13 Febbraio 2024

“Tacete, o maschi”. Letteratura, scuola, genere

A metà del 1300 una poetessa marchigiana scrive un sonetto dall’incipit: «Tacete, o maschi». Di questo gli attuali manuali di letteratura italiana non parlano. Eppure la critica letteraria del passato si è occupata di lei e di altre poetesse antiche. Certo, in questa scomparsa c’entra il cosiddetto canone, cioè la classifica di chi rimane e di quelli su cui si può sorvolare. Ma andiamo per ordine. L’argomento di questo articolo è il rapporto tra letteratura, scuola e genere.

Giorni fa Lorenza Pieri e Michela Volante hanno scritto un articolo sul “Post” dal titolo grezzo ed efficace Storia tossica della letteratura italiana. La loro tesi è a grandi linee la seguente:

a. nella storia letteraria nazionale ci sono più autori uomini che autrici donne e ciò rispecchia nelle opere della tradizione un punto di vista maschile;

b. frutto di questa storia letteraria sono le convenzioni contemporanee che relegano la donna ancora a un ruolo subalterno, perché nelle scuole si insegna questo.

Sul primo punto, capite bene che da uomo che scrive ho già su di me – stando a un certo punto di vista – uno stigma; del resto però sono secoli che, come genere, la faccio da padrone; personalmente qui sento una responsabilità che diventa anche sociale.

Sul secondo punto forse le due autrici affidano un potere troppo elevato alla letteratura e alla sua influenza sulle giovani menti. Sarebbe bello, ma oggi mi pare ci sia ben altro che contamina ragazze e ragazzi. Tik Tok ha circa 1 miliardo di utenti nel mondo e circa 20 milioni in Italia. Facebook ha circa 3 miliardi di utenti, il 40% della popolazione mondiale. In Italia sono circa 36 milioni, cioè il 61,8% della popolazione nazionale. Ogni giorno della nostra esistenza passiamo, in media, quasi 40 minuti su questi social, dove troviamo pagine come “love-coach.online” in cui si invitano i giovanotti, i maschi, alla “riconquista strategica” della femmina perduta, con varie tecniche a cui lei non potrà dire di no…

Cristofano Allori, Giuditta con la testa di Oloferne, 1613 ca.

Proprio su facebook in favore e contro le due scrittrici si sono sollevati giudizi di varia natura. C’è chi le idolatra come paladine della rivincita femminile sul patriarcato in letteratura; c’è chi le accusa di cavalcare l’onda, ideologicamente diffusa, della cancel culture. Entrambe le posizioni sembrano esasperazioni con poco costrutto.

Diciamo che un tema attuale è l’uso provocatorio che si fa della letteratura per sollevare la problematicità dell’educazione scolastica. E cioè le questioni affettiva, relazionale, sessuale che i ragazzi si trovano di fronte crescendo alla vita sociale. L’argomento è impegnativo e interessante, perché una cosa è trattare la letteratura per i ragazzi delle superiori, altra cosa è gestirla all’università o nel mondo limitato numericamente di scrittori e critici – senza dubbio il carico razionale ed emotivo è differente (sempre tenendo conto di quanto oggi ragazze e ragazzi possano essere poco coinvolti dalla letteratura). In molte università angloamericane, il “movimento” decostruzionista chiede di emendare i testi dai loro passaggi meno politicamente corretti, e alcuni anche in Italia chiedono di «detossicizzare» la letteratura nazionale.

Pare ovvio che se dovessimo cominciare a ragionare puntualmente, dovremmo separare i vari argomenti e non confondere i piani. Una cosa è la critica letteraria e l’ermeneutica che si dispongono per studiare la letteratura, con tutti i distinguo linguistici, filologici, storici, filosofici, ecc. Altra cosa è insegnare, anche attraverso la letteratura, ai giovani studenti ad avere un ruolo nel mondo, a comportarsi bene, in modo etico. E distinguere significa anche fare ordine, fare chiarezza, presentare esempi in maniera congrua. In questa direzione provo a fare alcuni esempi che credo puntualizzino meglio ciò che Pieri e Volante hanno suggerito in maniera semplificata.

Partiamo subito da alcune considerazioni su due personagge letterarie, Beatrice dell’Alighieri e Lucia del Manzoni, che secondo Pieri e Volante «sarebbero troppo sottomesse».

