al Cénacle, una specie di club di intellettuali mauriziani che si riunivano regolarmente a casa del pittore Hervé Masson. La rivelazione della pietra è compiuta e non cesserà mai di istruire il poeta.
A questa, si somma la rivelazione del fiore, una scoperta personale, avvenuta nel giardino botanico annesso alla casa di famiglia. Camminando, Chazal si accorge che una azalea lo fissa. Commentando questo evento, decisivo nel suo percorso poetico, Chazal scrive:
“Non ero niente per gli uomini, ero qualcuno per il fiore, che si è accorto di me. Ora tutto è chiaro: a Mauritius il paesaggio non è ristretto, non riguarda più soltanto gli uomini. Una nuova prospettiva si spalanca”.
La sua isola, la fidanzata che sceglie di non lasciare più, ha un’origine mitica, che risale alla notte dei tempi: tutto ciò che la compone è magico.
*
“Dissezionare la materia-uomo”. Gli aforismi
Gli aforismi, che cristallizzano precetti, si adattano perfettamente al progetto di Malcolm de Chazal: andare per “penetrazioni successive” alla scoperta dell’uomo e del suo ambiente. Tra il 1942 e il 1947 Chazal pubblica otto libri, di cui sette sono raccolte di aforismi: ai Pensées II e Pensées III, del 1943, contenenti ciascuno 250 aforismi circa, seguono Pensées IV (1943), che raduna oltre 500 aforismi scritti in tre mesi; Pensées V – 524 aforismi scritti in cinque mesi – e Pensées VI – 723 aforismi scritti in otto mesi – pubblicati nel 1944; Pensées et Sens-Plastique esce nel 1945 accogliendo oltre 1200 aforismi.
Il capolavoro di Chazal, Sens-Plastique II, con oltre 2mila aforismi, appare nel 1947; è il libro che ottiene il riconoscimento parigino. Jean Paulhan, direttore in Gallimard, e diversi scrittori surrealisti ritengono che si tratti dell’opera di uno “scrittore geniale”. A Sans-Plastique, “il respiro dell’universale in una cosmologia dell’invisibile” (così l’autore) segue La Vie filtrée, edito nel 1949 ancora da Gallimard. Con questo libro si chiude la ‘carriera’ parigina di Chazal: adorato da André Breton, ora non beneficia più del suo appoggio, anzi, viene accusato di deismo. Dio e la questione del divino, in effetti, divengono gli argomenti principali della nuova fase di Chazal: non sarebbe più stato pubblicato in Francia, se non dopo vent’anni.
*
Alla ricerca del Principio essenziale
Benché l’editoria parigina gli chiuda le porte, Chazal non smette di scrivere né di pubblicare, foss’anche in edizioni riservate agli amici, tirate in un centinaio di copie. Il ritmo delle pubblicazioni accelera: quattro fascicoli nel 1950, sei nel 1951, undici nel 1952, sei nel 1953, quattro nel 1954. Le riflessioni si fanno sempre più elaborate, al limite dell’ermetismo. Rivisita i temi biblici con disarmante originalità: definisce la sua religione “un impasto di cristianesimo e animismo”. Il suo romanzo mitologico, Petrusmok (1951), scritto in febbrile energia nell’arco di tre mesi, è un momento capitale: racconta l’incontro tra i miti d’Oriente e d’Occidente.
Dalla prima metà degli anni Cinquanta, Chazal cerca uno strumento espressivo più duttile, capace di conferire alla sua ricerca un impatto più forte: ricorre allora al teatro, che pensa come una rappresentazione sacra, uno strumento di redenzione. Scrive così diverse opere teatrali: soltanto una fu messa in scena sulle assi di un palco locale. Le pièce, di solito, ruotano intorno al tema della passione e crocefissione di Cristo: Iésou è del 1950, Mosè dell’anno dopo, Giuda del 1953. La sua ultima opera teatrale, Le concile des poètes, è ambientata “in un’immensa città del Tibet” dove “sono riuniti gli uomini più intelligenti dell’Universo”: è un elogio alla “Fratellanza Cosmica” come mezzo per giungere alla poesia e all’amore.
