Una frase di Lionel Johnson ha il nitore di uno stemma. “La vita sia un rituale”. Era affascinato dal rito, cioè dalla forma scevra da formalismi, dalla purezza liturgica. Legato, per precetto giovanile, ai toni di Walter Pater, Lionel Johnson, nato nel Kent il 15 marzo del 1867, terzogenito di un militare di lunga carriera, di ascendenze nobili, frequentò Oxford: era basso, bello, fragile – certo di diventare il poeta più importante del proprio tempo. La sfacciataggine era compensata dal desiderio di consumarsi, dall’estro ascetico, l’imperio della rinuncia (analogo a quello del disprezzo): a Londra, dal 1890, visse al 20 di Fitzroy Street, in una sorta di comune di artisti, ma preferiva le lunghe camminate in solitaria. Vagava, per affinità climatica, in Galles, nella regione dei Laghi, in Cornovaglia; per scrivere aveva bisogno di ritirarsi, di marciare: spesso dormiva, durante questi vagabondaggi, con il viso verso le stelle. Alternava l’attività poetica – entro toni spesso paesaggistici e ‘morali’, di luce morbida o moribonda – a quella saggistica: cominciò con un saggio sulla figura del fool in Shakespeare; il suo studio più importante è dedicato a Thomas Hardy.
Aveva, in tutto, il carattere del ‘segnato’, Lionel Johnson. Il 22 giugno del 1891, dopo un degno dilemma, mollò la Chiesa d’Inghilterra per il cattolicesimo romano: per un periodo pensò di prendere i voti, si voltò a una poesia per lo più mistica. William Butler Yeats lo annovera nella triade dei “grandi poeti cattolici moderni”, insieme a Francis Thompson e a John Gray: nel 1907, in Tradition and Poetry, scrisse che
“Se per altri poeti la rinuncia era una posa, reazione superficiale all’abbondanza di fine secolo, per lui era una scelta di vita radicale. Era un tradizionalista, per quanto la sua mente si mantenesse errabonda e irrequieta”.
Nel 1897 Lionel Johnson aveva titolato una raccolta di versi Ireland and Other Pomes: lo affascinava il fermento d’Irlanda, la nuova epica della ‘rinascenza’ e perfino l’idea del poeta-profeta – diceva, mentendo, di avere avi d’Irlanda. Yeats riconobbe le stimmate del poeta alieno alle mode, alienato dal mondo: “Alle virtù dello spirito, Mr. Johnson ha aggiunto nella sua poesia lo stoicismo, l’estasi ascetica. Ha rinunciato al mondo per costruire un proprio mondo, crepuscolare, lontano dai tumulti moderni, con figure che sembrano tratte da un arazzo. Ha così poco a cuore i nostri modesti dolori, i nostri vani piaceri, che si esce dai suoi libri spossati ed esaltati, come se avessimo posato in un tableau vivant che raffigura qualche eroica azione”.
La vita come un rituale: sacrificio che adempie una forma. Nel 1936 Yeats incorpora alcune poesie di Lionel Johnson – tra cui il poemetto più noto, The Dark Angel, che dice di una indifesa lotta spirituale – nel colto, capriccioso “Oxford Book of Modern Verse”. Nell’antologia figura anche Oscar Wilde, antico amico, a cui Johnson aveva presentato il suo pupillo-modello, Lord Alfred Douglas. Venato dall’omosessualità dei santi, a lungo Lionel Johnson non si perdonerà di aver gettato “Bosie” tra le braccia di Wilde: forse, avrebbe voluto essere lui il giaguaro e l’inghiottito.
Ad ogni modo, Lionel morì giovane, il 4 ottobre del 1902, in seguito a una caduta che pare accidentale, in Fleet Street, a Londra.
La morte del poeta scosse l’ambiente letterario dell’epoca e in qualche modo ne sigillò il carisma. Nel 1904, per la casa editrice della sorella, la Dun Emer Press, Yeats pubblicò una selezione di Twenty One Poems Written by Lionel Johnson. Dieci anni dopo, passò il poeta in consegna al fidato segretario Ezra Pound. L’edizione dei Poetical Works of Lionel Johnson pubblicata a Londra per Elkin Mathews, reca una lunga Preface utile, più che altro, a comprendere le motivazioni estetiche che animavano Pound a quel tempo. Difficile immaginare poeti più diversi di Johnson e Pound, il quale, più che prendere rifugio nei boschi paolini, architettava avanguardie e andava ideando con Wyndham Lewis la rivista vorticista “BLAST”. Come sempre, è un Pound che va all’attacco, che fa lo scalpo critico:
“Tradizionalista di tradizionalisti, le sue poesie sono, di primo acchito, esercizi di critica… Conosco i suoi amici i quali, a eccezione di Yeats, lo considerano uno scrittore in prosa improvvisamente deviato in versi. Il suo linguaggio è formale. Ha quel tipo di precisione antiquata ben diversa da quella che si tenta oggi, tuttavia, anche quando il discorso si fa solenne, è mosso da una passione inconsueta…
Penso di essere stato scelto per scrivere questa prefazione soprattutto perché sono noto per sostenere teorie che alcuni ritengono nuove, che molti sanno essere ostili rispetto al concetto di ‘classico’ che va in voga nella poesia inglese; preferisco Dante, Villon e Catullo a Milton, i vittoriani e i soffusi poeti degli anni Novanta, verso cui nutro un certo disprezzo.
