Luigi Pericle (Basilea, 1916-Ascona, 2001), artista assolutamente non catalogabile rispetto ai canoni, le mode e le correnti artistiche del Novecento, non fu solo un pittore e non fu solo pensatore. Fu un maestro che unì i due mondi in una ricerca sapienziale sulle forme, i colori, la materia, i segni, inserendo il suo lavoro pittorico in un più ampio contesto di indagini e riflessioni sul misticismo, l’astrazione, l’alchimia, la calligrafia e le filosofie orientali. Di lui oggi rimane un corpus di quasi 4000 opere inedite comprendenti quadri, tele e chine, un ricchissimo carteggio con vari intellettuali dell’epoca, taccuini e quaderni di studio, un romanzo inedito e una biblioteca personale in cui accumulò, attraverso i libri, tutte le conoscenze possibili per costruire il proprio mondo, che parlava le lingue della letteratura, delle arti visive, della meccanica, delle religioni e delle “scienze occulte”. Oggi esce un volume a più mani, Luigi Pericle. Il maestro ritrovato (Aragno), che raccoglie contributi di diversi studiosi, critici e storici dell’arte, fra i quali Andrea Biasca-Caroni, presidente dell’Archivio Luigi Pericle, Bianca Cerrina Feroni, Michele Ciacciofera, Angelo Crespi, Marco Pasi. Per gentile concessione dell’editore, pubblichiamo qui l’intervento di Luigi Mascheroni, che si concentra sulla biografia intellettuale del grande artista italo-svizzero.
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Le tre vite di Luigi Pericle
Pittore, scrittore e studioso di origini italiane, nasce per destino astrale a Basilea nel 1916, cresce in età e in sapienza ai piedi del Monte Verità ad Ascona, sulle sponde svizzere del lago Maggiore, e muore nell’agosto 2001 senza lasciare eredi intesi come persone fisiche, ma donandoci un eccezionale patrimonio culturale in opere d’arte e pagine scritte. Luigi Pericle nella sua vita di pittura e di letture non ha mai dato risposte, ma su tela e su carta ha posto continue domande. Le quali, tutte, conducono a una sola: “Cosa cerchiamo?”. La risposta ultima è: “L’illuminazione”.
La prima domanda invece resta: “Chi fu, Luigi Pericle?”. In fondo, un uomo che ebbe tre vite. “Lei è Giovannetti?”, gli chiesero una volta in un’intervista. “Anche”, rispose.
Nella prima vita, Pericle Luigi Giovannetti – che poi sceglierà il nome d’arte di Luigi Pericle – nasce da Pietro Giovannetti (originario di Monterubbiano, nelle Marche) e da Eugenie Rosé (di origini francesi) a Basilea il 22 giugno 1916, quando l’Europa è già precipitata dentro le tempeste d’acciaio della Prima guerra mondiale. Nel ’32 inizia a frequentare la scuola d’arte della città, ma non termina gli studi (mentre si avvicina alle discipline e alle filosofie dell’estremo Oriente). Già nei primi anni Quaranta inizia una fortunata carriera come illustratore, per la quale utilizza la firma “Giovannetti”. In questa vita, nel ’47 sposa la pittrice grigionese Orsolina Klainguti, comincia a lavorare come disegnatore pubblicando storie a fumetti sull’importante rivista satirica inglese “Punch”, e scrive libri illustrati per ragazzi. Nel ’52 la grande svolta della sua prima vita: firmandosi Giovannetti crea il personaggio “Max la marmotta”, protagonista di “Max”, un fumetto non solo per bambini caratterizzato dal fatto di non avere testo ma solo immagini (Luigi Pericle misurava sempre le parole…), che gli regala subito grande notorietà. “Max la marmotta” – il cui successo arriva ai giorni nostri – è conosciuto in Europa, Stati Uniti e Giappone. Intanto, intellettuale d’alta editoria e disegnatore di successo con un sontuoso corredo di mondanità, fama e denaro, pubblica come illustratore con il prestigioso editore Macmillan di New York e con quotidiani e periodici come il “Washington Post” o l’“Herald Tribune”. Cose che bastano e avanzano per una vita normale. Non per Luigi Pericle.