*
Scrivere a grandezza naturale
L’avvento della pittura come mezzo espressivo risale al 1958. Vocazione tardiva? Chazal ha 56 anni e non sa disegnare. Eppure, in una lettera pubblica del luglio del 1958, scrive che “il poeta può fare tutto, soprattutto l’impossibile”. Diverse storie sono sorte attorno alla vocazione di Chazal per la pittura: una di queste racconta che il poeta, vedendo dipingere un figlio di suoi amici, volle fare lo stesso perché le verità essenziali che aveva cercato per tutta la vita erano riassunte in quel gesto infantile. La pittura, in qualche modo, è un modo per illustrare la parola, per dare ad essa un valore tridimensionale. Dipinge, il poeta, come ha scritto: febbrilmente, costantemente. In poco tempo, Chazal produce centinaia di gouaches: espone a Parigi, a Londra, a Montreal, a San Francisco, a Roma, in Senegal. La sua arte è apprezzata e acquistata. Ma questo urta la sensibilità sinistra dell’artista che decide di bruciare pubblicamente i suoi quadri. Come scrive in un articolo del 27 aprile 1962 su “Le Mauricien”, l’eccesso di rabbia lo aveva preso “dopo aver visto la folla che passava beffarda davanti ai quadri, la gente con le mani incollate al portafogli”.
*
I riconoscimenti? Meglio la morte…
Malcolm de Chazal si attendeva qualche riconoscimento, nazionale o internazionale? Quando le autorità britanniche locali gli offrirono, in nome della Regina, una decorazione (l’Order of the British Empire), Malcolm l’accettò – per rifiutarla pubblicamente. Nel 1976 Léopold Sédar Senghor si rammaricò che “il Nobel abbia dimenticato Chazal”. Sperava forse nel Nobel? Proprio quell’anno, Chazal rifiuta di pubblicare con l’editore francese Seghers nella collana ‘Poètes d’aujourd’hui’:
“La ragione è molto semplice: non voglio fornire alcuna informazione della mia vita ai mauriziani. La mia intenzione è restare un mistero per Mauritius e per il resto del mondo”.
Malcolm de Chazal morì a 79 anni, il primo ottobre del 1981. Aveva l’onnipresente energia di un bambino. L’ultimo suo scritto risale al gennaio del 1978: come a chiudere un cerchio, è un articolo di economia, uscito sul quotidiano “Advance”, in particolare sulla moneta mauriziana. “Crediamo di essere ricchi, ma non lo siamo”, scrive. Nel 1954 aveva scritto che “il poeta non è tanto vivo come quando è morto”. In parte è vero: l’opera di Chazal, oggi, giganteggia. Ci ha insegnato che “l’uomo deve reimparare a vedere – per farlo, deve conquistare il cosmico”.
Robert Furlong
*La biografia, leggermente adattata, è pubblicata come postfazione a: Malcolm de Chazal, “Autobiographie spirituelle”, L’Harmattan, 2008
***
Malcolm de Chazal: il genio lontano
Tra il 1948 e il 1965, Malcolm de Chazal ha pubblicato una ventina di opere, alcune delle quali provocarono scalpore: tutte espressione di un pensiero originale, talvolta bordeggiando l’esoterismo, dotate di uno stile inquieto e anticonformista. Eppure, dopo l’iniziale sbalordimento di Sens-plastique, apparso nella NRF con una prefazione di Jean Paulhan – “quest’arte merita il nome di genio, questo nome, nessun’altro” – la critica, conforme alla sua reputazione di frivolezza e frigidità, ha cessato di interessarsi di questo poeta degli antipodi, ammantandolo in un ambiguo silenzio. Georges Duhamel e Paulhan, sollecitati dall’uomo che avevano portato alle vette, mostrarono nei suoi riguardi una sorta di imbarazzata indifferenza, che sfociò in ostilità.
Dalla sua isola, che si rifiutava ostinatamente di lasciare, Malcolm de Chazal continuò a lanciare accorati appelli al mondo. La distanza non era la sola ragione della sua solitudine. Soffriva, credo, per aver confidato nella comunione degli spiriti: si accorse, come accadde un tempo al suo amato Swedenborg, che la porta verso il paradiso intellettuale gli veniva chiusa in faccia. Chazal non smise di scrivere. Al contrario, fu preso dalla frenesia, produsse nuovi manoscritti, moltiplicò i progetti. Petrusmok, Judas, Apparadoxes, Sens unique, La Vie filtrée, Aggenèse furono sassi che rimbalzarono contro il muro dell’indifferenza parigina. Avrebbe potuto disperarsi. Decise di continuare.
