Anche David Herbert Lawrence ‒ l’avreste mai detto? ‒ oltre che scrittore, fu poeta. L’ho scoperto pochi mesi fa, per caso, acquistando un libro su una bancarella del Naviglio, a Milano. Il libro, edito da Mondadori, è a cura di Giuseppe Conte. E, leggendolo, ha proprio tutta l’aria di nascondere qualcosa di veramente interessante:
Primavera incendiata
Questa primavera, come arriva, esplode in falò verdi, selvatico soffiare verde di alberi, di cespugli, fioritura di pruni che si levano in ghirlande di vapori, tra il bosco che brulica e brividi di giunchi d’acqua.
Così, con piacevole stupore scopro che assai più celebre come narratore, D.H. Lawrence è tuttavia considerato da molti critici come il più grande poeta della natura del secolo scorso, il più sottile, spietato interprete del mistero della vita e del cosmo.
Sono stordito a tutto questo sprigionarsi, questo divampare di fuochi verdi, luci sul nero della terra, questa folata di crescita, questi soffi di vapore che vanno in selvatici vortici, come volti di uomini sbocciati sotto il mio sguardo.
“La poesia di Lawrence” scrive Conte nell’introduzione “si propone di mostrarci l’invisibile dentro il visibile, di cogliere l’istantaneità dell’esistere, l’energia fluente del linguaggio… Si propone di cantare tutto ciò che è incarnato e tutto ciò che è in movimento: un canto spiegato, che a tratti si contrae nell’aforisma e nell’invettiva, a tratti invece diventa denso e sinuoso come un racconto, o altrimenti si inventa una propria vena didascalica mai asservita a un’ideologia, o si alza al tono quasi epico di un mito riconquistato”.
E io, che specie di fuoco sono io, tra tutto questo bruciare della primavera? Sono quello che manca, io. Neanche pallido fumo come il resto della gente, meno del vento che corre al fiammeggiante richiamo.
Ciò che quindi ora mi domando, e che questa poesia mi provoca dentro, è la stessa questione che si pone il poeta, poiché sembra chiederla a tutto il mondo: Quale specie di fuoco sono io?, dentro all’incendio primaverile. Esisto, oppure no? Sono come tutti gli altri, non ho personalità, se non quella che assomiglia a un pallido fumo? O, diversamente, vorrei essere come il vento che, forse, ho persino dimenticato che incanto dà.