1. Se guardiamo alla Commedia dantesca, Beatrice salva Dante, lo conduce in Paradiso (nel momento in cui egli è il rappresentante di tutta la razza umana), perché è la donna che salva l’umanità intera. Non è un caso che la parola donna derivi dal latino domĭna, cioè signora. In francese si dice femme, in rumeno femeie (cioè femmina), in spagnolo mujer, parola prossima al concetto di moglie. Sono stati gli stilnovisti a introdurre nella lingua italiana la parola donna, col significato di signora dotata di nobiltà interiore e di potere sugli uomini;

2. Pensiamo a Lucia nei Promessi Sposi: c’è un riccone, rapace, bullo, un uomo temuto al quale nessuno osa contrapporsi. E poi c’è questa ragazza di umili origini, semplice, che lo rifiuta, che si nega pervicacemente all’assedio del maschio potente: Lucia dice NO. È la forza d’animo di Lucia, la sua volontà di non arrendersi che alla fine vincono.

Beatrice e Lucia non sembrano esempi di figure femminili sottomesse o sconfitte. Così come Leonora della Genga, intorno al 1360, non ebbe remore a scrivere il sonetto che ho citato all’inizio:

Tacete, o maschi, a dir, che la Natura
A far il maschio solamente intenda,
E per formar la femmina non prenda,
Se non contra sua voglia alcuna cura.

Qual’invidia per tal, qual nube oscura
Fa, che la mente vostra non comprenda,
Com’ella in farle ogni sua forza spenda,
Onde la gloria lor la vostra oscura?

Sanno le donne maneggiar le spade,
Sanno regger gl’Imperi, […]

Già questo pezzo può bastare per dimostrare il piglio col quale questa poetessa del Trecento avoca a sé la poesia, contro il potere maschile in letteratura e non solo. E insieme a lei ci sono altre poetesse marchigiane, come Ortensia di Guglielmo, Livia da Chiavello, Giovanna d’Arcangelo di Fiore da Fabriano, Elisabetta Trebbiani. Cinque autrici dell’epoca in cui Petrarca imperava. Egli stesso sembra aver intrattenuto una corrispondenza con Ortensia di Guglielmo: pare che i due si scrivessero in sonetti. Prima di loro, intorno al Duecento, c’erano state Compiuta Donzella e Nina Siciliana. Tutte queste poetesse scrivevano dell’affermazione di un’io femminile in materia amorosa, come soggetto decidente e contro le imposizioni familiari nel matrimonio.

Altre autrici che rivendicano il diritto femminile in letteratura ci sono anche durante il periodo successivo dell’Umanesimo e del Rinascimento, come Isotta Nogarola, Laura Cereta e Cassandra Fedele. Purtroppo vi sono alcuni detrattori maschi, soprattutto critici e accademici di Sette e Ottocento. Altri invece le lodano. Ma il ragionamento si farebbe troppo complesso per affrontarlo qui. Dovremmo ricostruire il reale portato delle opere di queste poetesse sul loro tempo, la loro fortuna e qualità e quantità delle loro produzioni.

Il punto è che la letteratura non può essere una formula chimica in cui si sintetizzano insieme tutti gli elementi, perché altrimenti si rischia che la semplificazione finalizzata al sostegno di una tesi precostituita porti fuori strada. Ma c’è una cosa ben più importante. È il fatto che le semplificazioni di alcune opere letterarie o dei loro personaggi (Beatrice e Lucia, come abbiamo visto) riducono la letteratura stessa a uno stato monodimensionale, cioè a una storia letteraria mera produttrice di maschere, di soggetti, di sinossi. Come se opere centrali della letteratura nazionale fossero soltanto compendii di aneddoti, alla stregua di fotoromanzi o serie tv e non soprattutto stile, forma, cioè un lavoro continuo di autore in autrice, di opera in opera nella sperimentazione e nella continuità della scrittura. La letteratura non è soltanto ciò che dice, ma soprattutto come lo dice.

