Lina Caico, scrittrice, saggista, traduttrice, fu amica di Ezra Pound e collaborò con lui nel corso degli anni Trenta e Quaranta. Era la primogenita di Eugenio – nativo di Montedoro, borgo nisseno dove i Caico possedevano terre e solfare – e della franco-anglo-irlandese Louise Hamilton, fotografa e scrittrice che si batté contro i pregiudizi sessisti del tempo e fece studiare i figli in Inghilterra.
Louise appare seria nelle foto d’antan, Lina sorride: occhi grandi e neri, capelli crespi, era minuta e le amiche la chiamavano Linuzza. È ricordata per il giornale “proto-femminista” Lucciola, che fondò, ma fu anima di molti talenti, corrispondente di teologi e filosofi, intellettuali e letterati. Nel 1910, insieme alla madre, tradusse in italiano In Tune with the Infinite dell’americano Ralph W. Trine (1866-1958), uno dei primi “maestri” del New Thought Movement. Se ciò non significa necessariamente l’adesione a dottrine teosofiche, mostra però che in casa Caico quelle idee circolavano, così come nella Londra dell’“apprendista mago” William B. Yeats, meta del giovane Pound. La sua venuta in Europa e il sodalizio con il bardo irlandese «non sono né casuali né superficiali, ma rappresentano il frutto di una passione verso un mondo [quello della “tradizione celeste” neo-platonica] che lo aveva affascinato sin da adolescente e traspare dalle sue prime composizioni poetiche, così come dalle letture giovanili» (L. Gallesi, in “Introduzione” a D. Tryphonopoulos, Ezra Pound e l’occulto. Le radici esoteriche dei Cantos, Edizioni Mediterranee, Roma 1998).
Laura Mangione (1888-1973), amica a fianco di Lina per 35 anni, nell’introdurre il carteggio che la Caico tenne con il poeta sottolinea «il prezioso filo aureo che lega queste lettere alla loro opera di scrittori: in Ezra Pound si chiama “magico”, in Lina Caico “mistico”». Per quanto diversi, v’erano tra loro importanti punti di convergenza. In particolare, la venerazione – ammirazione in Pound – per la figura di san Francesco, ben prima e al di fuori della promozione interessata che ne fece il regime: il Cantico delle creature del Poverello d’Assisi toccò il cuore di “Ez”, che lo incluse in The Spirit of Romance (1910). Sembra di poter ascrivere (anche) Francesco, dunque, «alle radici dell’arte di Pound, perché le tre norme da lui date alla poesia sono i tre caratteri essenziali dello spirito francescano: semplicità (l’immagine nuda), povertà (rinuncia alle parole superflue), libertà (il ritmo della frase musicale)» (per questa come per la citazione precedente: L. Mangione, Presentazione della corrispondenza Pound-Caico, in “Quaderni di Tradizione mediterranea”, 2, 1981). Sul piano sociale, per altro, i francescani furono anche i sostenitori del più vasto movimento contro l’usura che il Medioevo conobbe.
Pound guardava con interesse al Cattolicesimo, in cui coglieva assonanze con il Confucianesimo. Ne parlò talvolta con l’amica che, cresciuta nella fede evangelica, aderì alla Chiesa di Roma nel 1933. “Ez” le scriveva: «I cinesi conobbero la virtù prima del cristianesimo». «Vi è tanta luce prima che sorga il sole», rispondeva Lina, vedendo in Confucio un “precursore” di Cristo, alla stregua di Siddharta l’illuminato, incontrato nei versi di Tagore. Forte era in lei la propensione per i temi spirituali e religiosi, sempre affrontati in modo anticonvenzionale. Un approccio aperto grazie al quale i suoi rapporti con il “complicato” poeta non si guastarono mai, né vennero meno, tra loro, sincerità e comprensione.
