«Le indagini annuali dell’Istat ci dicono infatti che gli italiani che dichiarano di aver letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi sono oltre venti milioni: non proprio “una nicchia”… E se aggiungiamo anche la lettura dei manuali e delle guide turistiche – che sono libri a tutti gli effetti – a leggere libri risulta essere la maggioranza degli italiani, oltre il 60%».
(Giuseppe Laterza, La Repubblica, 28 settembre 2023)
Questa affermazione, che ci ha fatti scoppiare in risate che non finivano più, al punto da doverci calmare con abbondanti bicchieri d’acqua, si trova in un articolo del presidente della gloriosa casa editrice Laterza – che non necessita di presentazioni – intitolato “Basta catastrofismi, l’Italia è un Paese per lettori di libri”. Lo spunto per questa intemerata è arrivato da un caustico editoriale apparso sulla testata online Linkiesta – addirittura, come se si trattasse di chi sa quale intervento di peso – in cui si dice, fra le altre cose,
«i libri sono ormai un prodotto di nicchia non dico quanto le carrozze a cavalli, ma quasi. I libri non contano niente. I libri non li legge nessuno. (Questo è il punto in cui quelli dell’industria editoriale mi spiegano che è fiorente, che fattura tantissimo, che i fumetti e i libri di ricette vanno fortissimo e li candidiamo pure allo Strega)».
Apriti cielo: è bastata questa provocazione, peraltro non lontana dalla realtà, per spingere un personaggio come Giuseppe Laterza ad aprire l’articolo su Repubblica citando proprio la frase incriminata, per annunciare che la discussione partita da quell’editoriale «proseguirà il 3 ottobre nella sede romana della casa editrice, in un incontro promosso insieme al Forum del libro, l’associazione che comprende librai ed editori, bibliotecari e insegnanti, giornalisti e ricercatori. Ma come mai periodicamente qualcuno profetizza la scomparsa o l’irrilevanza dei libri?». In pratica, una chiamata alle armi collettiva, con ufficiali, sottufficiali, equipaggiamento e tutto. Da parte nostra troviamo comprensibili le ragioni di chi non vuol rassegnarsi all’idea che il declino della lettura in Italia sia costante e irreversibile, ma il vero problema non sta lì, risiede piuttosto nelle argomentazioni che Giuseppe Laterza sciorina nell’articolo senza accorgersi di quanto siano velleitarie e ingannevoli, al punto da sfiorare il ridicolo. E questo stupisce parecchio.
Il quadro che esce dalla discussione pubblica sull’argomento, lamenta Laterza, sarebbe «quello di un Paese abitato in maggioranza da persone incolte e governato perlopiù da persone indifferenti alla cultura»: sappiamo che purtroppo è così, ma lui contesta fermamente questa visione, dicendo che «tutti i dati smentiscono questo quadro desolante». Bene, e quali sarebbero tutti questi dati? E qui arriva la cannonata che vorrebbe metterci a tacere, ma riesce solo a far sbellicare: «Le indagini annuali dell’Istat ci dicono infatti che gli italiani che dichiarano di aver letto almeno un libro negli ultimi 12 mesi sono oltre venti milioni: non proprio “una nicchia”… E se aggiungiamo anche la lettura dei manuali e delle guide turistiche – che sono libri a tutti gli effetti – a leggere libri risulta essere la maggioranza degli italiani, oltre il 60%».
Ora, non ricominciamo a ridere ma calmiamoci, respiriamo, sediamoci e proviamo a riflettere. Innanzitutto, come spesso accade, quando si vuol dar peso alle proprie affermazioni si citano “le indagini dell’Istat”, secondo le quali sono venti milioni “gli Italiani” (già con il maschile sovraesteso Laterza sta rischiando: dimentica che a leggere sono soprattutto le femmine?) che “dichiarano” di aver letto almeno un libro all’anno. Dichiarano, si badi, anche se la prova che un libro l’abbiano effettivamente letto non c’è. Quante sono le persone che, intervistate per l’indagine, direbbero senza vergognarsi di non leggere mai niente? Queste persone esistono, ma esistono anche quelle – non sappiamo se in maggioranza – che si spacciano come “minimamente lettori” per non fare brutta figura. Quindi si dovrebbe iniziare a fare chiarezza, senza abbandonarsi alle illusioni. Da quei “venti milioni” si potrebbe provare a toglierne dieci, così ne resta la metà. Dieci milioni di persone che realmente leggono “almeno un libro all’anno” possono dividersi fra quelli che con un solo libro si sentono a posto e quelli che invece amano leggere sul serio, i quali a loro volta si possono distinguere fra chi si spara un libro al mese e chi ne divora fino a due alla settimana. Dunque, in Italia quanti possono essere questi lettori, intendiamo quelli forti, che il libro lo praticano davvero? La cifra più verosimile, ricavata proprio dai dati Istat, dovrebbe attestarsi fra il sei e il sette per cento della popolazione, che già sarebbe un dato congruo.
