02 Agosto 2020

“Vorrei comunque che lo leggessi: c’è una buona dose di crudeltà… e molta scrittura superflua”. T.E. Lawrence scrive a George Bernard Shaw e a Robert Graves

Ultima parola su Lawrence d’Arabia. Intrufolarsi nel suo armadio. Vedere cosa scriveva agli amici che volevano pubblicare I sette pilastri e nel 1926, dopo quattro anni di insistenze, la spuntarono. Ne risultò un libro in edizione platinata: segno di buon gusto. Se il libro richiedeva tempo per venir divulgato, che almeno ne valesse la pena. Comunque. Quando scrive da Westminster il 27 agosto del ’22 al mitico commediografo e satirico George Bernard Shaw, Lawrence d’Arabia è già un uomo morto. Gli indirizza una lettera leggera, come uno spiritello che sta per migrare in altri mondi e non vuole troppe responsabilità per quello che ha fatto. A fine agosto, Lawrence è intruppato nella R.A.F., Royal Air Force, e per dieci anni non farà altro che mettere a punto migliorie tecniche agli strumenti per fare la guerra. (Andrea Bianchi)

*

T.E. Lawrence a George Bernard Shaw

14 Barton St.,
Westminster

27 agosto 1922

Caro Mr. Shaw (aggiungere A.D. a scopi cerimoniali: sei un grand’uomo!)

Primo. Molte grazie per la tua gentilezza. Cercherò di farne buon uso anche se credo che tu non lo vorresti: quindi il volume [Sette pilastri] si srotolerà fino a Welwyn da te a metà settembre. Ti ho già detto che fatica bestiale mi sia costato, quindi su questo versante non ti inganno. Come mi dicevi, sono un privilegiato, dunque farò del mio meglio: anche se è stato un processo insostenibile e non credo che il libro sia stato terminato con le mie sole forze.

Secondo. Pubblicazione. Mi dispiace ma non voglio che sia pubblicato. Buon per te che pensavi alle edizioni Constable. Magari vorrebbero anche pubblicarne una parte. Ma io  penso che non ne varrebbe la pena: pubblicarlo per intero, poi, è cosa impossibile. Ma dal momento che ti sei messo a leggerlo lascio a te il giudizio: so già che mi darai ragione. Se così non fosse, io resterò del mio parere.

Vorrei che comunque lo leggessi: finora, spettacolo degno di Sodoma cui Abramo non poté assistere, l’ha visto solo un’altra persona; intendo farlo leggere a sei in tutto. Vorrei che tu lo leggessi solo perché sei tu: in parte, voglio aggiungere, potrei trar profitto dalla tua lettura, caso mai avessi occasione di parlarti presto di persona anche prima che tu arrivi alla fine del libro. Cerca di capirmi però: la guerra, per noi che c’eravamo dentro, fu il tempo giusto per gli esaltati mentali. Perdemmo la terra da sotto i piedi. Scrissi in quell’atmosfera e credo che la puzza sia rimasta quella. C’è una buona dose di crudeltà e qualche altra cosa eccitante. Tutto questo, nelle mani di un principiante, lo porta sul filo del rasoio: sospetto ci sia molta scrittura superflua. Tu sei molto attento alle flatulenze verbali e spero moltissimo che scoppierai a ridere davanti a quelle parti che io volevo risultassero solenni: se potremo parlarne prima che tu ti sia dimenticato delle tue risate, ho ancora una chance di migliorare.

Sarai divertito dal mio metodo da amante che chiede aiuto: per non parlare dello standard che vorrei raggiungere. Ma si tratta pur sempre dell’unico libro che intendo scrivere e quindi desidero che risulti digeribile. Tu invece ne scrivi uno nuovo ogni volta che ti ricordi di non aver detto per intero qualcosa in un libro precedente! Quindi dato che non lo pubblicheremo ma che comunque non ti farà perdere tutto settembre e potrà essere di profitto per me: yallah! come dicono gli Arabi. E molte grazie per esserti messo così gentilmente a disposizione.

Il tuo sempre sincero

T.E. Lawrence

Il mio nome sarà pure illustre ma non ho titoli. Me ne hanno offerto qualcuno ma sapevo che non mi sarei comportato all’altezza di quel che si aspettavano da uno titolato: quindi dissi di no. Il Who’s who non mi avrà, quindi aspettati di ricevere questa lettera dopo sei mesi. Se tu volessi affrettare i tempi in futuro, aggiungi ‘Colonnello’, così capiscono che ci conosciamo. La Stampa fa così.

***

Seconda mossa. Passano più di dieci anni. Tornato in Inghilterra, Lawrence ha accumulato incomprensioni col letterato numero uno, Robert Graves, dopo anni di amicizia giovanile (o puerile) all’università. In ogni caso, tra ’28 e ’32 ha tradotto l’Odissea, scrive a Graves, “per rifarsi il cottage”. Nella lettera scritta con nonchalance da un hotel di Bridlington, cosparsa di malizia a ogni capoverso (“Col tuo libro su Claudio ti sei messo al sicuro: la gente andrà a comprarsi anche quello successivo, sempre ammesso che non sia un libro di poesia!”), Lawrence non perde il vizietto di castigarsi. Aveva 47 anni e scriveva: “Volevo semplificare tutto (sento nel profondo, nel senso reale, che la mia Vita è finita”) e sono ancora in cerca di 700 sterline.”

