25 Agosto 2018

“L’umanitario”: breve ritratto psicologico di una vittima della distorsione dominante

Guardi il tuo televisore da quaranta pollici. Lo stai pagando a rate, ma non importa: prima o poi finirai. Anche il mobile Ikea in cui è incastonato, pur non essendo il non plus ultra della raffinatezza, è comunque decente. Accanto a te giace il tuo luccicante smartphone. Non è un iPhone da mille euro, ma fa a ogni modo il suo dovere. Come te del resto che, non farai miracoli, ma un posticino statale da millecinquecento euro te lo sei pur sempre guadagnato e te lo tieni stretto – anche perché, di questi tempi, non si sa mai.

Sì, insomma, campi, in qualche modo ce la fai. Adesso accendi la televisione. Passano le immagini di una nave sulla quale un folto numero di immigrati è stipato da giorni. La cosa ti commuove. Non c’è da farsene una colpa: chiunque riesca a mettere insieme almeno primo e secondo, ogni giorno, soffre – moderatamente e a debita distanza, ma soffre – al pensiero che qualcun altro non abbia avuto la sua stessa sorte. È anche naturale che tu senta un certo fastidio verso quelle persone apparentemente così inumane da rifiutare di aiutare, soccorrere e rifocillare quei signori di colore che scruti sullo schermo. La stessa sensazione ti pervade quando vedi in televisione lo sgombero di un campo rom. In fondo, tu non hai mai avuto a che fare con loro, non ne conosci neppure uno. Per te, sono quelli che chiedono l’elemosina. Cosa te ne frega che siano accampati alla periferia della città?! Non hanno mai rubato in casa tua, o nel palazzo dove abiti.

Date queste condizioni, non si fatica a credere che tu sia buono, a tratti pure umanitario. Sogni un mondo di pace, dove tutti hanno una casetta, la macchina e lo smartphone. È sacrosanto! Sognare, del resto, non costa niente. Seduto sul divano, un uomo, con un semplice volo della mente, può figurarsi di porre fine alla fame nel mondo, agli incendi dolosi, alla mancanza d’amore, alle malattie sessualmente trasmissibili. Che ci vuole. È come farsi una sega: puoi scopare chi preferisci con l’immaginazione, salvo poi risvegliarti con il cazzo moscio tra le mani.

È naturale che data la tua propensione al fantasticare, il tuo impiego sicuro e via dicendo, ti risultino vagamente indigeribili quei cattivoni che sparsi qua e là ripetono a mezza voce che bisognerebbe pensare prima agli italiani. Ma cosa significa questa formula “prima gli italiani”? Ti guardi intorno. Nel tuo quartiere piccolo borghese, hanno più o meno tutti un’autovettura. La gente va al market a fare la spesa, anche se cerca soprattutto le offerte per risparmiare – ma siamo sempre stati un paese di risparmiatori, o almeno così si dice. È vero che il tuo vicino ha i figli disoccupati, ma tutto sommato anche loro mangiano grazie alla famiglia. Sicuramente ti verrà il dubbio che chi sostiene che la povertà non esiste non abbia tutti i torti. Sotto sotto pensi pure che fosse vero quanto diceva Berlusconi, “i ristoranti sono pieni” – anche se non lo confesserai mai, perché a dirlo è stato “quello schifoso che si faceva le ragazzine. Adesso, ti starai anche chiedendo “ma non sarà che davvero, qui, non c’è voglia di lavorare?”. Hai avuto la tentazione di ripetere questo luogo comune più di una volta.

In fondo, la tua condizione è comprensibile. Ogni persona pensa che il mondo sia quello che lo circonda. Salvo che la realtà non ti si presenti faccia a faccia – ad esempio, metà del tuo palazzo che si ritrova improvvisamente in povertà assoluta –, ma sarà difficile nell’immediato. Non è colpa tua se non vivi in periferia, se non conosci nessuno che si barcamena con i 180 e qualcosa euro che lo stato elargisce come assistenza alle persone indigenti che ne fanno richiesta – quando li elargisce. Anche se l’hai letto – ma non si tratta di una notizia che viene divulgata ai quattro venti –, non ci hai creduto. “Il solito disfattismo all’italiana”, ti sei detto. Sarà anche vero che il tuo stipendio è fermo da dieci anni, ma hai pur sempre uno stipendio. Bisogna che arrivino a toccarti, a intaccare quelle tue minuscole, ma stabili, certezze.

Non temere ipocrita lettore, fratello, mio simile: prima o poi il momento verrà anche per te. Ti anticipo cosa succederà: la fame abbrutisce e ha la tendenza ad annichilire i buoni sentimenti. Noi siamo animali. La capacità di astrazione è una conseguenza della pancia piena, o parzialmente tale. Te lo devo confessare, non ti amerai più quando il tuo stomaco imporrà la sua bieca e tristissima legge, quella che ti porterà a dire “io ho più diritto di tutti gli altri”.

Matteo Fais

Gruppo MAGOG