Facciamo un altro esempio, relativo al ristretto dualismo della donna vista come «angelo puro o subdola tentatrice». Prendiamo il movimento letterario degli stilnovisti. La vulgata corrente è che la donna dello Stilnovo sia angelicata, stop. Invece nello Stilnovo (e poi in Dante, che fa parte di quel movimento letterario) la donna è rappresentata sotto varie figure (mito che evoca un’età dell’oro primordiale, bellezza fisica di perfezione umana concreta, ruolo di scelta e dunque di giustizia – per dire) che non esprimono tanto la realtà del tempo, quanto il dettato del movimento poetico suddetto, che vorrebbe portare a “trasumanare”. Verbo che esprime certamente un lato metafisico, ma che bisogna agganciare al suo contesto: si deve pur comprendere che all’epoca la religione era la regola quotidiana della concreta esperienza umana. Non tenerne conto significherebbe ignorare il contesto delle varie epoche storiche. Come dire: fare di tutto il passato un’enorme narrazione tipo Ritorno al futuro o qualcosa del genere.

Ma anche se volessimo limitarci a una letteratura meramente funzionale all’insegnamento (come se gli autori del passato avessero scritto solo per i nostri studenti attuali), proprio studiare bene lo Stilnovo fa capire cose fondamentali sulla centralità della donna. Poiché è solo attraverso la figura della donna che il mondo intero può migliorare e abbandonare un comportamento ferino. Analizzando a fondo lo Stilnovo sarebbe dunque ingiusta la sentenza che dice: «le donne sono entità astratte, meglio se sono morte».

Non è un caso se, in un passaggio del loro articolo Pieri e Volante scrivono: «certo, la realtà dei testi e del loro contesto sarebbe più complicata di così» – intendono più articolata, più ricca. In forza di questo, al fondo dell’articolo in questione mi pare ci sia un’idea povera di letteratura e soprattutto non c’è la complessità con cui essa andrebbe letta. Infatti le opere letterarie non si riducono alla storia o all’intreccio. Bisogna anche osservare come i personaggi sono introdotti, evocati e fatti agire nel testo, e il tipo di relazioni che instaurano con altri personaggi. Cioè tutto ciò che non si riduce a una semplice aneddotica, e che fa della letteratura, appunto, la letteratura.

Artemisia Gentileschi, Giuditta che decapita Oloferne, 1620 ca.

Inoltre non sembra che al giorno d’oggi le persone imparino i comportamenti sentimentali dai classici della letteratura. Non ci sono forse altri esempi più energici?

Ma se anche avessimo soltanto le opere letterarie come esempi di condotta esistenziale davvero si fa ciò che si legge? Leggo Jacopo Ortis e tento di suicidarmi? Leggo Lo straniero e ammazzo un arabo? Leggo Christiane F. e comincio a farmi di eroina?

Un romanzo non è esclusivamente la sua trama, perché non sarebbe più letteratura, ma una pagina di wikipedia tradotta alla coscienza di chi legge come un ordine. Allora forse l’obiettivo di chi ritiene la letteratura italiana un atlante di opere da rendere meno “tossiche” per le nuove generazioni non è discutere di letteratura, ma di educazione di genere anche attraverso comportamenti e opere di secoli addietro. Cioè un uso strumentale della letteratura per parlare di trasmissione di modelli culturali nella scuola. Questo però non aiuta a capire cosa vorrebbe dirci il mondo del passato attraverso la letteratura. E i docenti a scuola (al di là delle opere) dovranno pur avere una funzione di portatori di dialogo, discussione, inquadramento storico, insegnamento della comprensione cosciente dei testi e della ricchezza lessicale della lingua. Perché forse, mettendo infine da parte la letteratura, le istituzioni scolastiche non dovrebbero essere tribunali sociali, razziali o di genere. Quindi, se può servire ragionare a fondo di che cosa e, soprattutto, di come insegnare alle scuole superiori, resta il fatto che siano estremamente discutibili certe posizioni che decretano una visione riduzionistica della letteratura a mero compendio di raccontini morali.

Alessandro Agostinelli

(Segnalo che per comporre questo articolo ho usato alcuni spunti rintracciati in scritti di Mercedes Arriaga Flórez, Alberto Casadei, Adriana Cavarero, Daniele Cerrato, Gabriele De Angelis, Marzia Maestri, Chiara Mercuri, Guendalina Miffei, Chiara Savettieri)

*In copertina: Trophime Bigot, Giuditta che decapita Oloferne, 1640 ca.

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