Cominciate a leggere Il maestro di Vigevano e dopo le prime pagine vedrete baluginare tra le righe un’immagine prima sfocata poi, a mano a mano che vi inoltrate nel romanzo, sempre più nitida, fino a quando riconoscerete con chiarezza L’urlo, il famoso quadro di Edvard Munch. Una volta arrivati alla fine non ci saranno più dubbi: il romanzo di Lucio Mastronardi è la versione scritta di quel dipinto. Il male di vivere del maestro Mombelli è lo stesso dolore esistenziale che ha portato l’uomo di Munch a urlare al mondo tutta la sua disperazione.
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Quando nel 1962 il romanzo uscì più di un vigevanese si adontò per l’impietoso quadro che l’autore aveva tracciato della gente locale, intenta solo a fabbricare scarpe tra fabbriche e fabbrichette, con l’unico scopo di fare più soldi possibile. E ancora peggio la presero quelli del mondo della scuola, i colleghi e i superiori di Mastronardi, che se la legarono al dito per sempre.
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La trama del libro è nota, anche grazie al film di Elio Petri con Alberto Sordi. Verso la fine degli anni Cinquanta il protagonista, un modesto insegnante elementare umiliato e malpagato, si arrende alle insistenze della moglie che gli rinfaccia quotidianamente le ristrettezze in cui vivono e, sebbene a malincuore, lascia la scuola e si mette a fabbricare scarpe. Ma l’avventura in un mondo a lui estraneo finisce male per cui al nostro eroe non resta che andare a supplicare il direttore didattico per ritornare all’insegnamento.
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Mastronardi era uno scrittore tutto umori e guizzi, così il romanzo è pieno di trovate e invenzioni e i vari personaggi vengono fuori con i loro tic, limiti e miserie. Valga per tutti la figura del direttore della scuola dipinto come un insopportabile burocrate compiaciuto del proprio potere, che si diverte a umiliare i sottoposti con futili disquisizioni lessicali; uno di quei tromboni che ognuno di noi ha avuto l’occasione di incrociare nella vita.
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Con la satira della provincia italiana negli anni della corsa al benessere, Mastronardi paventava già allora un rischio più grande che oggi noi vediamo diventato realtà; la tendenza a perseguire il futile, il voluttuario, anziché l’essenziale e la nascita di un inconciliabile strappo tra la smania di avere e la dignità dell’essere. Ma c’è di più.
La figura dell’umile maestro di scuola che pretende di vivere in rigorosa ma onesta povertà, impegnato in un’azione di folle resistenza contro un ambiente che finisce per stritolarlo, diventa il simbolo di una condizione umana, ed è così che si trasfigura nel piccolo uomo di Munch, solo e disperato, a cui non resta che lanciare un urlo straziante.
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Lucio Mastronardi quello strazio lo visse anche personalmente perché era un uomo sensibile, per usare un eufemismo, spigoloso, per usare un eufemismo, dalla personalità complessa, per usare un eufemismo, per molti versi simile a Luciano Bianciardi, un altro scrittore contro tutto e contro tutti. Con un’infanzia tribolata alle spalle, Mastronardi, figlio di una maestra, fu maestro egli stesso anche se non amava insegnare, in perenne conflitto con il mondo della scuola. Il successo del romanzo e del susseguente film gli costò caro; i suoi colleghi di Vigevano, offesi per come li aveva descritti, riuscirono a farlo esiliare in una scuola di Abbiategrasso dove finì a lavorare in segreteria. Fragile di nervi e vulnerabile, Mastronardi non aveva l’animo per reggere il difficile rapporto con la piccola Vigevano. In un racconto si era divertito a dividere l’umanità vigevanese in cinque categorie – matti, cornuti, pederasti, furbi e “ciula” – riservando a se stesso la prima. Subito preso in parola dai suoi concittadini, che quando lo vedevano attraversare la splendida piazza Ducale, salotto e palcoscenico della città, lo additavano come il matto. Figuriamoci poi quando si sparse la notizia che la polizia lo aveva fermato alla Stazione Centrale di Milano mentre distribuiva biglietti da diecimila lire ai passanti ed era stato ricoverato al manicomio di Mombello per tre mesi. Proprio lì aveva iniziato a scrivere Il maestro di Vigevano. Dice niente il fatto che il maestro che dà il titolo al romanzo si chiami Mombelli?
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In una grigia giornata di primavera del 1979 Mastronardi fu visto incamminarsi, chino sotto la pioggia, verso il ponte sul Ticino; una scena che richiama molto da vicino quella del quadro di Munch con quella strana luce e quell’uomo solo sopra un ponte. Lo troveranno due giorni dopo, impigliato in un’ansa del fiume, annegato. Non aveva ancora 49 anni e nessuno sa se all’ultimo momento anche lui abbia lanciato un urlo.
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p.s. Provate a digitare la parola ‘Mastronardi’ su Google e troverete pagine e pagine su tale Alessandra Mastronardi, attrice, a me peraltro sconosciuta ma non faccio testo. Il povero Lucio Mastronardi disperso. E pensare che aveva capito un sacco di cose in anticipo. Non merita di essere trattato a questo modo.
Silvano Calzini
*In copertina: Nel 1963 Elio Petri dirige un film tratto da “Il maestro di Vigevano”, protagonista Alberto Sordi