03 Giugno 2020

Ligabue, la rock star che diventò (nelle intenzioni) il “Raymond Carver italiano”. Gita tra poesie imbarazzanti e libri facilmente dimenticabili

“Non abbiamo un Raymond Carver italiano. Mi correggo, non avevamo un Raymond Carver italiano. Ora c’è e si chiama Luciano Ligabue. Non parlo delle sue canzoni. Anche se versi come: «Certe notti la radio che passa Neil Young sembra avere capito chi sei». O come: «C’è la notte che ti tiene tra le sue tette, un po’ mamma un po’ porca com’è». O, soprattutto, come: «Ci han concesso solo una vita / soddisfatti o no, qua non rimborsano mai» a Carver non sarebbero dispiaciuti”. (Antonio D’Orrico, Corriere della Sera).

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Come sappiamo, la sinistra italiana ha sempre lavorato per mantenere la supremazia in campo culturale: questo è un dato di fatto ormai metabolizzato e storicizzato. Una supremazia che ha visto iniziare il suo declino con l’avvento degli anni 2000, con la rivoluzione digitale, con la diffusione della Rete e i rivolgimenti socio-globali a cui stiamo ancora assistendo. Già in quella fase di forti cambiamenti, destinati a farsi sempre più veloci, l’egemonia della sinistra si è sentita minacciata e ha cercato le vie possibili per mantenere l’occupazione del campo. Cosa c’entra in tutto questo Luciano Ligabue, un rocker che a un certo punto ha sfruttato il successo regalatogli dalle vaste platee di fans per tentare una collaterale carriera letteraria? Sappiamo che il suo esordio risale al 1997, con la raccolta di racconti Fuori e dentro il borgo, che vinse il Premio Elsa Morante e il Premio Città di Fiesole: un artista della scena musicale che si scoprì “narratore delle pianure”, sulla scia del padre nobile Gianni Celati, nella terra situata “tra la via Emilia e il West”. L’anno dopo seguì il suo esordio come regista con il film Radiofreccia, che vinse la bellezza di tre David di Donatello, due Nastri d’argento, un Globo d’oro e tre Ciak d’oro.

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Il ruolo “di sfondamento” di Luciano Ligabue nella letteratura prende corpo nel 2004, quando pubblica il primo romanzo intitolato La neve se ne frega nella collana “I canguri” Feltrinelli: il libro viene presentato a Torino da Francesco Piccolo, a Roma da Alessandro Baricco, a Milano da Fernanda Pivano. È la mobilitazione di questo stato maggiore di “mostri sacri” della nostra cultura gauche a far capire il disegno sotteso all’operazione, una mossa di marketing decisa e orientata, che voleva farsi anche messaggio politico che legittimasse la posizione di questa intellighenzia verso un pubblico il più ampio possibile, allargato anche alla sfera pop e adolescenziale. Dunque, non un semplice disegno commerciale in termini di classifica, vendite e denaro, ma molto di più. Si tenga presente che solo due anni dopo Alessandro Baricco avrebbe pubblicato sul quotidiano la Repubblica il saggio I barbari, un tentativo di analisi della grande mutazione in atto nella cultura occidentale, presentato come l’opera filosofico-antropologica del momento.

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Dunque, l’esigenza della sinistra di muoversi, di reagire alla deriva in atto era ben presente, ed è verosimile che questi esponenti dell’élite intellettuale abbiano pensato di eleggere un “campione” dal forte appeal mediatico, sfruttandone la forza derivante dalla sua grande popolarità, per mandarlo a presidiare l’area minacciata. Ecco allora che Luciano Ligabue viene letteralmente imposto in campo letterario – a suon di presentazioni prestigiose, di condizionamenti alle librerie e di ospitate nei salotti televisivi di Stato – con La neve se ne frega, un romanzo futuristico la cui realizzazione, a nostro avviso, non dovette comportare sforzi particolari. Nulla di più semplice, infatti, che ricopiare l’ambiente orwelliano di 1984 e riproporre lo stesso tema di Il tempo imperfetto (dove le persone nascono vecchie e ringiovaniscono fino a morire neonate) che Francesco Piccolo aveva copiato quattro anni prima da Counter-clock World di Philip. K. Dick (dove un fenomeno siderale ha invertito la freccia del tempo facendo ripercorrere la vita a rovescio) pubblicato nel 1967, il quale a sua volta aveva ripreso in forma fantascientifica il tema del celebre racconto di Francis Scott Fitzgerald The curious case of Benjamin Button, dove un bambino nasce vecchio e ringiovanisce fino a estinguersi.

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Dunque, un topos molto sfruttato quello di La neve se ne frega; ma l’autore si è sforzato di ovviare all’ovvio con l’invenzione stilistica:

«Usi il blu e fai sentire un po’ di dio o dei suoi affini.
Usi il giallo per dire che il sole non lo si può guardare in faccia. Il giallo per il potere. Il giallo per il volere.
Usi il rosso per l’incombenza del sangue, la dipendenza dal sangue, l’intraprendenza del sangue. Usi il rosso per le radici.
Usi il bianco per accendere la luce.
Usi il nero per spegnerla. Per accendere l’ombra.
Oppure li mescoli e abusi delle migliaia di nuove possibilità».

