17 Giugno 2020

Altro che “stucchevoli pastorelle” e “oneste galline della letteratura popolare”: i romanzi rosa sono bellissimi. Qualche esempio

“Sono solo romanzetti”: così viene per lo più, sbrigativamente, liquidata la letteratura rosa. E invece no: Patrizia Violi, con la Breve storia della letteratura rosa (Graphe.it, 2020), ci fa scoprire tutta la complessità di un genere considerato di serie B, quando non di serie Z. Ma il romanzo rosa (che solo in Italia si chiama così) non è un sottoprodotto editoriale; anzi, molto probabilmente anche chi storce il naso almeno un romanzo rosa l’ha letto, e per giunta di un autore tutt’altro che oscuro: Pamela, o la virtù premiata, pubblicato nel 1740 con enorme successo, è quello che, storicamente, viene riconosciuto come il prototipo di questo genere. L’autore, Samuel Richardson, prima di diventare famoso era un tipografo con un talento per la scrittura di missive: ragion per cui due amici librai, dice la leggenda, gli chiesero di scriverne una serie per un volume intitolato Lettere familiari, una sorta di manuale pratico di comunicazione domestica. Alla centotrentanovesima lettera, intitolata Un padre alla figlia che è a servizio, avendo saputo che il padrone ha attentato alla sua virtù, Richardson si distrasse dal progetto iniziale, e decise invece di approfondire la psicologia della ragazza insidiata, scrivendo un romanzo su un tema delicato e all’epoca assai sentito. Così, proprio grazie all’escamotage delle lettere, Richardson riuscì a descrivere i sentimenti più intimi della servetta. Certo, non era quello il primo romanzo moderno: Defoe aveva già scritto Robinson Crusoe (1719); Moll Flanders (1723) e Lady Roxana (1724), ma Pamela era il primo tentativo di rivolgersi a un pubblico soprattutto femminile, facendo dell’amore l’ingrediente principale della storia. Storia la cui protagonista, proprio come Cenerentola, passa le giornate a pulire e rassettare; tuttavia, non ci sono matrigna né sorellastre all’orizzonte, ma solo un maturo gentiluomo che vorrebbe farla sua. La giovane resiste e difende il suo onore, e lo fa tanto bene che, alla fine, riesce a farsi sposare dal suo focoso, e facoltoso, ammiratore; e da umile servetta si troverà a vivere non solo felice e contenta, ma anche ricca. La storia di Pamela è il modello di ogni romanzo rosa, per oltre duecentocinquant’anni: è in fondo la storia su cui si basa Elisa di Rivombrosa, la fiction record di ascolti fra 2003 e 2005; e pensare che la produzione venne bloccata due volte, perché si credeva che le storie in costume non ‘tirassero’ più!

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Nel XIX secolo, in Italia, il romanzo rosa si identifica con Carolina Invernizio: esordisce nel 1877, in età umbertina, ma la sua carriera arriva sino agli anni Dieci; ella ebbe un paio di intuizioni: rendere più pepato il romanzo con elementi cupi, paurosi, e con personaggi diabolici al confine dell’horror; e, soprattutto, demandare lo scioglimento della vicenda alle alleanze femminili, che travalicano i confini sociali e generazionali: la servetta viene salvata dalla padrona, la nipote dalla zia, e così via. Come sottolinea Sveva Casati Modignani (pseudonimo di Bice Cairati) C. Invernizio fu la prima a dimostrare quanto sia importante che le donne si aiutino e si sostengano, con buona pace degli intellettuali snob che la svillaneggiavano (addirittura fu detta “onesta gallina della letteratura popolare”).

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Ma il romanzo sentimentale, nell’Italietta anni Trenta e poi nei decenni a venire, porta il nome di Liala, che tutto giustifica in nome della passione, e le cui narrazioni sono null’altro che l’eterna ripetizione della sua vicenda amorosa personale (sposata con un marchese, lo lasciò per un bell’aviatore, ma poi, dopo la morte dell’amante, tornò dal marito e dalla figlia). Le sue eroine hanno fatto sognare le ragazze dell’Italietta del Ventennio, e oltre: in una nazione in cui ancora la povertà era tanta le condizioni igieniche precarie, Liala faceva sognare con i suoi scenari che raccontavano di ricchezza e lussi eleganti; e poi, come si compiaceva di dire, in una nazione in cui l’acqua corrente in casa non era ancora universalmente diffusa, le sue storie hanno insegnato agli italiani anche a fare frequente uso del sapone.

