09 Agosto 2018

“Lolita” è uno scandalo… Negli Usa a dittatura #MeToo si riapre lo scontro (con tanto di studi): Nabokov al rogo!

Non conosco la capacità retorica del male. Non so se sedurre sia una parola appropriata, come se il bene fosse, costantemente, privazione e povertà. Di certo: lo scrittore è spietato e leggere è avventurarsi dentro un mattatoio.

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Non sono i libri a essere ‘maledetti’, è il lettore, eventualmente, a essere un cretino – lo scrittore, sempre, che sia Dante o che sia Orfeo, ha il compito (non l’ardire) di frequentare gli inferi, pronto a tutte le lacrime, inadatto al dolore.

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Sul punto Vladimir Nabokov è stato chiaro. “Per me un’opera di narrativa esiste solo se mi procura quella che chiamerò francamente voluttà estetica, cioè il senso di essere in contatto, in qualche modo, in qualche luogo, con altri stati dell’essere dove l’arte (curiosità, tenerezza, bontà, estasi) è la norma. Non ce ne sono molti, di libri così. Gli altri sono pattume d’attualità o ciò che alcuni chiamano la Letteratura delle Idee, la quale consta molto spesso di scempiaggini di circostanza”. Nabokov ha sempre ragione e in questo modo, voluttuosamente, se ne frega. Lo scrittore deve pensare alla forma non alla norma morale. Se scrivo di uno sfrenato omicidio, ciò non significa che un omicida latente si agiti in me. O meglio. Uno scrittore, in potenza, può essere tutto, boia o monaco, ma essendo nulla scrive di tutto.

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La giustificazione pubblica di Nabokov è scritta in calce a Lolita. Lolita non si porta dietro nessuna morale”, scrive il grande ‘Vlad’. Eppure, l’estetica si porta con sé l’etica. Abbiamo vinto tutti i tabù: accetteremmo, dopo degno e inutile dibattito, un romanzo francamente antisemita o antislamico. Sappiamo – anche se qualcuno tenta di scalfire questa certezza – che il carisma dell’Occidente è la libertà. Libertà di esporsi – e di rispondere delle conseguenze che questa esposizione comporta. Ma… come la mettiamo con la pedofilia?

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Capitolo 33, parte seconda di Lolita. “Avevo forse fatto a Dolly quello che Frank La Salle, un meccanico cinquantenne, aveva fatto a Sally Horner, undici anni, nel 1948?”. Sally Horner è al centro di un caso di allucinante tragicità. In un negozio di Camden, New Jersey, la bimba di undici anni, istigata da un compagno, ruba un quaderno. La becca il meccanico cinquantenne, che approfitta della leccornia offertagli dal caso: dice alla bambina di essere un agente dell’Fbi, costringendola a vagabondare con lui – e ad assecondare le sue voglie – per gli States. Florence Sally Horner viene sequestrata nel 1948, sta con il mostro per 21 mesi, lui afferma di essere suo padre, lei riesce ad avvisare furtivamente la sorella, il maniaco viene arrestato il 22 marzo del 1950. Connessioni dirette tra il caso di cronaca e Lolita, a dire di Nabokov, non ci sono (“il primo piccolo palpito di Lolita mi percorse alla fine del 1939 o all’inizio del 1940, a Parigi, in un periodo in cui ero costretto a letto da un violento attacco di nevralgia intercostale”): è Nabokov, allora, a incorporare la cronaca nel corpo languido del testo. La piccola Sally, per altro, non riuscì a ‘rifarsi una vita’, se non nell’altro mondo: morì nel 1952, in un incidente d’auto, a 15 anni.

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Nabokov ci seduce con rapine e nodi retorici: è uno scrittore insuperabile. La sua scrittura cela l’osceno. Ma l’osceno – che è il cuore della scrittura, il mostruoso che deve essere amato e vinto, il Minotauro al centro del labirinto verbale – c’è. Da subito. “…e grazie alla sua biancheria pro forma sembrava che nulla potesse impedire al mio pollice muscoloso di raggiungere il caldo alveo del suo inguine – proprio come si può carezzare e solleticare un bimbo che ride… e per poco la mia bocca gemente non raggiunse quel collo nudo, signori della giuria, mentre spremevo contro la sua natica sinistra l’ultimo spasimo dell’estasi più lunga che uomo o mostro avessero mai sperimentato”.

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La scrittura non rende lecito l’illecito, non si domanda sul lecito, mostra il mostruoso, appunto.

