“Atlante della fine del mondo” non è un romanzo, ma un bolide, un libro di prepotente bellezza
Libri
Vincenzo Gambardella
Nikolaj Tichonov, che è morto l’8 febbraio di quarant’anni fa, è un poeta del tutto particolare. Tra i grandi poeti della ‘generazione d’argento’, degno di stare con Majakovskij, Pasternak, Mandel’stam, Achmatova, ha avuto una parabola esattamente contraria a costoro. Tichonov, dalla Seconda guerra mondiale, infatti, modella la lira in tromba, diventa il trombettiere di regime, entra in politica (Deputato del Soviet Supremo dell’Urss), giustificando l’aspro giudizio di Angelo Maria Ripellino, secondo il quale “le ultime cose del poeta, oggi troppo distratto dalle ricompense, dalle decorazioni, dai premi, dagli incarichi ufficiali, hanno perduto la calda vivezza che animava le prime raccolte”.
*
Le prime cose, invece, le prime due raccolte, L’orda e L’idromele, pubbliche nel 1922, sono di lucida e metallica bellezza. “Il suo mondo poetico, tutto costruito sui motivi del rischio e dell’audacia, è pervaso di virile ottimismo, di amore per le cose semplici della vita. I versi hanno un piglio festoso, e i paesaggi e gli oggetti ne balzano fuori con una scioltezza inattesa, con una densità raggiante”: così ancora Ripellino – l’unico in Italia che si sia occupato dell’opera di Tichonov – nella straordinaria antologia Poesia russa del Novecento. Versi come questi, ad esempio, mi paiono magnetici:
Disimparammo a fare l’elemosina,
a respirare sul mare l’altezza salmastra,
a incontrare l’aurora e a comprare negli spacci
con rifiuti di rame l’oro dei limoni…
Ma noi trascuriamo solennemente ogni cosa.
Il coltello spezzato non serve al lavoro,
ma da questo nero coltello spezzato
sono tagliate pagine immortali.
*
Come intuito dall’immenso Ripellino, “Tichonov volle tentare gli esperimenti verbali in poesie che, per la sintassi, per il carattere delle metafore, per la sinuosità raziocinante del periodo, ricordano l’arte di Pasternak”. L’intuizione critica di Ripellino è confermata da una lettera del 1924, inedita in Italia, che qui si pubblica, in cui Pasternak scrive a Tichonov, “Lei è il poeta che condivide il mio stesso mondo e il mio stesso pensiero”. Pare un passaggio di consegne, non fosse che un paio di decenni dopo i poeti si troveranno su trincee contrapposte. Mentre i grandi poeti ‘della Rivoluzione’ muoiono – suicidi, in prigione, per fame e malattia – Tichonov prospera, Pasternak si ritira in un aristocratico (e consono) isolamento.
*
Le due lettere qui pubblicate testimoniano una fraternità fra poeti, fino ad ora inedita. Il testo è stato tradotto da Anastasiya Serhyeyeva, su mia richiesta, dal testo, Perepiska Borisa Pasternaka, (a cura di) E. V. Pasternak e E. B. Pasternak, Moskva, 1990. Boris Pasternak è un eccellente poeta, uno straordinario scrittore: le sue lettere hanno un valore letterario, oltre che biografico. In Italia è pubblico l’epistolario con Varlam Salamov (Parole salvate dalle fiamme, 2009), quello con la moglie Evgenjia (Il soffio della vita, 2001), con la cugina Olga (Le barriere dell’anima, 1987), con “gli amici georgiani” (1967). Le lettere inviate a Tichonov sono inedite nel nostro Paese: mi affascina la lotta costante che Pasternak conduce contro se stesso, contro il ‘genere’ poesia, mi affascina quando ribadisce la sua “costante propulsione” verso la propria “singolare solitudine”. Da quell’incavo, il poeta che ha detta la Storia estraniandosi da essa, nasce la poesia come atto di amicizia e di gloria. (d.b.)
***
Mosca, 21 aprile 1924
Mi è stato detto, caro Nikolaj Semenovič, che è offeso con me e perfino arrabbiato, ma tutto questo è invano. Il rapporto tra i poeti richiede una grande fiducia l’uno nell’altro. Se ho tardato nel risponderle, la sua immaginazione avrebbe dovuto spingerla a trovare qualsiasi altra spiegazione del mio silenzio, ma in alcun modo farla arrabbiare o offendere. Vede, se lei fosse insoddisfatto di me, comincerei questa lettera con chiederle perdono, ma il caso vuole che io eviti tutto ciò per passare direttamente alle sue domande.