La seconda vita in qualche modo comincia nella prima metà degli anni Cinquanta con il trasferimento, insieme alla moglie Orsolina Klainguti – la bella “Nini” – ad Ascona, nel Canton Ticino. Di fronte ha il principio vitale dell’acqua, il lago; alle spalle le dottrine segrete del Monte Verità, luogo perfetto per dare inizio a una fase di rinnovamento. Qui Pericle sceglie Casa San Tomaso, chiamata così dall’artista in omaggio a Tommaso d’Aquino, il doctor angelicus, teologo per il quale la conoscenza dell’uomo muove sempre dall’universo immanente, sensibile e corporeo, nella direzione dell’universo trascendente, invisibile e incorporeo… La villetta era appartenuta alla pittrice e collezionista Nell Walden, ex moglie di Herwarth Walden, scrittore, artista e fondatore della rivista “Der Sturm”, portavoce delle tendenze espressioniste europee e promotrice dei movimenti d’avanguardia. Non si tratta solo di un cambio di domicilio, ma di una trasformazione dell’esistenza.
Nella seconda vita, Luigi Pericle da illustratore diventa artista. Riconosciuto. Fino a tutti gli anni Cinquanta è un figurativo, poi – l’anno della svolta pittorica è il 1959 – vira verso un astrattismo informale, rigoroso, assoluto, dove icone ancestrali si compongono e ricompongono sulla tela con stesure opache, ma al tempo stesso cristalline, frutto di un’inedita ricerca sulle tecniche e sul colore. All’età di 42 anni distrugge tutte le opere figurative del periodo precedente in suo possesso (tranne un unico esemplare) e si dà all’arte “per la vanità”. Sono gli anni folgoranti dell’incontro con il collezionista di Basilea Peter G. Staechelin, delle gallerie di grido, dei grandi collezionisti che lo cercano, delle mostre in cui espone accanto a Karel Appel, Antoni Tàpies, Jean Dubuffet e Pablo Picasso… Nel ’62 conosce Peter Warren Cochrane direttore della Arthur Tooth & Sons di Londra e Martin Summers gallerista e curatore di quella galleria, dove Pericle tiene quattro mostre: due personali, nel ’62 e nel ’65, e due collettive, entrambe nel ’64. In quello stesso anno sir Herbert Edward Read – critico d’arte, cofondatore dell’Institute of Contemporary Art di Londra e consulente artistico di Peggy Guggenheim – su suggerimento di Hans Hess, museologo e curatore alla York Art Gallery, visita l’atelier di Pericle ad Ascona e rimane colpito dal suo lavoro. Nel ’65 Hess, con il sostegno dell’Arts Council di cui Read è commissario, organizza una personale itinerante di Luigi Pericle in vari musei britannici: da marzo e settembre, 55 opere saranno esposte da York a Newcastle, da Kingston-upon-Hull a Bristol, da Cardiff a Leicester. Gli anni dal ’58 al ’63 sono definiti dallo stesso Pericle gli anni del “cambiamento radicale”: un periodo di inarrestabile energia creativa ed entusiasmo, durante il quale – fino al ’65 – realizza le sue più importanti esposizioni.