Pound la conobbe (epistolarmente) nel 1931: in quei giorni collaborava a L’Indice, un quindicinale letterario pubblicato a Genova e diretto da Gino Saviotti. Per i suoi “Affari esteri” (una rubrica sugli scrittori stranieri «non cadaveri», la definizione è sua) servivano traduttori e così, nel maggio 1931, pubblicò un annuncio in cui ne chiedeva 25 (!) «per lo sviluppo e l’acellerazione [sic] e l’allegria della vita letteraria». Conscia della sua importanza nel mondo letterario, Lina gli scrisse. Esordì in agosto con una bella traduzione di Brooksmith, un racconto breve di Henry James, autore cult per “Ez”, ma non per lei che lo amava poco. Il poeta le avrebbe affidato, in seguito, altre traduzioni importanti. L’Indice, però, chiuse a fine anno per dissesti finanziari. Pound e i suoi “Affari” migrarono allora su Il Mare, storico settimanale di Rapallo che per l’occasione varò, dall’agosto 1932 al luglio 1933, un “Supplemento letterario”. In ambito poundiano, Lina vi tradusse A Study in French Poets, scritto nel 1918 per la Little Review di Margaret Anderson.
Duttile e curiosa, la scrittrice siciliana fu anche la prima in Italia a interessarsi al Pound “economista”. L’occasione fu l’uscita di ABC of Economics nel 1933, anno delle conferenze poundiane alla Bocconi. Affrontò l’argomento, nuovo per lei, con grande impegno, «dimostrando buona capacità divulgativa di un’opera che pochi prendevano sul serio», ricordava Giano Accame. Lina offrì la recensione al Giornale di Sicilia, cui già collaborava, ma il nuovo direttore spedito da Roma, Valentino Piccoli, nicchiò. Prese altre vie, allora, approdando al quotidiano cattolico L’Avvenire d’Italia di Raimondo Manzini. Qui uscì in due parti, “La nuova economia – Il poeta economista” ed “Economia volitiva – Etica finanziaria”, nel corso del 1935.
Nel testo la Caico condivide l’avversione del poeta per le «banche divoratrici», che uno stato “etico” può e deve domare. In una lettera così si schermiva: «So di non esser riuscita a fare un buon ritratto critico della vostra personalità economico-letteraria, siete difficile…» (Lettera dell’11 giugno 1935: Beinecke Rare Book and Manuscript Library, Yale University, Ezra Pound Papers, YCAL MSS 43, b. 7, f. 322. I due comunicavano in inglese, salvo che nel periodo bellico in cui usavano l’italiano per evidenti ragioni di censura. Le citazioni dalle loro lettere – per comodità del lettore – sono date in versione italiana). Ma Pound ne fu assai contento. La “arruolò” e dispose che le fosse inviata copia di ogni suo nuovo libro, inclusi i sontuosi volumi dei Cantos. A proposito dei quali ella si dichiarava ammirata e confusa. Ben ne coglieva la portata, ma li trovava «criptici». Il poeta replicò che li capiva il vecchio Homer e Lina, di rimando: «Vostro padre capisce i Cantos perché già conosceva i gentiluomini che vi sono rappresentati». Il 1935 è anche l’anno di Jefferson and/or Mussolini, su cui la Caico si mise subito al lavoro. Non amava il Duce, ma confessava a “Ez”: «Tutto ciò che dite su Mussolini è giusto, così come originale e luminosa è l’idea centrale ch’egli sia un Costruttore». Costruiva con il materiale che aveva, però, gli italiani di sempre!
«A me sembra che nessuno sia mai stato responsabile in Italia, e nessuno lo è nemmeno adesso, tranne Mussolini. […] Responsabile è uno solo, gli altri obbediscono, gli piaccia o meno, purché sembri vero».
L’articolo, chiuso nella primavera 1936, non piacque al Giornale di Sicilia («non credo sia il caso di dare tanta importanza a un parallelo di questo genere», le scriveva, nel giugno seguente il direttore). Uscì due anni dopo, nell’ottobre 1938, bilingue, come “The Leading Man in Europe/Il Protagonista”, su Fascist Europe/Europa fascista, una raccolta di saggi sotto l’egida dell’Istituto nazionale di cultura fascista. Lina vi evidenzia parallelismi tra i personaggi del libro (Confucio, Jefferson, Mussolini) e parla in termini elogiativi di New Economy, auspicando che grazie a essa non si debba mai più vedere «la miseria in mezzo all’abbondanza». Il poeta le scrisse compiaciuto: «È l’articolo più esauriente che abbia mai visto sul J/M».