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NabokovSarah Weinman, agguerrita saggista, sta per pubblicare un saggio, The Real Lolita. The Kidnapping of Sally Horner and the Novel That Scandalized the World (HarperCollins, pp.320, $27.99), di cui, secondo la moda americana, già si discute animando la lascivia estiva. Il libro è l’esito di studi approfonditi della Weinman (qui un articolo a sua firma, su Hazlitt, del 20 novembre 2014) tesi a dimostrare che il ‘caso Sally Horner’, di cui ricorrono quest’anno i settant’anni è la vera, fondamentale fonte di Lolita, checché ne dica Nabokov. Questo, in verità, poco c’importa: lo scrittore è un mentitore incallito – scrivere è una confessione tragicamente falsa – e la differenza estetica tra un articolo di cronaca e una qualsiasi pagina di ‘Vlad’ è sufficiente per convincerci che a Nabokov perdoneremmo ogni menzogna. D’altronde, anche Delitto e castigo è un vile fatto di cronaca nera mutato da Dostoevskij nella più grande indagine mai scritta sul senso di colpa.

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Ciò a cui mira l’amazzone Weinman, in verità, è screditare Lolita come il libro più scandaloso della storia della letteratura. “L’abuso che Sally Horner e altre ragazze come lei hanno sopportato non dovrebbe essere riassunto in una prosa piena di fascino, non importa quanto brillante”. Eccolo, il punto. Lo scrittore è meschino e bastardo, è il messaggero del demonio, al bando Lolita.

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Io ho una figlia di anni dieci. Chi la tocca si piglia un pugno in faccia; chi la violenta è degno di morte. Pochi giorni fa mia figlia mi ha chiesto di comprare un paio di occhiali da sole. Uguali a quelli di Lolita, nel film di Kubrick. Sono stato rapito da un certo turbamento, mascherato da un, ‘provane un altro paio, per favore’. Eppure a uno scrittore continuo a chiedere di vedere dove non voglio, di scavare nel turbine della rogna, di circoscrivere l’enigma di fiamme. E non basta neppure questo. Oltre alla forza di vedere ci vuole la capacità di trovare una forma. Impeccabile. Indimenticabile. Per marmorizzare il mostro in un oggetto che posso sbriciolare.

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Nel prossimo libro – che è sempre il più avventato, il più avveniristico, il più difficile – parlerò dell’ossessione di Vladimir Nabokov per il Minotauro – per ‘Vlad’, d’altronde, un libro è un labirinto, che non ha uscita ma un centro sinfonico. Per salvarsi occorre scavalcare.

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In un articolo pubblicato da The Atlantic (titolo: How “Lolita” Seduces Us All), Caitlin Flanagan mette ordine nel dibattito, difendendo Lolita dall’orda delle studiose stordite dal #MeToo. “Puoi scagliarti contro Lolita per tutta la vita. Ma questo non ti porterà da nessuna parte. Lolita non ci chiede: Sei una femminista, sei una crociata, una paladina della morale, una che difende le ragazzine? Lolita ci chiede soltanto una cosa: Sei un lettore?”. Caitlin non si nega e non ci nega nulla: le pagine più pervasive di Nabokov (“La bruttezza è nascosta, ci diciamo, coperta dal linguaggio squisito di Nabokov. Ma poi, dopo un po’ di tempo, riprendiamo il libro e comprendiamo la truffa in cui siamo precipitati. Ecco Humbert Humbert che si dice e ci dice cosa ha fatto: ‘Era una bimba solitaria, un asino assoluto, con il quale un adulto dall’alito pesante e puzzolente aveva avuto rapporti intensi tre volte quella stessa mattina’”), o “la nota che l’agente europeo ha inviato a Nabokov dopo il responso di alcuni editori: ‘Trovo il libro ammirevole non soltanto sul piano letterario, ma perché potrebbe portare a un cambiamento nell’attitudine sociale rispetto al tipo di amore descritto in Lolita’”. Ecco il caso di un cattivo lettore.

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Se seguiamo il criterio dell’utile – che varia a seconda dei regimi vigenti – in mano ci resta, forse, La capanna dello zio Tom (pure Mark Twain è offensivo verso gli uomini ‘di colore’) e il Vangelo, purché ripulito dai passi più problematici e dai paradossi che possono irritare i fedeli di altre religioni. Se leggo Don Chisciotte mi vien voglia di mollare tutto per una fola, se leggo Riccardo III non penso che sia giusto uccidere per soddisfare i propri fini e le proprie ambizioni. Lolita è una sintesi di repulsione e di estasi. La repulsione è il motivo per cui resiste… come romanzo in grado di scuotere ancora i lettori. Lolita rimarrà sempre affascinante e sconvolgente, come un opale di fuoco che si dissolve in una pozza increspata”, conclude, liricamente, la Flanagan, applausi. La letteratura è un rischio – il rischio più grande è credere nell’intelligenza dei lettori. (d.b.)

 

 

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