Poi, una decisione tranchant. È l’inizio della terza vita, quella che avvicina all’Illuminazione, che cerca la Bellezza: estetica e etica. Perfezione e Sapienza. A partire dalla metà degli anni Sessanta, in maniera tanto improvvisa quanto definitiva, Luigi Pericle chiude con la vita mondana. Vende la sua amatissima Ferrari (ne ebbe due: una era stata di Rossellini e Ingrid Bergman, l’altra quella con cui Mike Parkes partecipò alla leggendaria 24 Ore di Le Mans nel 1966…), addio alle mostre, ai vernissage, alla ricerca della fama e dei successi. Si spengono le luci della ribalta. Dopo le grandi esposizioni e i riconoscimenti internazionali, Pericle sceglie di fuggire dalla gabbia dorata del sistema dell’arte e chiudersi nel silenzio della sua casa, in un ritiro quasi conventuale. Lo scopo? Due. Da una parte dedicarsi allo studio sempre più totalizzante di dottrine come la teosofia, la cabala e le spiritualità alternative, dall’altra concentrarsi sulla produzione artistica, in un’inesausta ricerca sul segno come forma di meditazione e indagine trascendente. Sono gli anni dell’“arte per l’arte”, dell’isolamento (che dopo la morte di “Nini”, nel 1997, diventa eremitaggio) e nell’adesione totale alle sue inclinazioni: astrologia, ufologia, esoterismo, discipline orientali…
Luigi Pericle cambia vita e via. Lavora e studia, studia e lavora. Alla fine, ritiratosi completamente dal mondo, dal 1981 non dipingerà neanche più. Le linee e le forme ormai si sono sciolte nella meditazione: un raccoglimento in sé stesso per riflettere non sulla verità di una fede, ma sulle Verità, tutte. Abbandonata la china, le tele e i pennelli, non resta che il puro segno: la scrittura. Ed ecco – prima del definitivo silenzio, la morte del 2001 – il possente romanzo visionario scritto in tedesco, ultimato verso la metà degli anni Novanta e rimasto a tutt’oggi inedito, Bis ans Ende der Zeiten (Fino alla fine dei tempi). Si tratta in qualche modo della summa enciclopedica delle idee e degli studi compiuti da Pericle nel corso della vita, declinati in un racconto di finzione dai significati esoterici, ambientato in un futuro post-apocalittico in cui gli uomini si sono rifugiati sotto terra – ecco gli echi della teoria della Terra cava, di René Guénon, di Agarthi e il Re del mondo… Il protagonista compie un viaggio spazio-temporale che lo porta in contatto con esseri extraterrestri provenienti dall’antico Egitto i quali gli predicono l’inizio di una nuova civiltà e la purificazione dell’umanità. L’orizzonte di Pericle non è l’Apocalisse ma la Liberazione.
E proprio in quel piccolo universo di Luigi Pericle che è la Casa San Tomaso, due raffinati e lungimiranti mecenati di Ascona, Andrea e Greta Biasca-Caroni, acquistata la villetta rimasta chiusa e dimenticata per quindici anni dopo la morte dell’artista, nel 2016 trovano un vero tesoro. Migliaia tra dipinti su tela e masonite, chine e disegni; una biblioteca di 1500 volumi che spaziano dall’astrologia alla teosofia, dalla letteratura all’egittologia; decine e decine di taccuini, quattordicimila documenti con annotazioni, schizzi e glossari, di cui 1500 tavole di oroscopi autografi (Pericle, grande appassionato della materia, li realizzava per prevedere l’esito dei suoi incontri con le persone o per indagare le vite di personaggi illustri del passato – fece anche quelli di Leonardo da Vinci e di Gesù); oltre 800 lettere scambiate con artisti, scrittori, registi, maestri spirituali, storici e critici d’arte, da Hans Hesse all’editore newyorkese Macmillan e, scoperta nella scoperta, la copia dattiloscritta (in 541 pagine) del suo romanzo che ancora aspetta un editore. Così tanto materiale da farci un archivio – quello fondato tre anni fa ad Ascona da Andrea e Greta Biasca-Caroni: l’associazione no profit “Archivio Luigi Pericle”. È il grande lascito di un periodo ascetico, caratterizzato da un rigoroso isolamento volontario, ma allo stesso tempo da una ricchissima produttività artistica, letteraria e filosofica. Pericle in questi anni accumula opere su opere e scrive oroscopi, testi di ufologia, riempie interi quaderni di ideogrammi giapponesi, simboli arcani, ricette omeopatiche con illustrazioni di sua mano del corpo umano, piante di chiese realizzate da lui stesso, appunti e citazioni tratte dalle opere di Paracelso, Rudolf Steiner, Goethe, Friedrich Hölderlin, Friedrich von Schlegel, e poi Georg Friedrich Händel, Thomas Mann, Samuel Taylor Coleridge, e ancora James Joyce, Marcel Proust, Ezra Pound, J.R.R. Tolkien e persino… Ridley Scott.