Nel 1937-38, European Correspondent del Globe di St. Paul, “Ez” la coinvolse. Lei chiese se il suo inglese era adeguato: «È fin troppo buono per il Minnesota», fu la divertita risposta. Anche Olga Rudge, compagna di Pound, lo giudicava ottimo: «La madre di mia figlia», scriveva Pound, «dopo aver visto alcuni paragrafi delle vostre lettere, è ossessionata dall’idea che l’egregia bambina debba imparare l’inglese in Sicilia. Naturalmente le ho detto che non si può mettere un giovane elefante in un appartamento a Palermo». Lina aveva insegnato per anni, ma poi, con il manifestarsi della malattia che la colpì, la sclerosi a placche, dovette rinunciarvi nel 1932. Rispose: «Mi piacerebbe averla qui per un po’ di tempo, per cominciare; ma per il momento è del tutto impossibile». E di rimando, scherzosamente: «Qual è la sua occupazione in questo momento? Va a scuola, forse in quarta elementare, o è cresciuta solo con la poesia e l’economia di famiglia?».
Cessato Globe, Pound chiamò Lina anche a Broletto, patinato mensile comense per cui egli diresse un “Servizio di comunicazioni” che un po’ ricordava L’Indice e Il Mare. La Caico vi scrisse due pezzi “cinesi”. Il primo, particolarmente sentito, è “Gli albori della parola e dell’arte nei caratteri cinesi”, una recensione a The Chinese Written Character, opera postuma di Ernest Fenollosa curata da Pound nel 1919 e ristampata nel 1936. Quand’ebbe il fascicolo con il proprio articolo e la fotografia del monumento funebre dell’orientalista, a Kyoto, gli scrisse: «Penso sia la prima volta che vedo una tomba dove vorrei esser sepolta». Un terzo articolo su The Two Nations, uno studio sulla storia finanziaria inglese di Christopher Hollis fu interrotto dalla chiusura della rivista nel dicembre 1938.
Intanto, per l’aggravarsi della sua salute, al principio del 1937 Lina aveva deciso di sottoporsi a una terapia sperimentale contro il morbo che la stava portando alla paralisi. Insieme a Laura si recò a Padova, sede de “La Salutare”, clinica famosa per le “malattie dei nervi” diretta dal dott. Hans Loewald, un ebreo tedesco di cui divenne amica. Il doloroso percorso di cura che affrontò in quattro interminabili mesi emerge nelle coeve lettere al poeta, cui rese mille volte grazie per la pazienza e la compassione dimostratele. Ezra e Olga proposero alle due amiche, a fine cura, qualche giorno di relax a Venezia nel loro «nido nascosto» di Calle Querini, a Dorsoduro. Raccomandarono loro anche un più agevole viaggio in nave per il ritorno a Palermo, con imbarco a Genova, dopo una “rimpatriata” a Rapallo. La proposta piacque molto, ma il destino dispose altrimenti poiché la terapia non fece effetto. Nel lasciare la clinica, la Caico scriveva a Pound:
«Ho rinunciato a Rapallo, naturalmente (spero di incontrarvi in Paradiso), e anche a Venezia, perché lì bisogna camminare».
Rientrata a Palermo, gli fece il punto della sua situazione:
“Caro Ez, eccomi qui, e molto peggio di quando sono partita. […] Certo, non tutti guariscono, ma peggiorare è una cosa inaudita, mi dicono; sarebbe crudele, dopo aver speso così tanti soldi. […] Posso scrivere, ma non posso cucire, i miei pollici sono troppo stanchi. Questo mi allarma un po’, le mie preziose mani!”.
