Nell’estate del 1945 la Seconda guerra si spengeva in un torbido tramonto e un ragazzo di vent’anni era all’alba della fama. Da un paio d’anni aveva preso a scrivere racconti. La formula più facile per fare successo. Nell’estate del 1945, in giugno, il ragazzo dalla faccia di Dioniso malato, Truman Capote, pubblica sulla rivista femminile Mademoiselle – nata dieci anni prima, e con una certa attenzione verso la letteratura contemporanea: vi troviamo William Faulkner, Tennessee Williams, Flannery O’Connor, Sylvia Plath… – il racconto Miriam. Forse è la prima prova convincente di Truman – di certo è la prima a cui Truman resta affezionato. La storia, ‘da camera’, all’apparenza canonica, fin dall’incipit (“Da diversi anni la signora H. T. Miller viveva sola nel grazioso appartamento – due stanze e una cucina – di un nuovo caseggiato accanto a East River”), in realtà, in una quindicina di pagine, racconta il delirio verbale dell’anziana con il demone di se stessa, che ha le sembianze della giovane Miriam, ventenne con “i capelli più lunghi e più strani che la signora Miller avesse mai visto: color bianco argento, come quelli di un albino, che le scendevano sciolti e soffici fino al petto” (il testo potete leggerlo in: Truman Capote, La forma delle cose. Tutti i racconti, Garzanti, 2007). La storia convince anche gli esperti: nel 1946 Miriam è premiato come miglior inedito dell’anno con l’O. Henry Adward. Truman si galvanizza. Seguiranno i capolavori, da Altre voci, altre stanze, due anni dopo, a L’arpa d’erba, nel 1951. A raccontare la foia del giovane Capote – oltre a darci una chiave di lettura per capire Miriam – è una lettera inedita, pubblicata dal The New York Times – con commento di James Barron – una manciata di giorni fa. Luglio 1945. Dalla sua casa al 1060 di Park Avenue, New York, Capote risponde a una lettrice – tale “Miss Warren” – piuttosto piccato perché costei dimostra di “non aver capito nulla” del racconto. La storia nella storia è fascinosa. “Quando Susan Akers scoprì una lettera irritata di Truman Capote tra i documenti che stava consultando, ciò che la sorprese fu l’identità del lettore tanto idiota che aveva mandato a Capote una nota sul suo primo racconto pubblicato su Mademoiselle. Quel lettore così cretino era sua madre, all’epoca una studentessa”. La mamma di Susan si chiamava Katherine. Katherine Warner – non Warren come scrive Capote. E conservò gelosamente la lettera del grande scrittore fino alla morte, accaduta a 91 anni, nel 2014. Soltanto ora, spulciando nei suoi documenti, la figlia ha trovato il raro documento. Dandolo alle mascelle pubbliche. Anche un tratto insignificante è significativo per perfezionare il ritratto di un grande scrittore. In questo caso, il ventenne Capote sfoggia gentile vanità, generoso orgoglio, assoluta certezza nel proprio talento, granitica intelligenza.
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Luglio, 1945
Gentile Miss Warren;
la ringrazio per la sua lettera alquanto angosciante, ma davvero divertente. Francamente, la natura della sua richiesta mi sconcerta un po’.
Penso che lei non abbia capito nulla della relazione tra Miriam e Mrs. Miller. Bene, Miriam è Mrs. Miller, o meglio, l’elemento malvagio che è in lei (come c’è sempre una quota di malvagità in ogni uomo), che non ha mai avuto modo di esplodere, o di fiorire, per così dire. In altre parole, Miriam è una proiezione. Ricorda la storia fantastica dei folletti che hanno fabbricato uno specchio maligno, lo hanno conficcato in cielo e distrutto, finché una piccola scheggia non finisce nell’occhio di un ragazzino distorcendo tutto quello che vede? Qualcosa di simile è all’opera in Mrs. Miller. Insomma, quando Mrs. Miller pensa di essersi sbarazzata di quella figlia demone una volta per sempre, Miriam ritorna… e il lettore dovrebbe capire che sarà per sempre la compagna di Mrs. Miller. Ovviamente, esiste una terminologia clinica che definisce la malattia mentale di Mrs. Miller: Disturbo della personalità, Schizofrenia etc. Ma la mia storia è un documento immaginario, e non è sempre possibile mostrare ‘il perché e il percome’ di cose che un uomo sperimenta nella sua mente.
Non penso di avere ricevuto sei rose bianche, ma la ringrazio lo stesso. Spero di non averla definitivamente confusa. Mi scusi, ad ogni modo.
Truman Capote