È una delle voci più alte della letteratura europea del Novecento, nata nel 1917 e morta novantenne nel 2007 tenendo un libro in mano, ma, per ragioni misteriose, in Italia è ancora poco conosciuta. Eppure, nella sua lunga carriera la scrittrice ungherese Magda Szabó ha pubblicato una cinquantina di libri tra narrativa, lavori teatrali e saggi. Per Elisa, una sua autobiografia giovanile romanzata, Abigail, a tutti gli effetti un romanzo di formazione, Affresco, un ritratto dell’Ungheria sotto il comunismo e poi i tre splendidi personaggi femminili al centro dei suoi libri più belli: La porta, L’altra Eszter e La ballata di Iza.
Autrice intimista e borghese, ebbe parecchi problemi durante il regime comunista che considerava i suoi libri non in linea con le direttive del realismo socialista. Lei, poco portata ai gesti plateali e clamorosi, preferì rifugiarsi in una città di provincia a fare l’insegnante in una sorta di volontario esilio in patria. Il riconoscimento, anche internazionale, arrivò parecchi anni dopo con quello che, a mio particolarissimo giudizio, resta il suo capolavoro, La porta, pubblicato nel 1987.
È la storia, in buona parte autobiografica, del rapporto tra una scrittrice, Magda intellettuale borghese, e la sua donna delle pulizie, Emerenc, di origini molto umili. La prima è incapace di affrontare i piccoli problemi quotidiani, la seconda è un concentrato di energie, molto pragmatica e diretta ed è il personaggio principale intorno a cui ruota tutto il romanzo. Una donna strana e singolare fin dall’inizio questa domestica: tanto per capirci, è lei a chiedere informazioni sui datori di lavoro e non il contrario: «Io non lavo i panni sporchi al primo che capita».
È lei a stabilire cosa fare e quando farlo e anche la propria paga. In compenso non si risparmia e lavora senza sosta, dimostrandosi sempre molto efficiente.
Emerenc è chiusa, spigolosa, gelosissima della propria vita, delle sue cose, dei suoi affetti e mantiene sempre una distanza di sicurezza tra sé e gli altri. Non è sposata, non ha amicizie, non crede in Dio; è la donna delle negazioni. Nega tutto, tranne la dedizione al lavoro e agli animali. Non permette a nessuno di varcare la porta della sua casa. Una porta, quella che dà anche il titolo al romanzo, dietro cui nasconde il suo mondo e la sua storia, fatti di cose che vengono da molto lontano.
«Emerenc era imprevedibile, irresistibile, con lei non si poteva fraternizzare, fare amicizia, né discutere, era coraggiosa, era dotata di un’intelligenza perfidamente affascinante, ed era di un’insolenza mortificante. […] Emerenc era pura, invulnerabile, lei era ciò che tutti noi, i migliori di noi, avremmo voluto essere».
Quello della domestica Emerenc è un ritratto di grande forza e profondità. Una figura straordinaria che diventa la rappresentazione di una condizione esistenziale, se è vero che ognuno di noi mostra agli altri solo una parte di sé, di solito una maschera che ci mettiamo per affrontare il mondo, mentre ciò che siamo davvero, la parte più nascosta dove teniamo nascosti segreti e verità inconfessabili resta inaccessibile. Nel libro, pagina dopo pagina, fra la padrona e la domestica si instaura una intensa relazione che porterà Emerenc ad aprire quella fatidica porta, ma emblematicamente questo segnerà anche la sua tragica fine.
Al centro di questo splendido romanzo ci sono le infinite sfumature dell’animo umano, il valore della memoria, il mistero della solitudine, il bisogno di conforto che ognuno di noi ha. L’autrice vuole porre in evidenza quanto la memoria possa influire sulle scelte future, quanto l’esperienza vissuta possa condizionare il comportamento di ciascun individuo.
Con La porta Madga Szabó ci ha lasciato una grande lezione, più che mai valida in questo nostro tempo pieno di frastuono. Stare accanto agi altri non vuol dire intrusione, ma attenzione. Le parole contano niente, i giudizi e i consigli non servono. Per lenire i dolori della vita può bastare una presenza anche muta che però sappia ascoltare e che ogni tanto ci sfiori la mano.