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T.E. Lawrence a Robert Graves

Ozone Hotel, Bridlington

4 febbraio 1935

(…) Riguardo il film che Korda vorrebbe fare su di me. Mi fa orrore la sola idea di venire reso celluloide. Le mie poche visite ai cinema, non quelli carini all’aperto, riescono a sprofondarmi in un senso di falsità superficiale… e di volgarità, stavo per dire, ma non quella volgarità dell’uomo comune (magari!) e quei film che ho visto erano cattivi come quel che si può trovare sotto la cintura, messo su carta. Ora che si siamo spiegati la questione denaro e abbiamo considerato il cinema, passiamo all’epitaffio.

Hogarth ha fatto per l’uomo di passaggio un piccolo ritratto di Lawrence nel 1920 e hanno fatto bene a smontare quel pezzo. [Una riga omessa] da parte mia non dico altro ma se tu lo farai, non dare troppa importanza a quel che ho combinato nella guerra araba. Sento che il Medio Oriente sistemato a quel modo da Winston Churchill e me nel 1921 (ma avessero rispettato i Trattati di Pace nel dettaglio!) meritava di più che una semplice battaglia. E comunque conta meno della mia vita dopo il 1922 quando andai alla conquista dell’ultimo elemento, l’aria, che mi sembra l’unico grande compito della nostra generazione; dove non conta tanto il singolo genio quanto lo sforzo comune. È la moltitudine di rudi camionisti che riempiono le strade inglesi di notte a costituire la nostra età meccanica. Sono gli uomini delle forze aeree, i meccanici, non i Mollison e Orlebar con le loro catene di abbigliamento. Il genio fa i suoi raid ma è l’uomo comune che occupa, che prende possesso. Ecco perché sono stato nei ranghi e ho servito al meglio delle mie abilità, influenzando i miei compagni e dando loro un orgoglio che non avevano, disponendo solo di un senso del dovere inarticolato. Ho fatto veder loro qualcosa – con qualche successo (…)

Tutto questo chiacchiericcio non per glorificarmi ma per spiegarti; e qui veniamo al mio ultimo punto, le tue ristrettezze davanti al cambiamento che ho effettuato da quell’ultima volta a Oxford che ci sentivamo molto vicini. Un po’ di ragione ce l’hai. All’epoca tentavo di scrivere; forse, di essere un artista (i Pilastri avevano pretese di concezione ed erano scritti con fatica riguardo la prosa) o perlomeno un tipo cerebrale. La mia testa mirava a creare cose intangibili. Ma non mi sono espresso bene: ogni creazione è tangibile. Quel che allora cercavo di fare, immagino, era portare una superstruttura di idee sopra tutto che andavo combinando.

Bene. Ho fallito. Se mi paragonavo a te o gente come Augustus John notavo che non ero della vostra stoffa. Magari ero anche un artista ma quando arrivi al nocciolo, c’è dell’altro. Avessi saputo allora cos’era, quel nocciolo, te l’avrei detto o sarei diventato uno dei tuoi. Solo, non ci sono riuscito.

Così ho cambiato direzione e sono entrato nella R.A.F. dopo aver messo un po’ d’ordine in quella matassa che è l’Oriente: un dovere che ricadde su di me perché ero io l’origine della matassa. Che Oriente abbiamo avuto: quella parte del mondo ha pur guadagnato qualcosa dalla guerra.

Ma come ti ho detto sono entrato nella R.A.F. per uno scopo meccanico, non come leader ma come ingranaggio della macchina. Il mio auto-addestramento da artista ha ampliato il campo di veduta e da allora sono stato un uomo meccanico. Lascio ad altri giudicare se sia stato bene o male: un beneficio di essere ingranaggio è che si impara che nessuno conta niente!

Ti ricorderai che all’epoca ti scrissi dicendoti che l’equivalente più moderno della mia scelta era entrare in un monastero medievale. Ho capito in seguito: avevo tagliato ogni possibilità di comunicazione con le donne. Non penso ci sia qualche donna in grado di capire la felicità di un uomo meccanico che serve nelle sue componenti.

Va bene, questo se lo leggi così sembra un paragrafo di quel D.H. Lawrence da cui ho preso il nome. Non ho mai pensato per un solo momento di essere nel giusto ma spero che il tuo senso per i caratteri ti indicherà la diversità di vedute tra noi due. Laura [seconda moglie di Graves] mi ha conosciuto troppo tardi, dopo che avevo cambiato direzione. Aveva e tuttora ha assolutamente ragione a evitare ogni comunicazione con me. Non ci sono colpe da nessuno dei due lati: c’è buon senso, la presa d’atto di una difficoltà troppo difficile da sormontare, quando ci sono anche altre attività sottomano da iniziare, ognuna con sua soddisfazione. Non preoccuparti, non aver rimpianti: non volere che io cambi faccia alla natura. Siamo fortunati ad avere una proporzione, a sopportare la crescita delle nostre ossa.

Tuo

T.E.S.

Che lettera-balena. Cinque minuti di conversazioni sarebbero stati molto più divertenti!

*traduzione di Andrea Bianchi

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