Tr*ia su Pornhub, ed editorialista sul New York Times. Si può? Eccome. Quante volte avete cliccato sugli arrapanti video di Stoya? Quante volte vi siete masturbati con lei? E non l’avete mai letta? Nemmeno sul Guardian? Tranquilli, potete rimediare, ora i suoi articoli sono raccolti in un libro, Philosophy, Pussycats & Porn, ma qui, state attenti, che ad andare in fiamme potrebbe essere il vostro cervello. Dite un po’, uomini, così come vi piace sbattervela nei sogni, siete in grado di tener testa a Stoya, pornostar-intellettuale?
Essere donna e scrivere di sesso comporta un mucchio di offese, insulti, minacce via social, e qualche apprezzamento nascosto qua e là. Una montagna di disapprovazione sociale, sorrisini che fanno male, alterigia dei colleghi. Incomprensione. Se poi lo fai meglio degli altri e ne sai indubbiamente più degli altri perché gli altri non avranno mai a che fare con la varietà di sessi e copule che una pornostar assomma per lavoro, allora sei proprio la numero uno. Ed essere la numero uno implica tonnellate di invidia, e mettiamoci pure che Stoya fa a pezzi ogni stereotipo sulle pornostar. A partire dal suo corpo minuto, dalla sua prima di seno, dal suo viso candido sempre struccato, dalle sue unghie non smaltate, rosicchiate. È bellissima, Stoya, una bellezza da restarci secchi, una che fa porno ma quello difficile, ovvero quello BDSM, sadomaso, col suo corpo esile si fa valere, l’avete mai vista intrappolata a Rocco Siffredi in Voracious–I thought you were dead? Andateci subito.
E allora, una così, che diavolo ci fa sulla carta stampata? Firma articoli su sesso e porno, su quello che sesso e porno dovrebbero essere, ovvero non materiale scadente, da serie B, ma argomento serio come la politica, l’economia, la cronaca di ogni colore. Stoya scrive, e lo fa assai bene, dote naturale, e ci dice che buon sesso non te lo dà un pene enorme, eretto all’infinito, ma l’empatia che uno o più corpi protagonisti dell’intreccio riescono a creare. Per Stoya è scorretto parlare di feticismi sessuali, perché nel sesso non esiste anormalità, è giusta qualsiasi ‘pratica’ frutto di scelta libera, consapevole e consensuale. Gli orgasmi non sempre hanno a che fare con l’amore, puoi amare alla follia ed essere sessualmente incompatibile, o il contrario. La monogamia, figlia di convenzioni sociali e norme culturali, è oggi scesa a rango di opzione che presto scade in trappola. Negli affari di letto dovremmo dar più spazio e legittimità ai nostri istinti, scordarci la razionalità: vuoi essere puro oggetto tra braccia e voglie e arbitrio di un altro? Fallo, e goditela.
Date retta a Stoya, e liberatevi delle paranoie che i video gustati in rete creano: la pornografia non detta regole sessuali, è una performance, una messa in scena, intrattenimento per adulti. La pornografia non ha colpe, tutto sta nell’uso che se ne fa, ma se non cominciamo a liberarla dal ‘peccato’ che la opprime, non faremo mai un salto in avanti verso un porno migliore. E il porno migliore è quello libero dalla vergogna, è il porno valutato per quello che davvero è, se girato davanti a una telecamera, genere cinematografico, se scritto, letterario, e così via. Come ci è chiara la differenza tra un poliziesco e una sparatoria vera, come non possiamo dare colpa agli horror della violenza sociale, così dobbiamo scindere il sesso che decidiamo di vivere da quello che decidiamo di vedere sui siti porno, che è prodotto di tecnica, artificio. Non potremmo mai replicare quello che vediamo in rete nel nostro letto, come non possiamo replicare le imprese che vediamo al cinema. Ma il porno può avere funzione educativa, può essere fonte di conoscenza, è scrigno di risposte le cui domande ci imbarazziamo a fare. Si può usare il porno ad esplorazione visiva della propria sessualità, tramite il porno vincere la paura e dare nome e essenza a quel sesso “altro” che alcuni di noi sentono pulsare dentro dalla pubertà. Il porno fa piazza pulita del femminismo, per Stoya movimento finito, superato, minato dal suo stesso rigido pensiero. Si è femministe facendo porno, visto che il porno è uno dei pochi lavori in cui le donne sono pagate più degli uomini e trattate meglio. Lì c’è vera disparità in base al sesso, e tutto a vantaggio della vagina.
Di questo e molto altro parla Stoya nel suo libro, insieme al suo amore per la letteratura, alla sua ossessione per Bataille. Se sbirciamo nella sua casa di New York, tra i suoi libri, troviamo tanto Philip Roth, tanto Henry Miller, manuali di sessualità allacciati a saggi sul sesso orientale. Il porno è anche questo, è una ragazza americana di 32 anni, di buona famiglia, cosciente di quanto la sua scelta hard sia senza ritorno. Stoya nei suoi articoli non tratta solo di letteratura o di questioni sociali, ma anche della vita vera, di ogni giorno, la sua: quello a cui un’attrice porno va incontro, ovvero la difficoltà, anche nella New York del 2018, di trovar casa, e se la trovi di dover pagare l’affitto anticipato di un anno, della diffidenza delle banche, della doppia morale che la circonda. Perché se da pornostar e cittadina chiami un poliziotto per scacciare un fan molesto, quel poliziotto prima ti salva, ma poi ti riconosce e con te ci prova.
Barbara Costa