04 Gennaio 2021

Leggete Letizia Dimartino. Sembra uscita dalle pagine della Milano di Buzzati, ha inaugurato un nuovo canone

Ho scritto di lei in altre circostanze. Letizia Dimartino è siciliana. E sono convinta che abbia inaugurato un nuovo canone. Una poetica della memoria assolutamente inedita. Ed è quel che mi colpisce di questa autrice, signora dal volto elegante e innocente, che sembra appena uscita dalle pagine della Milano di Buzzati; di una certa borghesia colta ed emancipata, da una parte, dall’altra rigorosa e salda come un tronco di ulivo lungo il ciglione delle mulattiere iblee. Letizia scrive in un tale frammezzo, la sua terra e la memoria, i viaggi, la metropoli lombarda, l’Italia del cambiamento antropologico, il boom, le rivoluzioni femministe, l’Italia degli anni ’70, dei film di Claude Lelouch.

Mi fa specie che questa donna, scrittrice che ha concepito il canone di una memoria senza paradigmi già presi in prestito da altri, non abbia il pubblico di lettori che le spetta. Nella sua Sicilia, spalancata sulle campagne ragusane, sul cielo maestoso e di un azzurro vitreo lanciato sulla cima del vulcano, si snoda la sua lingua letteraria, dentro non troviamo la ruffiana abitudine di una autorialità da bookstore; non troverete la Sicilia che non esiste delle boccamurate e delle marianne ucria. La Sicilia del gadget miserrimo, il più abbordabile e infedele.

È interessante che Letizia faccia tutto questo costruendolo sic et simpliciter in piccoli post su facebook. Cioè il canone di questa scrittrice è verificabile nei post che quotidianamente pubblica sui social. Inchiodata al letto, crocifissa, riassume decenni, lei scrive “anni chiusi dentro stanze”. Riassume la storia di un paese. I viaggi nelle berline, le trazzere, lo stretto, le stazioni. La colonna sonora di un tempo, di un film, di un modo persino di amare. Abiti, tessuti, profumi. Mani che stringono altre, sussulti che si stagliano prossimi a qualcosa di vissuto.

Questa è Letizia.

Oggi torno a scrivere di Letizia perché vorrei che di lei si occupassero critici, recensori, che se ne occupassero insomma anche altri. È uno di quei talenti poco conosciuti che bisogna invece recuperare, riscattare ancor meglio.

La sua vita è abbastanza confacente a una scrittrice, costellata da folgorazioni e dolore. Il dolore è l’illuminazione e il genio di Letizia. Deve rinunciare a una vita, ma ne raccoglie un’altra, grandiosa, da letterata. Immobile in un letto, colpita dal male, ma splendida, lei stessa illuminata. Vorrei che scrittori, giornalisti, editori, si occupassero di lei.  È stato appena pubblicato il suo romanzo memoir Tutta mia la città ovvero dalla Marina a beddio (Archilibri). Ancora una volta riferisce di un Paese e del secolo che abbiamo lasciato, un piccolo tragico mondo antico, con voci che si perdono lungo mulattiere impervie arrampicate sugli Iblei, la Vallata che precipita nei declivi di minuscoli universi rurali, presepi di uomini sconfitti da una sicilianità da cammeo. E poi il paese per intero, i viaggi lungo lo Stivale, la Milano degli anni di piombo, Capri e Sorrento, gli alberghi, le terrazze sul mare e balaustre di bouganville, le ceramiche, le caramelle con la carta azzurrognola, salotti borghesi e profumi dolciastri al collo di signore distinte. Letizia Dimartino ha una sicilianità fortissima, una scrittura evocativa e potente. Bisogna leggerla.

Veronica Tomassini

Gruppo MAGOG