La cosa esilarante è l’arrampicata sugli specchi di chi spinge a includere nella categoria quelli che leggono guide turistiche e manuali di vario genere: allora perché non aggiungere anche chi legge i libretti di istruzioni degli elettrodomestici? E quelli che quotidianamente leggono in Rete gli articoli più disparati, non sono un esercito? Vogliamo metterci anche loro? Qui, spiace dirlo, stiamo rasentando la farsa. Sappiamo che su Repubblica si può trovare quasi ogni giorno qualche cantonata – come in questo caso –, ma la sparata del “sessanta per cento” di lettori italiani mette tristezza, perché sembra di essere di fronte a forzature visionarie che non promettono nulla di buono. Ancora peggio il seguito del ragionamento:
«Certo, gli italiani leggono meno che in Germania o in Svezia – dove i lettori di libri sono più del 70% della popolazione –, ma sono quattro volte superiori a quanti erano solo sessant’anni fa, quando leggeva libri appena il 16% degli italiani. E gli acquirenti di libri non sono meno dei fruitori di cinema, teatro, musica e musei, tanto che se guardiamo al fatturato, quello del libro, con un venduto superiore a tre miliardi di euro, è tra i più rilevanti mercati culturali del nostro Paese».
Il fatto che in Germania e in Svezia i lettori di libri siano più del settanta per cento sgomenta se raffrontato alla nostra realtà, che resta asfittica e drogata. Drogata innanzitutto di cifre, sia da chi vorrebbe infilare nella statistica anche i lettori di manuali e guide, moltiplicando per dieci la vera percentuale dei lettori degni di questo nome, sia da chi preferisce sorvolare sull’iper-produttività tossica dell’industria editoriale, costretta a far girare una macchina elefantiaca che spara fatturato senza rallentare, per non soccombere all’indebitamento eccessivo. Realtà che è drogata anche nella qualità dell’offerta, al punto che Giuseppe Laterza si compiace di precisare, in senso positivo, che «i maggiori lettori di libri sono giovani. La percentuale più alta di lettori infatti si ritrova nelle classi di età dai 15 ai 25 anni: non per caso l’anno scorso il libro più letto è stato Fabbricante di lacrime di Erin Doom [un’italiana che si chiama Matilde, già vista a pavoneggiarsi nel programma tv di Fabio Fazio, NdA], parte di una letteratura cosiddetta young adult che ha giocato un ruolo importante nel boom delle vendite di libri durante il lockdown, altro fattore positivo e per nulla scontato».
Ecco, qui l’aberrazione dello sguardo è evidente, come se un miope avesse inforcato occhiali da presbite. Provare sollievo perché i lettori di libri sono soprattutto ragazzini, che si cibano di letteratura fantastica, significa ignorare – colpevolmente – il fatto grave che gli adulti e maturi, quelli che devono portare avanti il Paese col lavoro ed essere classe dirigente con la giusta visione, leggono sempre meno o non leggono affatto, e così non alimentano la loro capacità di essere guida di sé stessi, dei propri figli e delle organizzazioni che dirigono.
Com’è possibile che il padrone-simbolo di una delle nostre imprese culturali più importanti – i cui libri popolano la casa di chi scrive – affronti la questione in modo così superficiale? Solo per poter ribattere a un pezzo caustico apparso su una testata online che lo ha irritato? L’irritazione è comprensibile, ma meno comprensibile è la narrazione propagandistica con la quale si vuole reagire. L’unica cosa veramente fondata che si legge nell’articolo di Giuseppe Laterza è che non si può assumere la presenza di un libro nella classifica dei più venduti – già drogata di suo – come unico criterio per misurarne la fortuna. La vera fortuna dei libri che non sono best-seller è essere long-seller, e qui anche la saggistica può avere un ruolo. «Come valutare – per fare solo un esempio – la Storia delle donne che noi progettammo negli anni ’90 con Michelle Perrot e Georges Duby e che – pur non essendo mai andata in classifica – ha venduto a oggi quasi 300mila copie? Certo, se il successo di un libro si misura in giorni o settimane allora i libri saranno sempre sfavoriti rispetto ad altri media. Un tweet o un post saranno sempre in vantaggio su un libro: un vantaggio fatto di attimi di attenzione, seguiti spesso però da rapido oblio».
Sia lode ai long-seller, dunque, perché dimostrano di avere il nerbo e la sostanza di qualcosa che s’innesta e s’incorpora nella consapevolezza del corpo sociale. Ma con le epoche che si stanno rincorrendo velocemente siamo in un ritardo cronico, e con la classe dirigente che ci troviamo –soprattutto in campo culturale e politico –, fatta di matusa e di adulti ben “integrati”, difficilmente questo verrà recuperato. Serve a poco l’affermazione di Marino Sinibaldi, vecchio patron di Radio 3 e presidente del Centro per il libro e la lettura, secondo cui i libri sono vivi e vitali grazie alla «autorevolezza e sacralità che sopravvive a ogni rivoluzione tecnologica». Questi sono pensieri e convinzioni del novecentesco che resiste – comprensibilmente, perché deve resistere –, ma i dati paiono indicare un’altra direzione. In più, continuare a chiedere alla politica di “investire nella diffusione dei libri nella scuola, nelle biblioteche, nelle librerie”, come si legge di solito, difficilmente porterà frutti: sono la stessa complicità dei media, la sudditanza di molto giornalismo culturale, l’inevitabile sottomissione alle logiche economico-reddituali, la spinta inarrestabile verso la semplificazione e le convenienze immediate, la voracità delle librerie di catena ad alimentare il malanno complessivo. Con tutti gli effetti collaterali che ciò comporta. Per salvarci, allora, affidiamoci alle vendite della chick-lit, del romance, del young adult, del gender-novel, e anche dell’autofiction, del partenope-noir, dell’hard fantasy e soft fantasy, del graphic novel, comic, manga, travel guide, self-help, how-to, pet love.
Paolo Ferrucci