Decise, soprattutto, che il suo teatro di studio sarebbe stato Mauritius: quella zona di alture dove viveva la sua vita precaria, con pochi soldi, scarso lavoro, nessuna famiglia, Rose Hill, Quatre Bornes, il mercato di Louise, la casa del fratello a Curepipe, di cui occupava la soffitta, il giardino botanico, le funzioni alla chiesa swedenborghiana. Decise che quello era il microcosmo in cui i suoi pensieri avrebbero potuto realizzarsi. Un mondo meschino, a dirla tutta, dove regnava il denaro degli zuccherifici e delle banche, i pregiudizi razziali, l’angusto conformismo di una vecchia società coloniale, il materialismo che ha contaminato la religione. Ma è il suo mondo, quello che gli è stato consegnato e a cui si sente legato.
E poi scrive. Ha bisogno di sentire l’eco di un pubblico, dunque scrive dove sa che non sarà letto, sui giornali e sulle riviste, “Le Mauricien”, “Le Cernéen”, “Advance”. È l’altro Chazal, quello che non ti aspetti. Il tribuno (impegnato con i laburisti in politica), il critico, il moralista. L’intrattenitore. Ha uno stile abbagliante, proprio di una violenta libertà di pensiero. Scrive di tutti gli argomenti: cronaca politica, crisi economica, filosofia, letteratura. Con un umorismo grigio che non lo abbandona mai, mette in scena se stesso, regala le sue ricette su Come diventare un genio:
“Prenditi terribilmente sul serio senza prenderti sul serio”
“Non analizzarti, mai: diventerai stupido”
“Resta sempre senza parole, finché non arriva la fata”
“Temi la felicità, il lutto della gioia”
“Svegliati la mattina pensando che non sei ancora nato”
Pone domande insolubili, che provocano:
“Se il nulla esiste, chi lo ha creato?”
“Se l’acqua non conoscesse la sete, come potremmo berla?”
“Perché leggere? Lo chiedo a voi, lettori! Chi ha imparato mai qualcosa da un libro? L’unico libro, il più prezioso, è la vita”.
I suoi temi preferiti sono quelli che gli permettono di stigmatizzare i contemporanei: denuncia il razzismo bianco, i pregiudizi razziali che non esistono “in banca come a letto”; mette in discussione l’idea di progresso e di civiltà (“La civiltà nera? Ha preceduto la bianca”), si rallegra quando i suoi detrattori lo sfottono chiamandolo “sommo negro”. Attacca le idee preconcette dei concittadini in tema religioso, ricorda che tra i principi di Cristo c’era anche il comunismo primordiale: “Vendettero le loro proprietà e i loro beni e ne spartirono il ricavato tra tutti, secondo i bisogni di ciascuno”. Con una generosità ignota alla maggior parte degli scrittori, lancia un appello per Robert-Edward Hart, che tutti dicevano essere il più grande poeta del tempo, salvo abbandonarlo alla nera miseria.
La sua indipendenza di pensiero e la sua intransigenza gli permettono di contraddire i benpensanti progressisti del femminismo, di avanzare principi sconvenienti (“Perché le donne non sono dei geni?”), di evocare con pudore il suo affetto per la principessa Indira Devi che “profuma di India”. Quando parla di Mauritius, ne parla con l’amore di chi vede la sua bellezza minacciata dall’industrializzazione agricola, che distrugge la foresta e tramuta l’isola in “un deserto verde”. Come Césaire nei Caraibi, rende omaggio alla lingua che lo ha nutrito, questa “adorabile lingua creola” diversa dall’idioma classico francese, perché è una “lingua nuda” dove “le immagini scorrono sulla poesia come umori”.
Questa somma non fa il tutto. Mostra però meglio di ogni esegesi la possente verità di uno dei poeti più fertili e audaci della letteratura francese contemporanea, nelle sue grandezze e nelle sue cadute – nella sua vita.
J-M.G. Le Clézio
*Il testo è uscito in origine su “Le Monde” l’11 settembre del 2006
*Il capolavoro di Malcolm de Chazal, “Sens-plastique” è pubblicato dalle edizioni Magog come “Plastica”, nella traduzione di Maura Baldini