La lunga ricerca della perfezione sulla tela è solo l’altra faccia (o il preludio?) della continua esplorazione lungo i labirinti del sapere, dalla mistica cristiana alla fisica quantistica. Prima del gesto e della mano dell’artista c’è sempre la speculazione del pensatore e la meditazione del maestro.
Un nome che cambia di volta in volta, due personalità in un unico talento – l’illustratore e l’artista – tre vite, un’epopea intellettuale. Uomo poliedrico e dai mille interessi, Luigi Pericle, il quale fu prima uomo di mondo e poi esploratore di altre dimensioni, sfugge alle classificazioni, alle correnti, alle mode. Un artista-intellettuale senza gabbie mentali, personalità dal carattere riservatissimo ma dall’indubbio carisma. È un universo a sé, un mondo “altro”, un pianeta ancora da esplorare, che riserva soprese e rivelazioni ogni volta che lo si affronta. Ecco perché per affrontare il “mistero Pericle” è necessario addentrarsi nel suo cosmo esoterico, fantastico e magico. Benvenuti nella biblioteca di Luigi Pericle, oggi conservata all’interno dell’Archivio di Ascona, essenziale per tentare di tracciare una biografia intellettuale dell’artista-scrittore. Qui c’è tutto ciò che Pericle cercava, studiava, indagava e metteva su tela e su carta.
Luigi Pericle – curioso e appassionato ma non accademico né bibliofilo: i libri della sua biblioteca sono tutti in edizioni popolari ma in molte lingue – aveva familiarità con il latino e il greco, parlava e leggeva in italiano, tedesco, inglese e francese, e a un certo punto cominciò a studiare cinese, giapponese, ebraico e persino l’arabo (i suoi diari contengono molti appunti sullo studio delle lingue antiche e di quelle orientali).
Gli scaffali della biblioteca di Luigi Pericle – intellettuale anticonformista, dissidente, eccentrico, sfuggente – sono il filo d’Arianna per risalire alle inclinazioni culturali di un artista e pensatore che amava labirinti, totem, templi e portali. La biblioteca è come uno stargate per accedere al suo mondo.
E il suo mondo – i suoi mondi – cominciano con l’alba dell’Uomo. Tra i libri di Pericle spiccano innanzitutto moltissimi cataloghi e saggi sull’antico Egitto, il canone greco, la filosofia classica e orientale, l’antica Cina, il Giappone, l’India… Il campo dei suoi interessi non conosce confini geografici né temporali. A proposito di tempo e di spazio, Luigi Pericle – grande appassionato di orologi – li calcola secondo parametri “altri”. Un volume che consultò di sicuro è Hyperspace: A Scientific Odyssey through Parallel Universes, Time Warps, and the 10th Dimension (1994) di Michio Kaku, fisico teorico del City College di New York, uno studio eretico sulle dimensioni superiori denominate iperspazio. Così come leggeva le pubblicazioni di David Hatcher Childress, autore del saggio sull’antigravità con i piani di costruzione di aeromobili aliene – Antigravity and the Unified Field (1990) – e proprietario di Adventures Unlimited Press, una casa editrice fondata nel 1984 specializzata in libri su argomenti insoliti: misteri antichi, fenomeni inspiegabili, storia alternativa, la teoria del paleocontatto che ipotizza un contatto tra civiltà extraterrestri e antiche civiltà umane. L’interesse di Pericle è per tutto ciò che resta dietro e oltre la Storia. Ecco perché leggeva studi eterodossi come quelli di Kurt Mendelssohn (Das Rätsel der Pyramiden, 1979), di Andreas von Rétyi (Das Alien-Imperium: UFO-Geheimnisse der USA, 1995), di Peter Lemesurier (Geheimcode Cheops. Ein Wunder wird enträtselt, 1982) o di Hans Rudolf Stahel (Atlantis Illustrated. An Extraordinary Graphic View of the Complex and Remarkable Metropolis of Lost Atlantis, 1982, con prefazione di Isaac Asimov, in cui l’autore, un architetto, prova a ricostruire Atlantide sulla base delle esatte parole di Platone).