Sempre in quei giorni, Lina – che sapeva del proverbiale mecenatismo di Pound – scrisse da Padova una lunga lettera in cui gli chiedeva aiuto per la sua amica Grete Sultan (1906-2005), una pianista ebrea di Berlino che non aveva più di che vivere a causa delle Nürnberger Gesetze, le leggi razziali del 1935. L’episodio, ben noto (ne parlò per primo Tim Redman in Ezra Pound and Italian Fascism, Cambridge University Press, New York 1991), è emblematico del sentimento antiebraico maturato da Pound, che le rispose acidamente. Egli, però, significativamente aggiunse: «Hubermann è l’unica speranza per la vostra amica» (Lettera del 14 marzo 1937; si tratta di Bronisław Huberman, celebre violinista ebreo polacco che in quegli anni lasciò l’Europa e a Tel Aviv fondò l’Orchestra ebraica di Palestina, il cui concerto d’esordio fu diretto il 26 dicembre 1936 da Arturo Toscanini). Era contro i Rothschild, ma capiva i drammi personali delle vittime dell’antisemitismo nazista (la Caico lo percepì se, con il profilarsi delle leggi razziali, nel settembre 1938 chiese ancora aiuto a “Ez” per il dott. Loewald che cercava di lasciare l’Italia per gli Stati Uniti, dove divenne uno psicanalista di fama). Seppur timida, la Caico fu sempre franca con lui e rispose: «Caro Ez, l’economia vi sta davvero entrando nel cervello! Io non mi interesso di razze, ma di individui». Stremata dalle cure, poi allentò la presa. Al di là della boutade, aveva colto nel segno: le tesi politico-finanziarie, in Pound, avevano preso a sovrapporsi alla sua estetica. Un mese dopo, con una rilassata lettera all’amico «benevolo e intelligente», Lina ristabilì i contatti. Sullo sfondo, però, la «questione ebraica» rimase sempre un vulnus. Dopo il breve intervallo di Broletto, intanto, Pound era approdato al Meridiano di Roma di Cornelio Di Marzio, diventandone una firma. Qui pure coinvolse Lina, di cui nel maggio 1939 uscì “L’ultimo Criterion di Eliot” e nel giugno successivo, siglata L. C., la traduzione di un saggio poundiano del 1929 sul surrealista René Crevel, Nazioni e scrittori.
Malattia e guerra diradarono i contatti, ma nell’ottobre 1942 Pound tornò a lei: se la sentiva di tradurre in italiano i suoi discorsi a Radio Roma? Disponibile, Lina precisò che «la versione sarebbe stata dell’amica che sta con me, lavoriamo sempre insieme». Il progetto sfumò. Una successiva lettera al poeta, a ridosso dello sbarco alleato in Sicilia, si chiudeva con una triste nota:
“Mi ripromettevo una vera vecchiaia, capelli bianchi e cuore leggero. Invece i sessant’anni mi trovano impotente, curva, miserabile. Povera di forze, di indipendenza, povera di gambe, di mani, schiava delle necessità di questo corpo che mi ha tradito. […] Povera anche spiritualmente, poiché non so rassegnarmi a ricavare vantaggi per l’anima dall’essere sempre orribilmente scomoda”.
Venne poi l’8 settembre e spezzò l’Italia in due. Da “Ez”, al Nord, più nulla per seicento giorni, i seicento giorni di Salò. A fine giugno 1945 la notizia del suo arresto raggiunse Montedoro. Incredula, Lina gli scrisse a Rapallo:
“Caro Ez, mi dicono (non ho visto il giornale) che siete stato arrestato per aver parlato bene del fascismo nei vostri scritti. Ma in una libera democrazia questo non è un’accusa, voi potete pensare e dire quello che volete, purché non diciate menzogne, non ingiuriate, non calunniate, non facciate male a nessuno, non vi serviate della politica per arricchire. Voi non avete mai fatto nulla di tutto questo, siete una coscienza limpida e dignitosa, un gentleman; sicché mi figuro che questa vi ritroverà nel vostro libero domicilio. Il vostro pensiero ha le sue nebbie, come non ho mai mancato di dirvi, ma la prova che voi non avete mai fatto o detto nulla che possa motivare una accusa, è che voi ed io abbiamo potuto essere buoni amici, malgrado fossimo d’idee diametralmente opposte, io antifascista della prima ora. Fare il processo alle idee è quel che faceva il fascismo, è un resto di quella mentalità”.