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Acquose e anodine sono invece le trame dei romanzi di Barbara Cartland, la regina inglese del racconto d’amore, morta centenaria nel 2000, dopo decenni passati a vestirsi di rosa e truccarsi come una Barbie che non si arrende al tempo, e a spargere perle di saggezza come: “Non cercare l’amore, sarà l’amore a trovare te”; “Non arrenderti mai; il vero amore può essere dietro l’angolo”. La Cartland, che fu nonnastra di Lady D (la figlia Frances sposò in seconde nozze Lord Spencer), contribuì del resto ad infarcire la testa della prima consorte di Carlo d’Inghilterra di fantasie sentimentali che cozzarono clamorosamente contro le aride regole del protocollo della famiglia reale.

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Per le italiane, oltre a Liala, il romanzo rosa portava il nome di Delly (pseudonimo di due fratelli francesi) e di Brunella Gasperini, giornalista che per prima portò nel genere rosa istanze sociali, anticipando Sveva Casati Modignani. Ma per noi che siamo state adolescenti negli anni Ottanta-Novanta, romanzo rosa è sinonimo di Harmony, quei romanzi venduti nelle edicole, suddivisi per argomenti segnalati dal colore (bianco, amore in ospedale, fra medico e infermiera, o fra paziente e fisioterapista, un grande classico; verde, avventure nella natura, con la bella di turno proprietaria terriera o ereditiera inesperta e il suo virile vicino; rosso, con storie che viravano verso l’audacia della passione). Romanzi ingiustamente tacciati come ‘lessa-cervello’, come diceva un mio collega, ma che invece sono scritti in un italiano pulitissimo, e che la Harlequin, la casa editrice, pubblica solo dopo aver sottoposto gli aspiranti autori (sì, ci sono anche uomini!) a un adeguato corso di formazione. E un analogo corso per aspiranti scrittori del genere rosa è proprio lo scenario del godibile Romanzo rosa, di Stefania Bertola (Einaudi 2012, rist. 2020). E se non lo sapeste, gli Harmony vendono ancora tantissimo, soprattutto in e-book, in modo tale che la distinta professionista o bancaria che in metro lo legge su tablet non sia esposta alla riprovazione che ancora tocca alle appassionate del genere.

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Né mancano ormai gli epigoni del genere, da Helen Fielding, con la sua Bridget Jones – che rivitalizza il mito di Elizabeth Bennet e di Mr. Darcy –, alle ragazze di Sex and the City (che personalmente, nonostante la mia rifornitissima scarpiera, mi sono sempre state abbastanza sulle scatole), sino alle fantasie fra il vampiresco e il voyeuristico di Stephanie Meyer con la saga di Twilight, vietatissima agli over 18: perché, diciamocelo, quale donna sana di mente e di corpo si sdlinquirebbe per Edward Cullen, questo vampiro anemico – è il caso di dirlo – e senza sostanza, quando potrebbe scegliere il più corposo amico licantropo (lui sì che fa sangue)? Solo una adolescente un po’ stordita come Bella Swann, in effetti.

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Ma quali sono gli antesignani del romanzo rosa? Dobbiamo risalire per questo non ai patres Romani, ma al mondo greco, che conobbe una bella fioritura di romanzi di intrattenimento, incentrati sulle avventure di una coppia di giovani bellissimi separati da peripezie indicibili, che si concludono con l’immancabile lieto fine, coronato dal matrimonio. Questa letteratura rosa ante litteram fu bersaglio anche in anni recenti di giudizi critici sferzanti: uno di questi, su una delle Storie della letteratura greca più diffuse, a opera di un grecista di grande fama, a proposito del più gradevole di questi romanzi, le Avventure pastorali di Dafni e Cloe, afferma, testualmente: “L’azione ristagna in stucchevoli pastorellerie, in ingenuità da deficienti”. In fondo, non sarei così severa: che cosa c’è di male nel rifugiarsi un po’, in ogni tempo e in ogni luogo, nella favola? E a proposito di luoghi, sapete quali sono le città più ‘rosa’ d’Italia? Nella classifica, stilata da Amazon, delle città dove maggiormente vendono i romanzi d’amore, figura stabilmente al primo posto la nordica Bolzano, seguita da Como, Trieste, Vicenza, Milano, Lucca, Verona, Trento, Pavia e Padova. Insomma, c’è sete di Rosa fra le brume del Nord.

Silvia Stucchi

*In copertina: John William Waterhouse, “La Belle Dame Sans Merci”, 1893

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