29 Ottobre 2019

Defenestrato da “Linkiesta”, padre Christian Raimo mi battezza: “Sbagli bersaglio”. Io lo invito negli Usa: vestiamoci alla moda di Jane Austen e balliamo sui carri. (Specifico: io sto con i millantatori, i fantasmi, le vittime, le battaglie perse)

Quando Christian Raimo mi scrive, in un lampeggiante scambio di messaggi via facebook, “Sono intervenuto perché sbagli bersaglio. Poi fai come vuoi. Anche tu sei adulto e ti difendi benissimo da te. Male, secondo me, ma mica posso dare consigli non richiesti a uffa”, sento in sottofondo strimpellare il marranzànu, mi pare di stare a Corleone, sul set del Padrino. Io ti do un consiglio…

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Se non sbaglio, ho conosciuto Christian Raimo nel 2015, al Premio Riccione, era uno dei giurati. Gli piaceva un testo con cui partecipavo, Ingmar, dedicato a Ingmar Bergman, poi andato in scena a Rimini. Abbiamo parlato cordialmente, con accesa passione, ricordo, con amicizia schietta. Un paio di anni dopo, ciò non mi impedì di stroncare un suo saggio, Tutti i banchi sono uguali, su Linkiesta. Proprio la stima, per lo meno un barlume, di certo il rispetto, pretende che si leggano i libri con fame, perfino con furia. E con spregiudicata gioia. Bacchica.

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Lo so, sono un pio cretino. Da tempo, stuoli di scrittori, fiancheggiatori del verbo, vogliono darmi “consigli non richiesti”. Mi dicono tutti che sbaglio bersaglio. In realtà, non ho altro bersaglio che me stesso: stroncando gli altri, accuso le mie mancanze.

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Ringrazio Christian Raimo: è il solo, tra gli stroncati, ad avermi rivolto la parola. Lo fa, però, in modo sgradevole, per rimproverarmi. “A me piaceva Davide Brullo. Anche se mi ha stroncato dalle due alle tre volte. Certo dirsi vittimista di Ciabatti, Terranova e mia sorella è una cretinata. Rocca ha fatto una scelta sbagliata, ma prevedibile. Millantare fantasmi non aiuta a un dibattito”. Raimo parla un po’ a vanvera, la vicenda che riguarda la mia rubrica su Linkiesta – che, ribadisco, non parlava solo di brutti libri ma anche di bellissimi! – l’ho raccontata qui, senza vittimismi vieti. Semplifico un paio di cose:

*Il direttore di un giornale può fare quello che vuole dei propri collaboratori, cacciarli quando gli pare, senza giustificazione di sorta: mi è scocciata, umanamente (perché siamo uomini, mica pietre), la viltà del pretesto;

*Il pretesto, appunto: una frase nel contesto di un articolo, elogiativo, dedicato a Maria Grazia Ciani. La frase è questa: “Il romanzo, in forma teatrale – voci che si rincorrono, nel destino a labirinto, Penelope e Antinoo, Telemaco, Argo, lo Straniero – ha una tensione che convince, radicale e quotidiana insieme. Eppure, sulle copertine dei giornali non è finita Maria Grazia Ciani – che per altro, velata di pudore, rifiuterebbe ogni forma di fama – ma scrittrici meno capaci di lei, dal profilo televisivo, Nadia Terranova, Veronica Raimo, Teresa Ciabatti… perché?”. La frase non è piaciuta, e al posto di cancellarla hanno cancellato me.

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I problemi che si pongono sono due, facili facili per tutti. Il primo riguarda il “lavoro culturale”. I collaboratori vivono nel sottosuolo dell’informazione, fanno il ‘lavoro sporco’, si espongono e non hanno alcuna protezione contrattuale: se non vanno più bene, un calcio in cu*o e arrivederci. I problemi economici che ne derivano – piccoli o grandi: chi fa cultura o è ricco o è sempre alla canna, per cui anche 50 euro sono oro – ve li lascio supporre. Secondo: l’impossibilità, in spazi terzi (cioè: non il proprio blog personale ma un foglio, digitale o cartaceo, autorevole), di un confronto aspro e onesto sui libri, e perfino grottesco. La stroncatura è per chi, lavorando seriamente, non si prende troppo sul serio: il Belpaese è pieno di scrittori che valgono poco, si credono a un passo dal Nobel, sono rosolati nel narcisismo, gonfi di presunzione, rospi.

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Sono e resto un pio cretino. Credevo, cioè, di ricevere qualche pacca sulla spalla – dai Brullo, avanti così, ci stai sulle palle ma ti vogliamo bene lo stesso – e di trovare qualcuno, con le palle, che rilanciasse alto. Invece, Raimo, in sostanza, difende l’informazione così com’è – sono io che piscio fuori dal vaso, mica il direttore de Linkiesta ad aver fatto una porcata – e mi bacchetta pure (“Dicevo solo che la retorica vittimistica stona con la tua intelligenza. È infantile”). Naturalmente, presumo che le Tre Grazie, Terranova-Raimo-Ciabatti, non siano implicate nella mia cacciata. Eppure, nessuno si è smarcato. Voglio dire. Se il direttore di un giornale usa come pretesto, per cacciare un collaboratore, una frase in cui sono citato, io alzo la mano e dico non c’entro con questa schifezza, non c’entro nulla. Invece, nulla, non son degno neppure di questo.

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Non oso dire: Christian, apriamo una rubrica di stroncature su ‘TuttoLibri’, insieme. Gli rovinerei il parterre. Così, gli rispondo: “Padre Christian, non ho bisogno di un confessore che mi dica se mi comporto bene o male. A mio avviso (e qui sbaglio) gli scrittori, per forza immaginativa connaturata (se c’è) sono più alti e creativi dei direttori dei giornali. A me importa quello. La scrittura e chi la pratica. Ed è a quelli, gli scrittori, che mi rivolgo: elevatevi dal giochino misero dei maneggi culturali (di cui io sono solo un insignificante esempio, l’esempio, però, di uno che dice e non tace). Altrimenti, il blabla sul lavoro culturale ha davvero una prospettiva misera, lagnosa, modesta. In fondo, pure tu, al posto di rilanciare (Davide, vieni, corriamo!) abbassi la testa, la infossi nell’ovvio”. Poco prima gli ho scritto: “…ma poi, da quand’è che tu Christian, stai dalla parte del più forte? Credimi, piuttosto io preferisco stare con i cretini, i millantatori e i fantasmi. Le battaglie perse, nell’insicuro e nell’improvvido, sono le uniche letterariamente valide”.

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Nel giorno in cui Christian mi scrive, la Jane Austen Society of North America compie 40 anni, ha la mia età. A Jane Austen preferisco George Eliot, ma queste sono sciocchezze. Mi affascina invece questo nugolo di fan che s’incontrano, ogni anno, alla Governor’s House di Hyde Park, in Vermont, a vivere come si viveva ai tempi della Austen, addobbati con gonnoni, ombrellini e merletti. La JASNA ha una sua rivista di studi – si chiama “Persuasions”, obviously – e 79 sedi sparse negli Usa. Suzanne Boden, che ha inventato questo modo fantasioso di vivere la letteratura, dice – lo dice al Guardian, quiche “è una via di fuga: si torna indietro nel tempo, ci si traveste, si evitano la tecnologia moderna e i cellulari”. Piuttosto, si fanno lezioni di ballo e di cucito, si gira su una carrozza tirata dai cavalli. Ecco. Mi immagino Christian Raimo vestito come Fanny Price, alla moda di Mansfield Park. Sarebbe divertente. (d.b.)

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