Ma i desideri cozzavano con la realtà. “Ez” non tornò a Rapallo e il 17 novembre 1945 fu trasferito negli Usa. Poco prima – avuto da Dorothy l’indirizzo del campo di detenzione – Lina gli aveva inviato una lunga lettera in inglese (per facilitare il censore americano, scrisse), replicando l’incipit di quella del 26 giugno 1945, mai vista da Pound, e aggiungendovi:
“Qualche dissapore politico ha ravvivato talvolta la nostra corrispondenza. Tuttavia la politica è sempre stata di secondario interesse per voi, un angolo in ombra nella vostra limpidissima mente. Gli argomenti letterari e la vostra cara New Economy sono “il vostro giardinetto”, come usa dire qui, e assai mi è piaciuto venire a farvi visita lì”.
E proseguiva: «La vostra ultima lettera iniziava con “povera Lina”, e poverissima lo sono in ogni senso…». Poi, chiuso il cahier de doléances, con il miglior spirito raccontava all’amico le stranezze del dopoguerra siciliano e le sue ultime letture. La calligrafia incerta tradisce la precarietà fisica: scrive con grande fatica, vi riuscirà ancora per poco.
Nella corrispondenza di quei giorni, rada ma vivace, ricorre Confucio (Pound lavorava agli Analecta). Vi partecipano, oltre a “Ez”, Lina e Laura, anche la moglie Dorothy e Olga con scambi di informazioni, libri, documenti e persino un pacco alimentare da Washington a Palermo. Dove, infine, giunse la notizia del premio assegnato a Pound, il Bollingen Award. Lina gli scrisse immediatamente:
“Congratulazioni vivissime! Sono elettrizzata e piena di gioia. L’America è un grande paese! Posso leggere i Pisan Cantos? Non posso promettervi di farne la recensione perché […] voi siete “l’epuratissimo Pound”. Ma l’esempio della grande America potrebbe dare impulsi, suggerire… fatemi mandare il libro e vedrò cosa si può fare”.
Il volume arrivò: «I Pisan Cantos hanno suscitato molta eccitazione. Forse riuscirò a fare una modesta recensione. Ma non aspettatevi troppo, sapete che non sono né un critico né un’artista…». Non di meno, un verso dopo l’altro, Lina leggeva e dettava: le ci volle un anno e mezzo per venirne a capo. Poi, il 20 gennaio 1951, si spense. Laura trovò la forza di comunicarlo a Pound solo un mese dopo:
“Morì dormendo, dolcemente, senza agonia, ma durante i nove giorni precedenti soffrì moltissimo. Era consapevole di morire e serena. Due giorni prima della fine volle che prendessi l’articolo di recensione dei Pisan Cantos, articolo che aveva da poco finito di dettarmi; e mi dettò ancora le correzioni, sebbene potesse appena, con grande stento, riuscire a parlare. Mi raccomandò caldamente di curarne la pubblicazione e farvelo avere”.
Amica devota, Laura si prodigò per esaudire quell’ultimo desiderio. Vanamente. Ormai vecchia, nel gennaio del 1969 si rifece viva col poeta, chiedendo di poter pubblicare alcune delle sue lettere a Lina in un’antologia a lei dedicata. Rispose Olga Rudge («Il signor Pound si scusa per non scrivere di persona, ma non può usare molto gli occhi») e l’autorizzazione arrivò, ma poi tutto saltò. Laura mancò nel 1973. I suoi propositi furono realizzati negli anni Ottanta da Antonio Billeci, palermitano, che nei «Quaderni di Tradizione mediterranea» pubblicò vari inediti di Lina e un piccolo estratto dal vasto carteggio tra il “ciclonico” americano e Linuzza, Sister of Mercy che il destino pose sul cammino dell’autore dei Cantos.
*Si pubblica, per gentile concessione, l’articolo di Maurizio Pasquero, “Caro Ez «miglior maestro del parlar possente»”, in uscita sull’ultimo numero di “Studi Cattolici” (740, ottobre 2022), che a “Ezra Pound a 50 anni dalla morte” dedica un quaderno con articoli di Luca Gallesi, Roberta Capelli, Carlo Pulsoni e Maurizio Pasquero.