Il signor Elkin Mathews vorrebbe una prova che Lionel Johnson è poeta rispettato dalla cricca dei poeti più giovani, che si fanno beffe delle cose del tempo passato. Ora: non posso dimostrare che Lionel Johnson sia in sintonia con le nostre ambizioni. La sua lingua è libresca, a volte curiale, mentre noi inseguiamo la parola naturale. I versi di Johnson sono pieni di inversioni, sono spesso forbiti, eppure, nessuno è più Imagista di lui quando scrive: Chiari si allungano i campi, svaniscono nel vento blu. Ha la bellezza di un poeta cinese…
Se le sue poesie, nel loro insieme, resistono ancora è per quell’effetto di concisa nitidezza e di forza, impermeabile ai tempi. Se non fosse esistito Théophile Gautier, l’opera di Lionel Johnson avrebbe preso il suo posto, come simbolo della levigatezza e del candore. Nella letteratura inglese, gli spetta un posto al fianco di Matthew Arnold e di Christina Rossetti”.
Gli amici dicono che sapeva ritrarsi da tutto, “con la beatitudine di un re”, che viveva una sorta di claustrale consacrazione alla poesia. Qualcuno disse di un “incrollabile apostolato nella vita interiore”. Si presume che nel suo cuore, Lionel Johnson contenesse l’Amazzonia, la terra del Khan, il celeste impero.
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Notte piena di stelle, magnificenza a flutti:
gli usignoli si reggono agli alberi, oscurità frutta fragranze
augusti fuochi, luci eterne: ascolta,
soltanto chi si appassiona difende l’amore.
Grande è il cuore della notte, ogni splendore
è segnato e il patriarca sulle tenebre caldee
trova Dio in un gesto di devozione.
Potremmo vivere per sempre a questa latitudine
potremmo custodire per sempre la passione di questa pace
potremmo affrontare l’occhio della luce pura
e conquistare il gorgo della terra, liberarci dal desiderio:
un tempo eravamo divini, i nostri diritti abbiamo perduto.
Impara dagli usignoli e la vergogna cesserà.
*
Il precetto del Silenzio
Io ti conosco: dolore alle spalle
passioni definite dal deserto,
vacue ore! Io ti conosco:
speranza che trema, agonizza
tra fiori cerulei –
I venti mi rendono triste
gli spazi stellati atterriscono
il dolore fluttua sul mare
sospiro tra tetri reami –
Alcuni amano il lamento
rendono pubblica la loro
amena alienazione:
di certe cose non devi parlare
che a un solo uomo – e a Dio.
*
Luglio
Estate dei lampi, che ara
con la pioggia: le rose
s’iniettano nel vento
ma la notte è debole
e senza fiato – Filomela
non smette di cantare.
E ora? La terra ha la mano
sulla bocca: che feroce
meraviglia cadrà dai cieli?
Il tuono taglieggia il buio
e il mattino ha occhi nobili
appena lucidati – tuono:
la maniglia che spalanca il Paradiso.
*
A Merioneth, sulla grigia brughiera
la pioggia è isterica, il vento è freddo:
dal portale crepato della chiesa
una scabra processione, senza musica.
Ha vagato nell’ora cruenta, ed è morta.
Il lugubre chiurlo ora urla
sul suo corpo, che giace sdraiato:
la morte ci rende soli – lei è laggiù.
A Merioneth il vento corre e geme
lungo le colline solitarie:
nella tempesta che trionfa
uno spirito grida: Sii forte! E poi:
impara l’onore del rigore.
*
L’oscuro angelo
Un angelo oscuro con dolente
lussuria esaudisce ogni confessione:
angelo smaliziato che tenta
la mia anima con violenza sinuosa.
A causa tua, nulla mi frena:
profano ogni pensiero.
Oscuro angelo, volteggi
ovunque, mi raggiungi sempre…
Per causa tua, la landa dei sogni
diventa prigionia, terra di terrore:
sonno che tormenta
veemenza di lacrime vacue.
Quando la luce accende i fiori
o danza sul mare, tu, con la faretra
dei tuoi poteri, mi tieni sotto
assedio e mi sconcerti.
Nel polmone dei boschi autunnali
nei silenzi che fendono l’inverno:
il tuo veleno cova ovunque
letale maestro di empietà!
Sei nella fiamma che arde
nell’anima d’acciaio dei ghiacci:
inquini la fatale bellezza della
natura con artifici inquietanti.
Sussurri nell’oscurità, la tua
parola allude, non dice, la risata intimorisce:
adorni la mia tomba, sei l’ardito
autore del mio epitaffio.
Corazzato del Nome Santo, ti combatto!
Ma tu esegui ciò che Dio impone:
mio tentatore! Devo fuggire dalla tua
fiamma, mentre sobilli la Morte contro di me.
La seconda Morte, che non si estingue
la morte che non muore neanche quando
il tempo s’interrompe – la viva morte nei cui
alvei l’anima langue, eternamente sconfitta.
Ciò che vuoi non puoi farlo:
oscuro angelo, vieni e vincimi:
solitario salgo verso il Solo
divino, me ne vado verso Dio.
Lionel Johnson