L’antica Atlantide, il monte Athos, i “paesi” meravigliosi dei libri di Alice di Lewis Carroll, i continenti perduti, i mondi fantastici di Tolkien, quelli narrati dalle saghe nordiche, i labirinti di Jorge Luis Borges (ai quali si accede attraverso l’Aleph)… A giudicare dai libri conservati nella biblioteca, non c’è luogo misterioso che non attirasse la curiosità di Luigi Pericle, il quale – è un caso? – scelse di vivere in una casa ai piedi del Monte Verità. In quella stessa collina dell’Utopia, nei primissimi anni del Novecento si era insediata una pacifica comunità di personalità alternative che aspirava al naturismo, al vegetarianesimo, al protofemminismo e che, fra istanze teosofiche e la ricerca della conoscenza, richiamò la più bella “controcultura” europea del tempo. Nudisti, anarchici, teosofi, digiunatori, apostoli del pacifismo, tutti profeti di una nuova umanità e avanguardia di una cultura “altra” che già allora, in pieno trionfo dell’industrialismo, avvertiva tutti i pericoli della nascente civiltà della tecnica. “Uomini nuovi” che avevano il culto della vita primitiva, praticavano la parità dei sessi, professavano una religione neopagana. Danze vibranti, occultismo, elioterapia, crudismo e pensieri utopici. Da qui, calamitati – così si dice – anche da sconosciute energie del sottosuolo, passarono Carl Gustav Jung, Károly Kerényi, Hermann Hesse, Hugo Ball e Hans Arp, Marianne von Werefkin, Alexej von Jawlensky… Un luogo totemico e misterioso. “Cerca la verità”, “Spogliati”, “Vivi in anarchia”, “Diventa chi sei”.
Ecco. Monte Verità – un territorio fisico e un’idea ideale, un’aspirazione, un inceppamento vitale della storia umana – rappresenta esattamente tutto ciò che affascinava Luigi Pericle, un uomo che studiava di tutto, con una tensione che non era religiosa ma spirituale. Teosofia soprattutto, e in particolare le correnti post-teosofiche, cioè Alice Bailey e Rudolf Steiner. E poi le discipline orientali, lo zen (soprattutto gli scritti di Karlfried Graf Dürckheim, 1896-1988), il tao (Il segreto del fiore d’oro curato da Carl Gustav Jung e Richard Wilhelm), il rapporto tra fisica moderna e spiritualità (Fritjof Capra), Erwin Schrödinger e il Golem, l’islam e i mistici cristiani (da san Giovanni della Croce a padre Pio, che Pericle potrebbe aver incontrato nel 1964), il tantrismo, la medicina orientale, l’agopuntura, il vegetarianesimo (ma Pericle alla fine della sua vita era persino andato oltre il veganesimo: si cibava soltanto di un pugno di riso), l’omeopatia e l’astrologia, in particolare quella della scuola di Amburgo di Alfred Witte (1878-1941).
