Di scrittura non si campa, è evidente. Salvo rare eccezioni, quasi tutti i romanzieri fanno altri mestieri: alcuni si mantengono con il giornalismo o l’insegnamento, altri lavorano nelle case editrici, i più sono costretti ad accettare occupazioni che rubano tempo alla scrittura, sperando, nel frattempo, di avere quel successo arriso, cito a caso, a Primo Levi, che lavorava in una ditta di vernici; Elio Vittorini, un ragioniere contabile; Pier Paolo Pasolini, insegnante alle medie; Leonardo Sciascia, impiegato del Consorzio Agrario di Racalmuto. Dei poeti, poi, non ne parliamo. Verseggiare è sempre stato poco più che un hobby. Se qualche fortunato poteva contare su un ricco patrimonio di famiglia, penso a Leopardi, per altro sfigatissimo in tutto il resto, la maggior parte di loro si adattava: Giosuè Carducci era un insegnante; Umberto Saba, il proprietario di una libreria antiquaria; Giuseppe Ungaretti, un impiegato d’ambasciata; Salvatore Quasimodo, un geometra del Genio Civile; Mario Luzi lavorava alla Sovrintendenza bibliografica di Roma. È proprio vero: Carmina non dant panem, come diceva quel tizio di nome Carmine che aveva smesso di fare il panettiere per inseguire il sogno della scrittura (ce l’avrebbe fatta, secoli dopo, il suo collega Fabio Bonetti in arte Volo).
Mi capita spesso di pensare a come fare un po’ di quattrini, e ieri sera, mentre rivedevo American Gigolò, ho avuto l’illuminazione che potrebbe risolvere definitivamente la mia vita. Mi sono chiesto: “Ci sono donne che leggono un romanzo e s’innamorano dello scrittore?”. Io penso di sì. Ho conosciuto lettrici che sognavano di fare l’amore con Francesco Piccolo, Roberto Saviano, Niccolò Ammaniti, Nicola Lagioia. Non proprio degli Adoni. Ma se questi scrittori popolano i sogni erotici di qualche produttrice di gameti femminili con la passione della lingua (e letteratura italiana), allora converrete che non è obbligatorio somigliare al giovane Richard Gere per imitarne le gesta: basta avere pubblicato almeno un romanzo e darsi un tono da intellettuale del cazzo (il cazzo è necessario ed è superfluo che vi spieghi i vantaggi di possederne uno di buona funzionalità). Se ci sono donne disposte a pagare molto per un accompagnatore tutto muscoli o avvenenza fisica, ce ne saranno di sicuro per uno scrittore come me, che purtroppo sono colto, educato e affidabile (tutte virtù che fanno arrugginire la gabbia der pipino), ma posseggo una qualità che mi rende quasi unico: ho scritto un romanzo sul cunnilingus. E tale biglietto da visita è più efficace di tutti i titoli possibili e impossibili in fatto di sesso, di tutte le misure, le leggende, il gigantesco salsicciotto di Rocco e i 30 centimetri di dimensione artistica che sono appartenuti a John Holmes. Oltre che, naturalmente, di tutte le minchiette da premio sega!
Quindi credetemi, so cosa fare e come. Per la modica cifra di 20.000 euro più le spese e l’acquisto obbligatorio di una copia del mio libro, posso soddisfare per una settimana la fantasia di ogni lettrice, anche di quelle che non mi hanno mai letto e sventuratamente sono attratte dalle storie di borghesi impotenti con le donne e parossisticamente onanisti.
Nessuna sarà rifiutata: romantiche sessantenni che ricordano il bel tempo antico in cui sbavavano per Andrea De Carlo, studentesse antagoniste che hanno preso una cotta per Erri De Luca, lettrici di Fabio Volo con il mito del panettiere dal lungo filoncino, affascinanti lesbiche del culto santacrociano in cerca di una nuova identità sessuale.
Ho infine deciso che i miei affettuosi, cortesi e deferentissimi servigi saranno pagabili in contanti, assegno, bonifico bancario o carta di credito. Ma sempre in anticipo. Come disse la mia maestra di pensiero (anzi: maîtresse), l’Ubalda tutta nuda e tutta calda: “Prima pagare moneta, poi vedere cammello”.
Francesco Consiglio