«Io e la pazienza giriamo la faccia dall’altra parte quando ci incrociamo».
«Io e la pazienza abbiamo strappato le foto in cui eravamo insieme».
«Io e la pazienza, ora, ci stiamo inviando qualche cartolina».

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Naturalmente, per affermarsi in modo pieno serviva anche l’impegno politico, e Luciano Ligabue ha fatto il possibile per coprire anche questo aspetto. Restano scolpite nella memoria la sua partecipazione al concerto del Primo maggio 2006, anno in cui la canzone Una vita da mediano diventa la colonna sonora della candidatura di Romano Prodi a Presidente del consiglio; la sua adesione al Vaffanculo-Day di Beppe Grillo nel settembre 2007, dove in un videomessaggio su maxischermo critica davanti alla platea grillina il sistema politico italiano; la sua firma all’appello per la libertà di stampa lanciato due anni dopo dai giuristi Cordero, Rodotà e Zagrebelsky sul quotidiano la Repubblica; la sua solidarietà a ricercatori e studenti nelle proteste del 2010 contro la riforma della scuola, espressa dichiarando che, finalmente, i giovani stavano manifestando l’angoscia per il proprio futuro. Un’attività politica a cui Ligabue era già avvezzo, essendo stato nel 1990 consigliere comunale a Correggio, prendendo parte a sole sei sedute consiliari in due anni, prima di dimettersi e imboccare la strada del successo come artista.

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Una volta che il campione della sinistra è stato lanciato, la strada è aperta: si sono occupate le sotto-aree del cinema, della narrativa, della politica, e ora resta da occupare l’area cruciale della poesia. Perché è la poesia a essere rivoluzione, a rivoltare le coscienze, a tracciare significati per la psiche. Anche qui il compito è apparso semplice: basta slegare le parole dalla musica, ragionare in un tono diverso e il gioco è fatto. La collana Einaudi Stile Libero è pronta come braccio armato del progetto, a fianco dei grandi promotori: esce così nel 2006 la raccolta di 77 poesie dal titolo Lettere d’amore nel frigo, con la prefazione di Nico Orengo, che viene presentata con successo in molti atenei italiani. L’incipit:

guardiamo gli insetti
sbattere sulle lampadine
li vediamo friggere
diciamo
non ce la fanno
a entrare nella luce
quegli stupidi

Ora, per quanti sforzi di condiscendenza si possano fare, come venne rilevato da più parti, queste “poesie” risultano chiaramente un prodotto fuori fase rispetto all’arte che si vorrebbe esprimere. Apparentemente scritte di getto, come farebbe un adolescente sul suo diario, fattualmente prive di punteggiatura – forse per rivendicare la provenienza artistica dalla composizione di testi musicali – risultano inespressive, inconcludenti, senza un briciolo di sostanza lirico-letteraria.

è uno come tanti
che ha le sue
lettere d’amore
nel frigo
e nello scomparto frutta
tiene la matrice
dei biglietti
per lo spettacolo del per sempre
se ne ha comprati tanti
è perché gli spettacoli
durano quel che durano
così compra altri biglietti
con sopra la scadenza

Non c’è ritmo, non c’è respiro, manca una direzione emotivo-evocativa, e anche un’ipotesi di impianto semantico è inesistente. L’autore, dopo una serie di mestieri diversi, è approdato alla musica rock-autoriale e da lì ha formato le proprie competenze, in linea con l’arte che stava praticando. Ma esercitare la poesia presuppone un’inclinazione e una formazione ben fondate nell’intimo della persona, non può ridursi a un accostamento di parole e correlazioni intese a creare suggestione. Non basta saper andare sul palco con la chitarra elettrica, se non si è Jim Morrison.

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la mosca
che si posa
sulla tela
e la va a cambiare
sembra mandata da qualcuno
che ha deciso
di disturbare
il pittore
proprio lì
nel punto
d’illusione
d’eternità

È con imbarazzo che riportiamo queste citazioni, e chiediamo comprensione. D’altronde, un’idea concreta di cosa si stia parlando bisogna offrirla, se si vuol fare un discorso organico. Ma lasciamo la parentesi in versi per affrontare la fase successiva del progetto Ligabue: rinvigorire il genere letterario dei racconti, per dare impulso a questa forma narrativa spesso negletta. E qui entra in campo il celebre “book-jockey” del Corriere della Sera, l’uomo che conserva la capacità di entusiasmarsi con l’infantilismo stupefatto (non nel senso che assuma stupefacenti, ovviamente) di chi è pronto a gridare al capolavoro ogni volta che si emoziona per un libro: il famigerato Antonio D’Orrico, rimasto nella storia per il panegirico che dedicò a Giorgio Faletti su “Sette” con il titolo-slogan: «Non ci crederete ma oggi quest’uomo è il più grande scrittore italiano».