Ancora. Stilando l’elenco dei libri della biblioteca giunti fino a noi, sappiamo che i suoi interessi spaziavano dalla cosmologia (due testi fra tanti, che di certo approfondì: Eduard Penkala, Wunder des Weltalls: ein Bildatlas des Kosmos, 1961; e Wilhelm Kaiser, Grundlagen zu einer mathematischen Kosmologie, 1966) alla simbologia dei giardini (Le livre secret des jardins japonais. Version intégrale d’un manuscrit inédit de la fin du xiie siècle, 1973), dai graffiti preistorici alla calligrafia orientale, cinese soprattutto (che lui studia e replica, affascinato dall’abilità grafica e dall’eleganza del gesto richiesti da ogni carattere), dalla ciclomanzia (la facoltà di esercitare il proprio influsso psichico sul mondo circostante, producendo fenomeni quali la telepatia o la telecinesi) all’alchimia, fino alla mitologia e alla simbologia in tutte le sue declinazioni: due manuali che conosceva bene sono Die Geheimsymbole der Alchymie, Arzneikunde und Astrologie des Mittelalters di Gustav W. Gessmann (1959) e Mythologisches Lexikon: Gestalten der Griechischen, Römischen und Nordischen Mythologie di Hermann Jens (1960). Geometria sacra, spirale mistica, sufismo, tarocchi, mito del Graal, numerologia (tre suoi diari contengono appunti sulla corrispondenza fra numeri, personaggi illustri ed eventi storici): non c’è area del pensiero esoterico che Pericle non abbia frequentato. Artista al di fuori di ogni scuola, adorava gli intellettuali non allineati. Leggeva Dane Rudhyar, all’anagrafe Daniel Chennevière (1895-1985), veggente, pittore e compositore francese, pioniere della moderna astrologia transpersonale; Wilhelm Reich (1897-1957), medico, psichiatra e psicoanalista allievo di Sigmund Freud, noto per le ricerche sul ruolo sociale della sessualità e per la teoria sulla cosiddetta “energia orgonica”; Alfons Rosenberg (1902-1985), esperto di simbolismo, con il quale Pericle ebbe scambi epistolari (“Lei ha dipinto ciò che non è possibile descrivere con le parole”, gli scrisse lo studioso tedesco); Paul Brunton (al secolo Raphael Hurst, 1898-1981), visionario, mistico e filosofo, uno dei primi grandi divulgatori dello spiritualismo indù in Occidentale, in particolare attraverso il suo bestseller A Search in Secret India (1934). E persino Nikola Tesla (1856-1943), inventore, fisico e ingegnere che contribuì allo sviluppo di diversi settori delle scienze applicate in particolare nel campo dell’elettromagnetismo, nonché autore di numerosi studi su argomenti invisi alla scienza ufficiale.
E poi, i grandi maestri che lo hanno condotto sulle vie dell’Oriente. Prima di tutto Sri Aurobindo (1872-1950), poeta, filosofo e mistico indiano, considerato dai suoi discepoli un’incarnazione dell’Assoluto, di cui Pericle possiede l’opera omnia (nell’Archivio Pericle spicca una corrispondenza tra l’artista e la comunità spirituale indiana “Sri Aurobindo Ashram”, principalmente nella persona di P.B. Saint-Hilaire). Bernard Enginger, più noto come Satprem (1923-2007), scrittore francese, l’esponente più importante dello yoga di Sri Aurobindo insieme con Mirra Alfassa (1878-1973), nota con il nome di “Mère” (Madre). E anche il famoso e discusso predicatore indiano Sathya Sai Baba (1926-2011).
Per dipingere occorre conoscere il colore, le forme, i materiali. Per scrivere serve saper maneggiare parole, lingua e storie. Per vivere è necessario bussare a tutte le porte del sapere. Ecco ciò che fece Luigi Pericle, artista spiazzante e intellettuale dai mille riferimenti culturali, il quale con la sua pittura, come un pennello che alla fine dipinge da sé, ha colto l’armonia astrale delle linee e del colore e, con lo studio, alimentando un pensiero che non conosceva steccati, ha intuito l’essenza profonda delle cose. “L’arte – lasciò scritto – rispecchia la disposizione spirituale dell’essere umano”. La sua ne ha tracciato infinite vie.