Uno dei suoi più grandi poemi, insieme alla Nuvola in Calzoni è Di questo. Uscì per la prima volta nel 1923. Un poema progettato sull’amore, come scrisse lo stesso Majakovskij. Peculiare il modo con cui compone il poema: segregato in casa per due mesi, in risposta a un lungo periodo di silenzio impostogli dall’amata Lili Brik, che si rifiutava persino di rispondergli al telefono. È il manifesto della vita futura in tutti i sensi. In che senso?
Questo tema arriva,
sui gomiti spinge
lo storpio al foglio
e ordina:
Graffia! –
E lo storpio
dalla carta
si stacca, con un grido di uccello,
con i soli versi la canzone abbaglia il sole.
Questo tema arriva,
dalla porta di servizio
si gira,
si disintegra come la cappella di un fungo,
il gigante
rimane in piedi un secondo
e stramazza,
seppellito da un cumulo di bigliettini increspati.
Questo tema arriva,
ordina:
Verità! –
Questo tema arriva,
comanda
Bellezza! –
E che
la traversa ti rovini le mani,
purché dalla croce tu canticchi un valzer.
[…]
Confonde,
distoglie dal sonno e dal pane.
Questo tema arriva,
non si consuma mai
dice soltanto:
d’ora in avanti guarda me! –
E tu lo guardi,
e vai come l’alfiere,
segnando la terra di un fuoco rosso seta.
È un tema furbo!
Si tuffa dentro ai fatti,
nei recessi degli istinti, preparandosi al balzo
furibondo ormai
osano dimenticarlo! –
ti scuote;
cadranno le anime dalle pelli.
Questo tema s’è presentato da me iroso
e m’ha ordinato:
Dammi
il freno dei giorni! –
Ha guardato, con una smorfia,nel mio quotidiano,
come una tempesta ha disperso uomini e cose.
Questo tema è arrivato,
scansando gli altri
e solo,
è ormai vicino, non mi lascia.
Questo tema mi ha messo alla gola il coltello,
Martellatore!
Dal cuore alle tempie.
Questo tema ha oscurato il giorno, nel buio
batti – ordinava – con i versi le fronti.
Il nome
di questo
tema è:
…..!
Il poeta intendeva chiarire una volta per tutte quel che si ripresentava come un tema incalzante e ancora irrisolto: come doveva essere l’uomo nuovo, la sua morale, i suoi sentimenti, la sua vita.
Il punto principale del poema è dunque la difesa dell’amore minacciato dai meschini valori della vita borghese. All’inizio una telefonata all’amata che si nega scatena la gelosia che trasforma il poeta in un orso, affranto, al punto da trovarsi a navigar sul fiume delle proprie lacrime:
Acqua sotto il divano.
Sotto il tavolo
dietro la credenza, acqua.
Da sotto il divano,
spinta dall’acqua,
verso la finestra naviga la valigia.
[…]
Come un orso bianco
m’arrampico su una lastra di ghiaccio,
navigo sul mio cuscino ghiaccio.
Sotto di me il ghiaccio del cuscino.
Passando sotto un ponte trova, legato al parapetto dalle corde dei versi, il proprio doppio, che invano lo prega di liberarlo. Passando attraverso vari ambienti piccolo borghesi cerca disperato qualcuno che lo aiuti a liberare l’uomo del ponte. Giunto a casa, scopre che neanche la famiglia è disposta a credergli e a seguirlo nell’impresa.
Cari!
Adorati!
Allora mi amate?
Mi amate?
Davvero?
Ascoltatemi!
Zia!
Sorelle!
Mamma!
Spegnete l’albero!
Chiudete casa!
Vi porto io…
venite…
Andiamo…
subito…
tutti,
ce ne andiamo.
Non preoccupatevi –
non è affatto lontano
600 e rotti chilometrini .
Ci arriviamo in un baleno.
Lui ci aspetta.
Saliremo dritti sul ponte.
Volodia,
caro,
calmati!
Ma io a loro,
a questo domestico squittio di voci:
E allora?
Barattare l’amore per il tè?
Lo rimpiazzerete con il rammendo delle calze?
*
Majakovskij credeva nella rivoluzione. Purtroppo non riusciva a far tornare i conti; credeva nel cambiamento in questo cambiamento:
Che posso farci
se io
con tutta,
l’intera portata del cuore,
in questa vita,
in questo
mondo
credetti
e credo.
Da Speranza
Dammi un cuore!…
E sangue –
fin nell’ultima vena.
Nel mio cranio ficca idee!
La vita terrena non ho finito di vivere,
sulla terra
non ho amato fino in fondo.
Ero un colosso.
A che mi è servito?
Per queste cose basta un pidocchio.
Nella stanzetta rintanato a far stridere la penna,
a mo’ di occhiale ripiegato nella custodia.
Quel che volete, io lo farò gratis –
pulire,
lavare,
sorvegliare,
spazzare,
darsi da fare.
Se volete posso anche farvi
da portiere.
Ce l’avete il portiere?
Ero un tipo allegro –
Serve forse essere allegri,
se il dolore nostro è impenetrabile?
[…]
La sua vita, tutta tesa all’opera d’arte, al lavoro, alla rivoluzione dei cuori, delle menti, non riusciva più a reggere il ritmo.
“Giaceva sul fianco, il viso rivolto alla parete, accigliato, grande, nascosto fino al mento dal lenzuolo, con la bocca socchiusa, come in sonno. Voltando fiero le spalle a tutti, anche così disteso, anche nel sonno, sembrava slanciarsi caparbiamente chissà dove e allontanarsi. Il suo volto mi riconduceva ai tempi in cui aveva detto di sé “bello, ventiduenne”, perché la morte aveva ossificato la mimica, che raramente le capita di serrare tra i suoi artigli. La sua era un’espressione con cui dà inizio e non si mette fine alla vita. Era imbronciato e indignato” (da Il Salvacondotto, Pasternak)
Majakovskij capì che la vita dell’arte non era più possibile. Il suo suicidio non fu un atto di capitolazione ma un grido, il grido che la rivoluzione era morta.
Isabella Serra
(fine)
*Gli articoli precedenti di questo lavoro su poesia e Rivoluzione russa li leggete qui e qui.