Mi ha chiesto del mio poema. All’inizio dell’inverno ho cominciato una grande opera letteraria: trasparente, sobria, asciutta e non particolarmente giovane [si riferisce a L’anno 1905]. Nella mia immaginazione c’erano solo la musicalità e il ritmo, e per questo motivo la considererei sempre meno un poema. Avendolo già concepito, non mi resta che scriverlo. Ho commesso un errore a mostrarlo a certe persone nella prima settimana della sua comparsa, ma ora non si può più tornare indietro. È bastato il tempo di un intero inverno per rendermi conto del mio sbaglio, e ci vorrà altrettanto tempo affinché sia in grado di scrivere altro per dare seguito alla narrazione, che diventa sempre meno tollerabile e prevedibile man mano che si va avanti. Allo stesso modo in cui hanno contribuito le circostanze, la mia scarsa volontà e altre sciocchezze, una parte di questa verbosità presto sarà pubblicata nel primo numero di LEF, che sicuramente avrà modo di ammirare. Ieri ho riletto le bozze e devo ammettere che, anche se scritto dalla noia e con stupidità, questo capolavoro è perfettamente riuscito. Quando Achmatova, riferendosi a lei, ha detto che è come se fosse sul punto di interrompere per sempre (non ricordo l’espressione esatta) la creazione delle poesie con e senza trama, io ho continuato a voce alta manifestando per Lei la mia felicità. E su quest’onda è giunto a termine il nostro tè serale a casa di Aseev, prima del quale abbiamo letto, rimpianto le strade intraprese da giovani, gioito l’uno per l’altro, e ci stavamo preparando a vivere il mattino successivo cambiati decisamente verso il meglio (ossia diventati uguali a prima e nuovi allo stesso tempo).
Mi invii il prima possibile tutta la sua nuova produzione. È riuscito a scrivere qualcos’altro (in un’edizione a parte) dopo L’idromele? Lei è il poeta che condivide il mio stesso mondo e il mio stesso pensiero. Non avrei saputo esprimermi meglio e non è necessario aggiungere altro. Non mi sono inserito nel vortice letterario nemmeno dal punto di vista meccanico, dato che non ne comprendo le basi. Ecco il motivo per cui non vedo e non conosco tanto, cose che gli altri capiscono automaticamente. È un peccato che, non leggendo con costanza Krasnaja nov’, ho saltato alcune sue pubblicazioni che sono state apprezzate. Mi piacciono le sue poesie contenute in Rossija. Ora faccia questo: mi scriva esattamente in quali numeri di quali riviste ha pubblicato le sue opere e io farò in modo di reperirle. Ho passato un anno molto difficile sotto tutti gli aspetti. Le stringo forte la mano.
Il suo B. Pasternak
*
Mosca, 31 maggio 1929
Caro Nikolaj!
Viviamo come dei maiali, non sappiamo nulla l’uno dell’altro. Ma sono soddisfatto della vita. Dalla fine di gennaio ho sempre lavorato, ma a quanto pare senza fortuna. Ho iniziato un grande romanzo in prosa, ho scritto la prima parte di due pagine e mezzo o tre e l’ho consegnata a Novyj mir. Non so come intitolarlo… Anche se è ancora presto per un titolo, visto che si tratta solo di un quarto del lavoro che ho in mente. Forse lo chiamerò Rivoluzione, se il contenuto vi sarà adeguato. Ma questo non ha niente a che fare con quello di cui sto per parlare qui di seguito.
Ora il linguaggio poetico, che è rappresentato in parti diverse da Chlebnikov, te e me, comincia a sembrarmi indifferente, inutilizzato e offeso. Ho smesso di sentirlo, non mi fa né caldo né freddo. Sarebbe un peso e mi farebbe paura se smettessi di scrivere. Con la costante propulsione verso la mia singolare solitudine, mi sembrerebbe, di certo, terribile finire di vivere i miei giorni in questa società così numerosa e a metà ripugnante, se, come ho detto, non sapessi e sentissi che me ne sto andando in disparte per lasciare il posto a Čarskaja. Non ridere, così come non lo faccio io mentre nomino questa poetessa.
Per quanto riguarda le persone, rimaste bloccate nelle forme e nei mezzi in un’età avanzata, dico semplicemente che si sono accontentate dell’antinferno dell’arte, si sono fermati alla sua cornice. E rabbrividisco al pensiero di osservare passivamente le donnette con le taniche di cherosene nel chiosco del latte: perché, ci si chiede, dovevano venire proprio qui?
È molto più complicato con i giovani, dai quali questo (a causa della loro età) non si può pretendere. Sarebbe tutto più facile, se non vivessimo in un’epoca così dura… [illeggibile la frase con cui termina la lettera]