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Puntualmente, per la raccolta di racconti Il rumore dei baci a vuoto (Einaudi 2012), Antonio D’Orrico è arrivato a sparare: «Non abbiamo un Raymond Carver italiano. Mi correggo, non avevamo un Raymond Carver italiano. Ora c’è e si chiama Luciano Ligabue». Ora, senza entrare nel merito di un’affermazione tanto spavalda quanto ingenuamente miope, ci limitiamo a qualche osservazione. Qui ogni racconto è caratterizzato da un “finale aperto”, che – dopo una perdita, una scelta incomprensibile, un errore, un segreto svelato, una lettera da aprire, il passato che ferisce – lascia comunque intravedere la speranza dell’assestamento, del riscatto, della redenzione. Sfortunatamente, queste concessioni al “buon esito” del mondo – lasciato solo intuire, per le esigenze di “letterarietà” delle intenzioni – non sono sufficienti per reggere la scarsa consistenza del testo. Le storie faticano a trovare un senso, a volte una giustificazione, mentre i personaggi raccontati non riescono mai ad acquisire uno spessore. Il messaggio che Luciano Ligabue riesce a veicolare con i testi della sua musica, quando passa attraverso i racconti non riesce a configurarsi, sia per la maggior complessità insita nell’atto del narrare, sia per l’assenza dell’atmosfera necessaria a sostanziare un significato d’insieme.

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«Chiudo la zip del giubbino. È in pelle rovinata. Mi piace perché fa pendant con la mia. Tutto il resto mi è largo. Scarpe, calzini, calzoni, maglietta, maglione. Tutto largo. Avevo bisogno di spazio. Ma in quello spazio si infila più agevolmente il freddo blu di questo novembre. Freddo secco. Cielo terso. Cosa c’entrano con noi a novembre? Dov’è finita la nebbia?

E se anche le stelle non sono ancora cadute vedrete che nei prossimi tre minuti ne sfrecceranno almeno un paio ma, se così non fosse, tutto sommato possono pure stare ferme, se vogliono.
Che siamo più sicuri.
Perché, a conti fatti, mamma e papà, volevo dirvi che me lo merito questo mondo.
E addirittura, forse, lui merita me».

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Naturalmente, la casa editrice Einaudi continua a fare da braccio armato al brand Luciano Ligabue, che però ha perso lo smalto potenziale che i suoi illustri promotori intravedevano più di quindici anni fa. I tempi sono irrimediabilmente trascorsi, i mutamenti hanno travolto, e l’intento iniziale ha perso senso. Con la successiva raccolta di racconti Scusate il disordine, pubblicata nel 2016 nella collana “I coralli”, troviamo un esercizio narrativo simile a quello di tanti autori che stentano a trovare visibilità e non godono dei privilegi di una rock star. «Amore, sesso e musica sono le tre emozioni che saldano la partitura immaginifica di questi racconti folgoranti e misteriosi», scrive l’editore. Ritenendo qui superfluo analizzare l’opera, e mancando qualsiasi indicazione critica, ci limitiamo a riportare – senza interventi redazionali – i giudizi che i lettori hanno lasciato sulla pagina di vendita di Amazon:

Libro impeccabile: ogni singolo racconto è una scoperta del lato sensibile di questo fenomenale artista poliedrico.
I racconti sono stupendi, la particolare rilegatura gli dona un aspetto piu “intimo” e gradevole.
Il libro è stato letto anche da mia mamma (MOLTO più obbiettiva di me) e l’ha trovato altrettanto bello.
CONSIGLIATISSIMO a tutti i fan e non fan di Luciano.

*Un buon libro è sempre utile invece di perdersi nell’utilizzo dei social.
L’autore poi è una garanzia di qualità! Consiglio l’acquisto per l’ottimo prezzo proposto e per i tempi di consegna rapidi grazie ad amazon Prime!

*Ho acquistato questo libro sotto consiglio di un’amica che ama moltissimo Ligabue, ero un po’ scettico sul Liga scrittore anche perchè non ho avuto mai modo di leggere altre sue opere, ma alla fine mi sono convinto, d’altro canto compone delle bellissime canzoni. Non me ne sono pentito belle storie

*A me è piaciuto. È carino, le storie un po’ strane ma al tempo stesso intriganti. Liga scrive col suo solito modo diretto, lineare, senza troppi fronzoli. Da leggere.

*Scusate il Disordine…Libro carino a me è piaciuto…letto in pochi giorni…Storie strane ma che ti Emozionano, ti intrigano…Fra’ Fantasia e Realtà… Liga non si smentisce mai…Spedizione perfetta…Grazie…

*Premetto che a me piacciono molto i libri di racconti.
La scrittura di Ligabue è asciutta diretta lineare. Le trame sono varie ed alcune fantasiose ma non strampalate.
Fanno meditare.

*Per me che sono fan di Luciano Ligabue da quando sono bambino era impossibile non completare la mia collezione con uno dei suoi libri

*Un libro piacevole e interessante, che si legge d’un fiato.
Gli appassionati di Ligabue, in particolare, ritroveranno tantissimi riferimenti alle canzoni più o meno datate. Consigliato.

Paolo Ferrucci

 

Gruppo MAGOG